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Questo contenuto è tratto da un articolo di William C. Rhoden per Andscape, tradotto in italiano da Marco Marchese per Around the Game.


George Johnson ha sorriso quando gli è stato chiesto se riuscisse a ricordare le NBA Finals del 1975, quando i suoi Golden State Warriors hanno sconfitto i maggiormente favoriti Washington Bullets. Sono scoppiate le risa per quanto fosse arduo richiamare alla mente certi ricordi, dopo ben 7 decadi sulla Terra. Johnson affermò di non poter dimenticare la stagione iridata dei Warriors e le loro NBA Finals in cui hanno spazzato via i Bullets. Il valore di quella serie è dovuto al fatto che sia stata la prima con due coach afroamericani a contendersi il Titolo. K.C. Jones era il coach dei Bullets mentre Al Attles quello dei Warriors. Nel corso delle NBA Finals del 2017 l’Assistant coach dei Warriors, Mike Brown, si è trovato a fronteggiare coach Tyronn Lue, allora alla guida dei Cleveland Cavaliers, per via di problemi post-operatori insorti a coach Steve Kerr, dopo il suo intervento alla schiena, nel corso di Gara 1 della serie. Una sfida tra 2 coach afroamericani non è più avvenuta fino a Gara 1 delle NBA Finals 2024, quando coach Joe Mazzulla, ed i suoi Boston Celtics, sono giunti alle Finals contro coach Jason Kidd ed i Dallas Mavericks. Ma essere un coach afroamericano nel 1975 era diverso dall’esserlo nel 2024. La lega ha giocatori in prevalenza afroamericani, e ci sono molti più allenatori oggigiorno – 14 prima che la Stagione 2023/24 avesse inizio. Johnson era un centro dei Golden State Warriors, giunto nella Stagione 1972/73. Ci siamo incontrati nel 1975, quando ero con un associate editor di Ebony magazine a Chicago. Avrei scritto un articolo su Attler e Jones poco dopo. In quel periodo c’erano 5 coach afroamericani in NBA: Attles, Jones, Ray Scott ai Detroit Pistons, Lenny Wilkens ai Portland TrailBlazers e Bill Russell ai Seattle SuperSonics. Erano un gruppo molto unito, che abbracciava l’idea che la vittoria di uno sarebbe valsa per il collettivo. Scott è stato eletto NBA Coach of the Year nel 1974. 


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La sfida tra Attles e Jones è stata professionalmente importante poiché, esattamente come i coach afroamericani in NBA lottavano per ottenere fiducia e rispetto, i giornalisti sportivi afroamericani erano alla ricerca di pubblicazioni mainstream – trovando, però, la bottega spesso chiusa. Il leggendario scrittore sportivo di Boston Globe, Larry Whiteside, ha stilato una lista di altrettanti scrittori afroamericani, poi rinominata Black list. Consisteva nei nomi degli scrittori afroamericani impiegati in salotti sportivi mainstream. C’era un legame tra i coach alla ricerca di lavoro in NBA ed i giornalisti alla ricerca di opportunità lavorative dalle redazioni sportive. Le NBA Finals del 1975 hanno rappresentato una vera e propria pietra miliare, come Johnson ha sottolineato, per svariate ragioni, anche se lui era più focalizzato sul fatto che i Warriors fossero giunti alle Finals piuttosto che sulle dinamiche afroamericane in gioco. 

“Sai, probabilmente non ci ho fatto neppure caso in quel periodo. Sono sicuro che probabilmente ne abbiamo parlato, ma ero così tanto entusiasta, e certamente anche il resto della squadra lo era, di essere arrivati alle Finals.”

George Johnson

Johnson è nato a Tylertown, nel Mississippi, nel 1948 ed ha affrontato la problematica del razzismo, parte integrante della cultura dell’epoca. Ha frequentato il college a New Orleans, ma quando la sua famiglia si è trasferita nella Bay Area, in California ha filtrato il problema razziale attraverso un prisma più rilassante – come 2 coach afroamericani che si sfidano a vicenda. 

