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Questo contenuto è tratto da un articolo di William C. Rhoden per Andscape, tradotto in italiano da Marco Marchese per Around the Game.


Da tempo ormai tra tifosi e addetti ai lavori sono iniziate le discussioni sul valore “storico” della carriera di Nikola Jokic, e su quella che sarà la sua legacy al momento del ritiro dal basket. Il discorso è stato avviato quando è stato nominato per la seconda volta consecutiva MVP della Regular Season, ma sicuramente è entrato nel vivo durante questi Playoffs, con i Denver Nuggets che hanno raggiunto per la prima volta le NBA Finals e ora si trovano a una vittoria dal titolo.


Personalmente, drizzo le antenne quando un giocatore bianco eccelle in una lega dominata da atleti neri, perché questo tende a suscitare reazioni sproporzionate da parte dei media. Non basta dire che questi atleti siano grandi giocatori, bisogna dire che sono tra i migliori di sempre, i più intelligenti, quelli che trasformano di più il gioco.

In marzo, l’ex giocatore NBA e oggi analista televisivo Kendrick Perkins ha avanzato l’ipotesi secondo cui nella candidatura di Nikola Jokic come MVP per il terzo anno consecutivo ha avuto un grosso peso la questione razziale (nonostante, alla fine, la maggioranza dei votanti ha eletto Joel Embiid). Perkins ha citato dei numeri e ha parlato di stat padding, ma la sua opinione più discussa riguarda il fatto che il Great White Hope-ism abbia contribuito ad elevare la stagione del serbo. Per quanto pesante, quest’affermazione ha comunque toccato un nervo scoperto della società e della cultura americana.

Ovviamente, Jokic ha giocato una grande stagione e ora sta dando un’ulteriore e forse definitiva prova del suo fenomenale talento durante la post-season. In queste settimane è diventato il terzo giocatore nella storia della lega a mettere a referto una tripla-doppia di media ai Playoffs, raggiungendo LeBron e Johnson. Non ho problemi quando si parla della sua grandezza, ma sono perplesso quando sento delle celebrazioni eccessive della sua grandezza; ovvero, quando sento parlare di “miglior centro mai visto in NBA”, quando sento le parole of all time entrare nella discussione.

Prima di tutto, “all time” comprende un periodo di tempo troppo vasto, ed andrebbe utilizzato quasi soltanto per atleti che si sono già ritirati. Semplicemente, perchè ci sono ancora troppi chilometri di cammino sportivo da percorrere per Nikola prima che possa sedersi tra i migliori sulla cima del l’Everest.

Tra l’altro, Jokic non sembra affatto curarsi di tutto ciò. Sabato, prima di Gara 2, gli ho chiesto che impatto hanno questi Playoffs sulla sua legacy, su come si vede entro i prossimi cinque anni; e Nikola ha risposto di non essere abituato a pensare in questi termini:

Ad essere sincero, non penso molto in questa prospettiva. Scendo in campo e basta, gioco e sono concentrato soltanto su questo, non ho mai dato peso a statistiche, classifiche o cose simili di cui i media spesso mi parlano. Cerco solo di vincere una partita dopo l’altra, proseguendo step-by-step e scendendo in campo per vincere ogni partita. Penso semplicemente così.

Nikola Jokic

Ovviamente, sono i media e non il giocatore ad alimentare la narrativa. Secondo Pew Research, l’82% degli addetti ai lavori nei media sportivi è bianco-caucasico e di genere maschile; e ciò non significa che i giornalisti bianchi rappresentino un unico monoblocco di pensiero, ma semplicemente che gli atleti sono costantemente “filtrati” attraverso un prima bianco. E credo che spesso questa situazione sfoci in eccessiva esaltazione di atleti bianchi che eccellono nei cosiddetti black sport.

Perkins non diceva qualcosa di sbagliato, si è solo seduto nel posto sbagliato. Quello che voleva dire è c’è un bias nei confronti dei giocatori afroamericani in NBA, ovvero che c’è un’immediata tendenza alla divinizzazione dei giocatori bianchi che eccellono in leghe sportive come NBA ed NFL, oggi dominate da atleti neri.

Dopo più di un secolo, la problematica razziale continua a persistere all’interno del mondo dello sport. Ma per varie ragioni l’NBA merita di essere premiata in questo: negli anni ’50 il primo atleta afroamericano entrava nella lega e per parecchi anni è stato imposto un limite al numero di neri all’interno del roster, mentre oggi i giocatori afroamericani sono lo standard e anzi rappesentano l’eccellenza dell’NBA.

