FOTO: Silver Screen and Roll

… e alla fine siamo di nuovo a Los Angeles Lakers contro Denver Nuggets. A poco meno di un anno di distanza, i Playoffs si riaprono esattamente com’erano finiti nella Western Conference, con gli stessi giocatori di punta ma con due squadre non trascurabilmente cambiate. Certo, non si tratta di differenze esagerate, anche perché Denver, come suo solito, ha fatto tutti i compiti per tempo in Regular Season, da studente modello, mentre i gialloviola sono usciti di nuovo come settimi dal Play-In, facendo tutto all’ultimo, senza avvantaggiarsi, presentandosi da rimandati ma raggiungendo comunque il risultato desiderato. Il problema, ora, è battere dei campioni in carica che non accennano a battere ciglio e che hanno rifilato agli angeleni 7 batoste nelle ultime 7 partite – 4 di Playoffs, con il sonoro sweep dello scorso anno, e 3 nella Regular Season appena conclusa. Sebbene anche questa serie sembri indirizzata verso le montagne del Colorado, diamo un’occhiata a 3 differenze importanti rispetto ai passati Playoffs.

Siamo al primo turno

Un dato fuori contesto: le squadre di LeBron James hanno un record di 15-1 nei primi turni Playoffs. Utilità? Assolutamente nessuna, ma sfruttiamo per ampliare un discorso che potrebbe apparire leggermente più sensato. In primis, chiariamo che contro una squadra come Denver, discorsi sulla maggior “prontezza” della squadra uscita dal Play-In sono assolutamente fuori luogo: i Nuggets lo scorso anno sono passati sopra dei Minnesota Timberwolves reduci da ben 2 partite prima di accedere ai Playoffs, e tutto ciò che è apparso nel corso della serie era una differente freschezza dei ragazzi di coach Michael Malone. Questi ultimi hanno avuto una settimana piena di riposo, giocheranno in casa e con la tranquillità di una squadra che non solo sa di essere superiore, ma che ha anche alle spalle una run da titolo a dare fiducia. Pertanto, congetture di questo tipo sono da evitare.

Interessante, però, il fatto che anche i Lakers si presentino con un minutaggio ridotto e con svariati giorni di riposo alle spalle: questo aspetto, per una squadra che ha cambiato visibilmente marcia sul finire della stagione e che non ha proprio le stelle fisicamente più integre della storia (LeBron per l’età, non per altro, mentre Anthony Davis per lo storico in carriera), non si può ignorare. Il chilometraggio ridotto rispetto a quello della passata stagione all’altezza delle Conference Finals permetterà probabilmente di vedere una miglior versione di James, della quale si è avuto un assaggio nelle 2 importanti gare contro i Pelicans:


Partire bene potrebbe dare fiducia ai gialloviola, soprattutto considerando che i Nuggets siano diventati una vera e propria bestia nera per loro in questo periodo. In poche parole, tutte e due le squadre si presenteranno dal livello 0, con la stessa freschezza e partendo dal medesimo punto, il che è molto differente rispetto a un incontro i Conference Finals, per arrivare alle quali si sono dovute spendere energie psicofisiche di varia natura.

Nuggets, orfani di Bruce Brown

La panchina di Denver era pessima anche lo scorso anno in termini statistici, ma la grossa differenza la faceva la presenza di Bruce Brown. Quest’ultimo forniva una versatilità difensiva e offensiva con pochi eguali, permettendo di avere come sesto uomo una backup point guard capace di difendere su quasi 4 posizioni e scalabilissima, partner perfetto per i quintetti con e senza Jokic. Tutto ciò, almeno per ora, non è stato compensato.

Christian Braun avrà più minuti e probabilmente ancora solidi, così come Peyton Watson, coltellino svizzero difensivo molto limitato nella metà campo offensiva, dotato però di un atletismo molto sopra le righe che lo rende un tagliante pericolosissimo – soprattutto nella squadra del 2 volte MVP. Reggie Jackson è andato a coprire idealmente le mansioni di point guard, ma ha uno stile di gioco meno scalabile, che ne richiede un utilizzo maggiormente palla in mano rispetto a Brown, con risultati a dir poco altalenanti. I Nuggets dovranno essere molto bravi a saper “incastrare i pezzi” del puzzle: il sistema indubbiamente funziona e questi giocatori sono complementari, semplicemente ci sarà bisogno di saperli inserire al posto giusto per trovare un equilibrio – e soprattutto dare il maggior riposo possibile al quintetto titolare, garanzia di successo.

Lakers, roster più stabile?

A fare le fortune dei gialloviola, come lo scorso anno, sarà probabilmente la transizione dalla fase difensiva – che resta elitaria – a quella offensiva – ben più limitata contro la difesa schierata, e che perciò ha bisogno di tanta velocità. La differenza rispetto allo scorso anno consiste negli interpreti: i Lakers hanno un po’ più di stabilità fra gli esterni e in generale nel front-court, sebbene gli infortuni di Christian Wood, Cam Reddish e Jarred Vabderbilt non giochino a loro favore. Taurean Prince garantisce la presenza di un buon tiratore sugli scarichi, capace di cambiare su 4 ruoli (3 se il matchup si fa troppo fisico), maggiormente affidabile rispetto a giocatori quali Troy Brown Jr. o Lonnie Walker IV; Jaxson Hayes, invece, può garantire qualche minuto in più di presenza attiva nel pitturato, totalmente assente lo scorso anno, tanto da dover riesumare Tristan Thompson; Spencer Dinwiddie, nonostante i difetti di shot selection, e l’appena recuperato Gabe Vincent offrono un po’ shot creation utile a produrre qualcosa in situazioni di gioco rotto o nei minuti senza uno fra LeBron e Davis. Non si tratta certo di nomi che svoltano la stagione o esenti da difetti, ma alzano un po’ i centimetri e riducono l’assoluta necessità di shot making dei Lakers, assolutamente necessari perché i Lakers possano provare a scalfire sulle due metà campo un sistema ben collaudato come quello di Denver. Come per i Nuggets, si tratta di saper inserire ogni pezzo al posto giusto per poter rendere al meglio: