L’intervista al rookie dei Magic sul podcast di JJ Redick.

FOTO: New York Times

Ospite sul podcast di JJ Redick e Tommy Alter, ‘The Old Man & the Three’, Paolo Banchero ha rilasciato un’interessantissima intervista sul proprio inizio di carriera con gli Orlando Magic, ripercorrendo la sua annata a Duke, parlando dell’importanza della selezione come prima scelta assoluta al Draft 2022 e della sua esperienza fino ad ora in NBA.

Senza indugiare oltre, ecco alcuni degli estratti più interessanti dell’intervista tradotti in italiano.


Dopo aver raccontato di come sia stato confuso in maniera surreale per Patrick Mahomes (star di NFL) da un giornalista, e di come questo lo abbia paradossalmente aiutato a farsi conoscere, Redick ha chiesto a Banchero cosa si provi ad essere tra i primi ad essere pagati al College.


Ricordiamo che Paolo ha firmato un NIL (Name, Image and Likeliness) deal mentre era a Duke, un contratto basato sull’immagine, concessione che la NCAA ha fatto solo di recente ai suoi giocatori maggiormente in vista. Questo ha permesso al nativo di Seattle di firmare un accordo pluriennale con 2K e JD Sports, iniziando a monetizzare già da prima del suo ingresso in NBA:

“Mi hanno detto del cambio di regola, e non sapevo cosa sarei stato in grado di ottenere. Questo, fino a che 2K non si è presentata da mio padre dicendo che mi avrebbero voluto inserire nel gioco (NBA 2K22, ndr), e mi sono stupito di poter fare questo prima ancora di arrivare in NBA. Ma è stato grande poter essere uno studente e allo stesso tempo sapere di potermi procurare da solo quello di cui avevo bisogno.”

Non poteva poi mancare la domanda su cosa lo abbia spinto a scegliere Duke in uscita dalla HIgh School. Paolo ha spiegato che molti College avessero avanzato richieste, e che la visita a Duke non sia stata fra le migliori. A convincerlo, però, ci avrebbe pensato coach Mike Krzyzewski:

“Coach K (Mike Krzyzewski, ndr) è stato grande. Abbiamo iniziato da prima a stabilire un contatto e costruire una relazione, sentendoci 3 o 4 volte a settimana al telefono, scambiandoci messaggi e parlando della NBA Bubble. Mi disse una cosa che mi fece dire ‘ok, qui è dove voglio venire’. Mi disse: ‘Senti, sarai una top pick ovunque andrai, in ogni ateneo, quindi non importa. Ma se vuoi essere la prima scelta assoluta, il miglior giocatore possibile, non c’è miglior allenatore per cui tu possa giocare’.”

Anche Redick è passato da Duke, e ha seguito molte partite durante la stagione di Banchero. Ha fatto così una domanda sui metodi motivazionali dell’allenatore, alla quale Paolo ha risposto raccontando un aneddoto:

“Capitava che potesse infastidirmi, ma è coach K, quindi ti trovi a pensare che è tanto frustrante quanto leggendario. In pre-season, dopo esserci allenati, mise le sedie in campo per analizzare dei filmati, e non appena accese lo schermo vidi l’immagine in pausa in una clip dove avevo palla in mano. Si capisce subito quando è il giorno in cui coach K ti darà addosso, e lo percepii subito. Appena vidi la clip pensai ‘ok, ci siamo’, così passo 25 minuti a distruggermi un frame dopo l’altro, senza sosta, anche in quelli in cui segnavo. Mi disse: ‘Guarda come ti stai muovendo, sei lento’, e poi di nuovo in una clip in cui avevo palleggiato senza creare nulla: ‘Vedi? Questo è il tuo problema, il tuo culo moscio da fottuta Seattle West Coast, questa non è la dannata Seattle Pro-Am, nessuno vuole vederti andare a spasso per il campo palleggiando.”

Banchero ha parlato di come si vedesse che le squadre avversarie avessero cerchiato la gara contro Duke, era come se avessero addosso un bersaglio. Paolo ha rivelato di aver sentito la pressione dovuta al fatto che fosse l’ultimo anno di coach K durante l’ultima gara in casa, persa tra l’altro contro una rivale storica come North Carolina, spiegando anche come l’allenatore e lo spogliatoio fossero molto abbattuti e frustrati dopo quella sconfitta. Frustrazione che si è presentata di nuovo dopo la sconfitta subita di nuovo contro North Carolina in Final Four, condivisa anche da JJ Redick.

Invece, passando a qualcosa di più allegro, chiuso il capitolo Duke è tempo di passare alla Draft night. Redick ha chiesto a Banchero come abbia mantenuto la motivazione pur sapendo di essere fra i top, consapevole del fatto che possa capitare di adagiarsi sugli allori quando si è valutati come possibile prima scelta:

“Ho sempre avuto la sensazione che qualcuno potesse in qualche modo passarmi avanti. Uscendo dalla High School ero sempre in top-5 o top-3, mai il numero uno, e questo mi dava fastidio perché davo sempre il massimo, ma sentivo che non bastasse. Al College durante l’anno spesso mi mettevano alla uno, ma molto spesso anche alla tre o alla quattro, sentivo dire che non mi impegnassi in difesa o non potessi tirare. Questo mi ha sempre motivato, perché io so bene chi sono.”

