Scambiato da poco agli Indiana Pacers, Pascal Siakam ha voluto raccontare la sua esperienza in una lettera d’addio a Toronto su The Players’ Tribune.

Pascal Siakam in campo coi Raptors
FOTO: SPORTSNET

Questo contenuto contiene un estratto dall’articolo “Toronto Forever”, pubblicato in data 19 gennaio 2024 su The Players’ Tribune.


Ok, il titolo giusto sarebbe stato forse “Lettera DI Pascal Siakam” dovendo riportare qualche sua parola. Non è quello che però voglio fare, non oggi. Oggi l’oggettività va a farsi benedire. Potevo anche chiamarla “Lettera di un tifoso col cuore spezzato” per quanto vale. Ci ho messo un po’ a digerire la cosa, soprattutto dopo essere entrato il giorno stesso della trade nella Scotiabank e non aver visto la sua solita routine nel prepartita: qualche tiro di riscaldamento, qualche tripla, giochi in post, risate, il gran finale con palleggi da calciatore, il passaggio al preparatore, l’alley oop, l’urlo liberatorio.

Ad un certo punto i Raptors hanno fatto capire che stavano andando in un’altra direzione, non volevano prolungarmi, stava per arrivare una trade. Il mio agente, sapete, stava facendo il suo lavoro, concentrandomi sul futuro, cercando di ricordarmi che ci sono cose buone all’orizzonte. Quindi mi ha chiesto: “P, dove ti vedi?”. E sarò sincero su ciò che ho risposto. Ho detto: “Dove mi vedo? Voglio dire… Toronto. Toronto è tutto ciò che ho conosciuto e che ho sempre voluto conoscere. Non ho mai chiesto uno scambio. Forse sembrerà ingenuo, ma sentivo di poter essere una di quelle bandiere che passano tutta la carriera in una sola squadra.


Nelle favole a lieto fine si sarebbe trovato un accordo e Pascal sarebbe rimasto. Ma non è una favola. Pascal Siakam è un giocatore degli Indiana Pacers.

Parlo come se i Raptors si fossero privati del nuovo Dio del basket e so benissimo che non è così. Per molti Siakam è solo un ottimo giocatore, forse qualcosina in più, ma niente che non possa essere sostituito. Non per Toronto, e non parlo della società. Ma della città. Il giorno dopo, parlando con i colleghi di lavoro, uno di loro mi ha detto “Certo, probabilmente andava fatto, ma abbiamo appena dato via un pezzo di storia per niente” (Scusa Bruce, non ce l’hanno personalmente con te).

Un pezzo di storia, perché effettivamente Spicy P è entrato di diritto nell’Olimpo della franchigia canadese. Un ragazzo camerunese un po’ spaesato, scelto come ventisettesimo al Draft 2016, entrato in punta di piedi in una franchigia che fino ad allora non aveva ottenuto niente e andato via lasciando record su record frantumati. Così come altrettanti cuori.

Perfino per me che sono in Canada da relativamente poco tempo non è stato facile riordinare le idee immediatamente dopo aver letto la notizia. Il colpo è stato forte, non lo nascondo, perché in un modo o nell’altro Siakam è andato veramente oltre il basket per la città di Toronto. Tutti gli interventi fatti nelle scuole e nelle comunità, la PS43 Foundation, la sua faccia in ogni dove, dal distretto finanziario alla periferia più sperduta. La gentilezza, la professionalità e l’enorme sorriso di quel ragazzo sono stati la costante che ha accompagnato i tifosi per otto anni.

Tutto ciò non cambia quello che Toronto ha significato per me e continuerà a significare. Questa è la cosa principale che volevo dire a tutti: questa è casa. Toronto mi ha fatto sentire a casa fin dal primo giorno. Farò sempre parte di questa comunità. È il luogo in cui vivo. È qui che si concentrano molte delle cose a cui tengo.

FOTO: PS43 FOUNDATION

L’atmosfera all’Arena il 17 gennaio era funebre come poche volte ho visto in uno stadio. La schiacciante vittoria contro gli Heat ha mitigato un po’ la tristezza ma non sentire più “We keep it Spicy at the Forward….representing Cameroon…..” durante l’annuncio dei quintetti è stata una mazzata. In cuor mio posso essere felice di essere stato presente alla sua ultima partita non sapendo che sarebbe stata l’ultima.