“Avendo vissuto in Mississippi ed essendomi poi trasferito in California, ho scoperto che in quest’ultima i gli afroamericani erano più accettati, ovviamente, rispetto al Mississippi. Per me è stato una specie di risveglio culturale. Specie su alcune cose per cui si era diffidenti, specialmente andando più a sud, ed anche se non c’erano regole scritte, si sapeva quale fosse il proprio posto, e dove poter parlare, per evitare problemi.”

“Ma in California c’era molta più libertà, chiaramente per giocare a basket e fare ciò che abbiamo fatto, ma ciò non mi ha influenzato per nulla.”

George Johnson

Ho posto le stesse domande anche a Bernie Bickerstaff, 80 anni, che nel 1975 era Assistente di coach K.C. Jones. Era arrivato ai Bullets nel 1973, dopo aver trascorso 4 stagioni alla University of San Diego. Bickerstaff ha affermato che l’importanza delle NBA Finals 1975 non è dovuta ai 2 coach afroamericani, anche perché non sono state fatte molte cerimonie al riguardo.

“Non parlavamo parecchio dell’argomento, perché in fin dei conti la cosa importante era il senso di appartenenza. Non serviva battere il proprio petto, poiché si era già lì.”

Bernie Bickerstaff

D’altro canto, Bickerstaff ed altri coach afroamericani sapevano che fosse l’opportunità di mostrare la competenza e preparazione come allenatori. I 5 coach afroamericani erano molto legati l’un l’altro. 

“C’era un vero legame lì, in termini di persone che avevano cura l’uno dell’altro. Un legame forte. Anche in quel periodo, bisognava avere un forte legame intestinale e forza per poter permettere ad un altro fratello di essere assunto, quando c’era solo un posto disponibile. Non era la cosa più comune da fare, in quel periodo.”

Bernie Bickerstaff

Bickerstaff è grande abbastanza per aver assistito all’evoluzione dei giocatori afroamericani, dapprima relegati ai margini ed oggi dominanti nelle leghe collegiali e professionistiche. 

“Sono cresciuto a Harlan County, Benham, Kentucky, e c’erano tanti ragazzi bravi abbastanza da poter giocare alla University of Kentucky in quel periodo. Ma oggi ci sono cinque afroamericani in quintetto iniziale. Il solo Mississippi può avere cinque starter. Penso che le aspettative della gente siano di vittoria. E se si vuole vincere, si mettono in campo i migliori.”

Bernie Bickerstaff
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Bernie Bickerstaff è divenuto coach dei Seattle SuperSonics nel 1985. Ha raccontato la storia riguardante un’interazione avuta con un giornalista bianco in quel periodo, e di come la lega si sia evoluta da allora.

“Una cosa che non dimenticherò mai: c’era un ragazzo della stampa seduto vicino a me, che mi chiese cosa ne pensassi della reazione della gente se avessi schierato cinque giocatori afroamericani. Avrebbe scritto un articolo sulla domanda. Perciò risposi chiedendo se avrebbe posto la stessa domanda con Pat Riley stato seduto al posto mio. E tutto finì lì.”

Bernie Bickerstaff

Negli anni successivi i giocatori afroamericani hanno dominato la NBA, tanto da far porre la domanda riguardo chi sia l’ultimo giocatore di origine statunitense bianca a raggiungere il livello di All-Star. L’evoluzione del talento si è estesa anche ai coach, ed addirittura ai membri dell’executive? Un metro di giudizio per il progresso di questo processo è rappresentato dal figlio di Bernie, J. B. Bickerstaff, che ha già avuto 2 chance da Head Coach, una ai Memphis Grizzlies e 4 anni ai Cleveland Cavaliers. 

“Oggi c’è molto più che un’opportunità di vedere due coach afroamericani sfidarsi alle NBA Finals, perché la NBA ha fatto un gran bel lavoro nell’assumere coach afroamericani.”