Banchero si è poi concentrato sulla gioia provata alla Draft night, e su come abbia scoperto di essere la prima scelta assoluta poco prima della chiamata di Adam Silver:

“Ho pianto perché il giorno del Draft ero sicuro al 100% che sarei finito alla 2 o alla 3. Se fosse accaduto sarei stato felice, ma non avrei pianto.”

“Circa mezz’ora prima mi presentai con la mia famiglia alla introduzione, e ci sono le TV nel backstage con i sottotitoli. La trasmissione era NBA Today con Woj, Kendrick Perkins e Richard Jefferson, e vidi la mia faccia in una grafica che diceva qualcosa sui Magic. Andammo al tavolo per l’introduzione, e seduto c’era Mike Miller, il mio agente, che mi dice: ‘siamo passati all’azione’. Allora lì inizio a emozionarmi, ma sentivo che sarebbe successo qualcosa di drammatico. Il tempo scorre, Mike è di fianco a me che manda messaggi al telefono tutto concentrato parlando da solo, ripetendo ‘Andiamo, Mike! Sii un fottuto agente, Mike!”, e io stavo ridendo. 15 minuti dopo, Woj ha postato un tweet che confermava la decisione dei Magic di scegliere me, e non appena mio padre mi ha mostrato il tweet tutte le telecamere hanno iniziato a convergere verso il nostro tavolo. Lì ho capito che stava per accadere, così Mike sbatte il telefono sul tavolo di fronte a me e, guardandomi, mi dice ‘congratulazioni’. 45 secondi dopo il commissioner è arrivato e mi ha chiamato, è accaduto tutto così in fretta che mi sono sentito sopraffatto e sono scoppiato a piangere. Non sapevo come si potesse piangere di gioia prima di allora, ma è successo ed ero felicissimo.”

Redick ha poi deciso di cambiare discorso, facendo una domanda su Bol Bol a Paolo, chiedendo se ci sia una sua giocata preferita in particolare:

“Una che ha fatto da poco contro gli Hawks, è stata folle. Quando prende il rimbalzo e inizia a correre in contropiede lo guardi e non sai mai cosa potrebbe inventarsi, puoi solo fissarlo. Lì ha saltato due o tre avversari volando al ferro, perché salta anche abbastanza, è molto mobile. Ma non mi ha sorpreso, lo seguo dalla High School, sapevo di cosa fosse capace, gli serviva solo un’opportunità.”

Ogni rookie ha un “Welcome to the NBA” moment, e cioè un momento in cui qualcuno già nella Lega lo “svezza” inserendolo in un poster o in qualche highlight in negativo. Nel caso di Paolo, Redick ha spiegato come sia avvenuto il contrario, avendo inserito lui in un poster Cory Joseph, definendo la scena “Inception shit”.

Banchero ha invece spiegato come a battezzarlo sia stato Kevin Durant, che ha segnato 45 punti contro i Magic:

“L’ho marcato la maggior parte del tempo, e non c’è assolutamente nulla da fare. Alcuni cercano di guadagnare liberi, segnano magari 14 punti dalla lunetta, ma per KD è ‘straight business’. Non parla con gli arbitri, sarà andato in lunetta 4 o 5 volte (4, ndr) ma ne ha messi 45. Penso che abbia sbagliato 5 tiri in quella partita (19 su 24 dal campo, ndr), e penso sia stato il primo giocatore che ho marcato in vita mia che mi abbia fatto pensare che non ci fosse nulla da fare. Alcuni possono segnare contro di me, ma a volte li disturbo, lui sembrava che nemmeno mi vedesse.”

“Ci sono molti grandi giocatori, li puoi raddoppiare o altro, ma con KD non c’è davvero nulla che puoi fare. Fa un hesi pull-up da tre punti, così sei costretto a uscire; se salti, ne fa uno dalla media o va a canestro. Tira sopra i lunghi, è alto 208 cm. Di solito sui tiri difficili che qualcuno segna contro di noi dico ai compagni di ripartire subito, li motivo, ma su un paio di suoi canestri mi sono cadute le gambe, mi sono dovuto fermare dicendo ‘God, damn!’. In un fade-away Bol lo ha contestato, disturba spesso molti tiratori, ma KD neppure lo ha visto.”

Paolo Banchero è molto affezionato a Seattle, sua città natale, e ha tirato così fuori un aneddoto su Jamal Crawford, altro volto noto della città:

“Vi racconto l’unica volta che ci ho giocato un uno-contro-uno. Era prima che andassi a Duke, quindi intorno a maggio, e dopo aver giocato un pick up game a Washington University mi chiede un check up. Conosco Jamal da quando sono un freshman e non lo aveva mai fatto, così ho pensato ‘Ok, ecco che si fa seria’. Mi ha battuto 5 a 4, ed ero molto infastidito, era diventata molto competitiva e ci eravamo stancati. Così gli ho chiesto la rivincita, e lui mi ha risposto: ‘No, mai più. Non giocheremo mai più’. Mi ha davvero seccato.”

Per chiudere, Banchero lascia il suo quintetto ideale della città di Seattle: “Isaiah Thomas, Jamal Crawford, Brandon Roy, Paolo Banchero e, per ultimo, abbiamo un unico grande 5, che è Spencer Hawes“, scatenando così l’esultanza di JJ Redick, che ha giocato con Hawes ai Clippers.

Trovate l’intera intervista di seguito.