La prematura “santificazione” di Jokic è una manifestazione contemporanea della Great White Hope nata nel 1908, quando Jack Johnson (pugile) è diventato il primo Heavyweight Champion afroamericano della storia, dando il là alla frustrazione della popolazione bianca statunitense. Subito dopo la vittoria di Johnson contro Tommy Burns, lo scrittore Jack London lanciò un appello al campione precedente, James J. Jeffries: “Ti prego, muoviti da quella tua fattoria e vieni a togliere quel sorriso aureo dal viso di Jack Johnson. Jeff, è tutto nelle tue mani!”

Col senno di poi, l’appello di Jack London è stato vano e ha costretto un 35enne Jeffries a lottare “per l’onore bianco” contro un Johnson più giovane e più affamato, che rappresentava sul ring tutta la comunità nera ai margini della società statunitense dell’epoca. Johnson ha sconfitto Jeffries favorendo la nascita della Great White Hope.

L’uso del termine è tornato in auge svariate volte nel corso degli anni, come negli anni ’90 nel caso di Jason Williams, conosciuto come White Chocolate per via del suo modo di giocare (nomignolo che, tra l’altro, sembrerebbe apparentemente inventato da un media relations assistant afroamericano). Williams e il suo stile di gioco venivano messi in evidenza per il paragone con lo stile dei giocatori afroamericani, ma allo stesso tempo gli stessi neri non venivano esaltati, perché per loro quello stile risultava praticamente scontato. E mentre White Chocolate veniva applaudito perché giocava “da nero”, molti giocatori neri venivano snobbati dal pubblico.

L’idea di fondo è la stessa espressa ai tempi da Dennis Rodman, dopo una sconfitta dei suoi Pistons contro i Celtics di Larry Bird, durante i Playoffs 1987. Rodman disse ai giornalisti che Bird era “molto sopravalutato”, e che per vincere i suoi MVP e raggiungere quello status era stato aiutato dall’essere bianco. “Larry Bird è un grande giocatore, davvero. Ma se fosse stato nero, sarebbe certamente un’altra storia.”

A Rodman ha fatto eco il suo compagno di squadra, Isiah Thomas: “Penso che Larry sia un ottimo giocatore, davvero bravo. Ha davvero un talento eccezionale. Ma concordo con Dennis: se fosse nero, sarebbe semplicemente tutta un’altra storia.”

Entrambi hanno poi trascorso i successivi 35 o più anni di vita cercando di spiegarsi meglio e chiedendo scusa per queste affermazioni. Thomas è volato a Los Angeles prima di Gara 2 dei Playoffs 1987 per una conferenza stampa condivisa con Bird, in cui spiegava la ragione dei suoi commenti: ha detto che stava esagerando, e che il suo disappunto era rivolto agli stereotipi di giocatori bianchi e neri perpetuati dai media. Secondo Isiah, per loro i giocatori bianchi erano intelligenti e lavoravano duro, mentre i neri erano solo dei talenti naturali. 

Nel corso degli anni, i media sportivi sono migliorati nella descrizione degli atleti neri, anche se Jokic viene regolarmente elogiato per il suo gioco cerebrale e per la straordinaria padronanza dei fondamentali, che compensano la sua mancanza di atletismo esplosivo. In ogni caso, Jokic non ha un gioco “da nero”, ha un suo stile, con passaggi e tiri da ogni posizione che lo rendono un rebus senza soluzione per le difese avversarie.

Le performance del serbo nelle ultime tre stagioni parlano da sé, specie se ci si riferisce agli attuali Playoffs. Non gli serve un coro a beatificarlo oltre i suoi meriti, ma credo che questo avvenga all’interno del mondo dei media. È un giocatore di enorme talento, ovviamente, ma deve giocare e percorrere tanta strada nella sua carriera, passo per passo, prima che possa essere nelle classifiche dei migliori di sempre. Che traguardi avrà raggiunto tra sette anni? Quanti titoli avrà vinto? E quanti altri MVP? Riuscirà a superare ostacoli e difficoltà, e mantenere costantemente questi livelli?

La miglior cosa da fare, quindi, è sedersi e ammirare questo grande, grandissimo giocatore, dotato di un talento straordinariamente unico. Senza il bisogno di elevare il suo status oltre il necessario.