Bernie Bickerstaff

Johnson ha giocato nella storica Dillard University di New Orleans. Attles, coach dei Warriors, ha giocato all’A&T in North Carolina, anch’essa HBCU. Ciò potrebbe essere la ragione per cui avere dei coach afroamericani non era considerato un ottimo risultato, e neppure averne 2 alle NBA Finals. Appena 3 stagioni prima, Attles ha salvato la carriera a Johnson. Dopo esser stato licenziato dai Chicago Bulls, Johnson è tornato nella Bay Area in California, iniziando a lavorare in banca e giocando da semi-pro in contemporanea. Quando i Golden State Warriors fecero dei provini, Johnson si è presentato ed ha giocato abbastanza bene da convincere coach Attles. 

“Dopo che le sessioni erano terminate, Al mi ha mandato a chiamare, mentre lui stava seduto sulle gradinate in un lato del campo. Mi avvicinai e per sedermi accanto a lui. Mi ha detto: “Bene, ci è piaciuto ciò che vediamo in te, e vorremmo portarti al camp. Saresti interessato?” Io ero incredulo: “State scherzando? Certo, accetto certamente.”

George Johnson

Johnson è andato al camp ed ha iniziato la sua carriera in NBA. Ha vinto il Titolo NBA appena 2 anni dopo, per poi continuare a giocare fino a 13 anni di permanenza nella lega. Nel 1975 i Bullets erano una squadra fortissima, candidata a vincere il Titolo NBA. Per uno strano corso degli eventi, le prime 2 sfide sono state giocate fuori casa. Un altro strano corso degli eventi ha fatto sì che si giocassero al Cow Palace di San Francisco.

“Okay, certo, abbiamo vinto la prima e poi la seconda. Per noi è stato come dire: “Okay, adesso dobbiamo tornare a Washington.” Non penso che qualcuno di noi sull’aereo di ritorno verso Washington avesse idea di cosa avremmo fatto, ovvero vincere le altre due partite e fare uno sweep. Perciò è stato un’annata davvero incredibile.”

George Johnson

Quasi 50 anni dopo lo scenario NBA è cambiato drasticamente, per via di tutti i cambiamenti, e nonostante ciò parrebbe ancora una rarità che 2 coach afroamericani possano sfidarsi alle NBA Finals. 

“Beh, penso che adesso le cose siano parecchio diverse. Tutto è differente. Voglio dire, per quanto riguarda salari e simili. Non ricordo e non so quanto abbia guadagnato ognuno di noi, ma sono abbastanza sicuro che non sia tutto il denaro guadagnato oggi. Penso anche al tipo di rispetto che Al e K.C. avevano reciprocamente e creavano attorno ai coach afroamericani, che è la ragione per cui adesso ci sono 2 coach afroamericani a sfidarsi alle Finals.”

George Johnson

Non esiste più la sopracitata Black List degli scrittori afroamericani, anche se l’ambizione a far parte del business non si è placata. I coach afroamericani in NBA sono oggi più numerosi, ed anche in questo caso non è cambiata la continua affluenza di volti nuovi. Nel 1975 Bickerstaff ha notato il fenomeno di 2 coach afroamericani alle NBA Finals, poiché era la prima volta che entrambi avevano raggiunto la cima della montagna. Secondo lui, le dinamiche rimangono comunque uguali, oggi, 49 anni dopo, per coach Mazzulla e coach Kidd.

“In passato era diverso, ma nulla per cui si andasse in giro a battere il petto. Al Attles e K.C. erano due grandi coach, che per puro caso erano afroamericani, ed hanno avuto l’opportunità di arrivare in fondo.”

“Non è un caso che siano arrivati dove sono. Meritano di essere dove sono arrivati. [Coach Mazzulla e coach Kidd] Meritano l’opportunità che stanno avendo, perché hanno vinto tanto.”

Bernie Bickerstaff