Voglio condividere un aneddoto personale che spiega l’uomo più che il giocatore. Novembre 2019, i Raptors sono freschi di titolo e io arrivo a Toronto con l’idea di sondare il terreno per un eventuale spostamento. È il mio primo viaggio oltreoceano e già che ci sono ne approfitto per andare a vedere la mia prima partita NBA. Capirete sicuramente l’emozione. La mia ragazza mi consiglia di fare un cartello, sai mai che…. E lo faccio. Arriviamo in larghissimo anticipo all’arena, la canotta #43 fresca di acquisto addosso, e Siakam è lì che si scalda.

Tiro su il cartello tremando come una foglia, l’espressione inebetita per essere stato catapultato nel mondo che fino a pochi giorni prima guardavo solo in TV. Un fotografo lo vede, avvisa uno dei PR che mi fa segno di scendere verso la panchina. Incredulo mi avvicino e mi dicono gentilmente di aspettare lì la fine dell’allenamento per incontrarlo. Nel mentre mi passano di fianco e mi salutano i vari Powell, VanVleet, Gasol.

Pascal finisce la sua routine e arriva sorridente, mi stringe la mano e mi chiede “Ma davvero sei venuto fin dall’Italia per questo? Com’è andato il viaggio?”. In tutto questo io biascico una risposta a malapena intelligibile, tanta era l’emozione che mi ero pure dimenticato di avere un pennarello in tasca per far firmare la maglia (uno dei più grandi rimpianti della mia vita). Scambiamo due chiacchiere, il fotografo dei Raptors scatta una foto, parliamo ancora un momento e ci facciamo un’altra foto col mio telefono, mi saluta e andando verso gli spogliatoio si ferma a parlare con altri che, come me, erano lì praticamente solo per lui. Uno ad uno.

E lo ha fatto tutte le volte. Tutte le volte che ha visto qualcuno con la sua maglia in attesa all’ingresso del tunnel si è fermato quantomeno a dare un cinque e scambiare un sorriso. Negli ultimi due anni l’ho visto compiere questi piccoli gesti una quantità infinita di volte. Lui stesso racconta dell’effetto che gli fa tutt’ora vedere una sua maglia in tribuna.

Quando sono stato scelto, il mio agente è andato al negozio della squadra per comprare una maglia di Siakam… e non l’avevano nemmeno in vendita! La prima volta che ne ho vista una sugli spalti, guardandomi intorno durante gli inni, ho praticamente esultato.

Maglie “Siakam 43” ce ne sono state da allora in avanti e ce ne sono tutt’ora. Nessuno se lo dimentica. Un titolo, qualche riconoscimento individuale, più di un record di franchigia in tasca. Toronto è una città riconoscente verso i suoi giocatori, presenti e passati, stelle e comprimari. Con lui si è chiuso un cerchio, l’ultimo dei cinque titolari del campionato vinto nel 2019 ad essersene andato altrove. Accompagnato gentilmente alla porta, sarebbe meglio dire, ma questa non è la “Lettera di un tifoso incazzato con la dirigenza”, questa è un’altra storia.

Pascal Siakam è stato Toronto per otto anni e nessuno dubita del fatto che un po’ di tutto quello se lo sia portato in Indiana. Non ho sbagliato a scrivere, è stato proprio parte integrante del tessuto della città.

Quando il mese prossimo tornerò da avversario e ci sarà l’inno nazionale, mi guarderò intorno. Spero di trovare almeno un’altra maglia. E di nuovo esulterò dentro di me. Avrà comunque un grande significato. Perché è sempre una cosa di Toronto. E io sono Toronto per sempre.

Ne hai viste più di una, Pascal, ma avevo pochi dubbi su questo. Un giorno, per il lieto fine, la vedrai anche appesa di fianco al banner del titolo, com’è giusto che sia. Lassù, nell’Olimpo di Toronto. Per sempre.