
Kevin Durant, ma anche LeBron James, Stephen Curry, James Harden e via dicendo, giocano in NBA da quasi due decadi – addirittura da oltre, nel caso di LBJ. Hanno vissuto il cambiamento del gioco sulla propria pelle, lo hanno anche innescato e vi si sono camaleonticamente adattati. Sono passati dall’era delle grandi ali dal jumper purissimo dal mid-range, degli iso post e del ritmo più basso, al pace più sostenuto della storia recente, con la scomparsa del tiro dalla media distanza per andare alla ricerca di una maggiore efficienza matematica, spartendo la shot chart generale prevalentemente tra ferro e tiro da tre punti.
Una pallacanestro più “noiosa” e troppo monotona, per alcuni, e una rivoluzione analitica da studiare e scoprire attraverso i dettagli, per altri. C’è chi, come Rudy Gay e Carmelo Anthony, ha rivelato di aver fatto molta fatica a mettere da parte il proprio ego, finendo fuori dalla Lega, e chi invece ha plasmato sé stesso e il gioco in modo da elevare addirittura le proprie prestazioni, come i Curry, gli Harden e i Durant del caso. Proprio quest’ultimo è recentemente intervenuto su The Athletic riguardo a una questione molto calda, quella della negatività attorno al prodotto NBA da parte di molti fan – che seguono la questione del calo dei rating TV:
Penso che stiamo toccando l’apice della pallacanestro. Sento che il gioco si evolverà sempre in qualcosa di diverso, ci saranno sempre giocatori capaci di cambiare mentalità su come vincere una partita di basket. Ora, come vedete, credo che i lunghi stiano iniziando a tornare in auge, e i lunghi più dominanti sono quelli attraverso cui vuoi far sviluppare l’attacco. Penso che il gioco sia in continua evoluzione e se ci si lamenta troppo non si riesce a vedere la bellezza di ciò che sta accadendo.
Ovviamente nulla è perfetto e ci saranno lamentele da più parti, con persone che vogliono vedere le cose in modo diverso. Ma, per la maggior parte, si vede la crescita. Si vedono i giocatori migliorare. Le ultime sei squadre che hanno vinto il titolo sono state tutte diverse. Ci saranno lamentele da tutte le parti, ma credo che il gioco sia in un momento positivo.
Questione, quella dei rating, comunque fuorviante e senza alcun senso, considerando che ormai gli introiti della Lega sono legati a decine di altre fonti, come abbiamo provato a spiegare nel dettaglio QUI. Anche perché i 76 miliardi di dollari di accordo sui diritti media appena firmato, e che durerà per undici anni, non esisterebbero. E con esso nemmeno la compravendita di franchigie – come Boston Celtics e Minnesota Timberwolves, fra le più recenti – a prezzi esorbitanti. O ancora la collaborazione con FIBA in Europa e potenzialmente l’espansione NBA verso città quali Las Vegas, Città del Messico o Seattle – abbiamo parlato QUI di potenziali owner per i nuovi Sonics. Ma la ricchezza non è certo indice di qualità.
La lunghezza esagerata delle gare, con timeout infiniti per favorire anche un maggior numero di inserzioni, rende sicuramente l’esperienza televisiva problematica. E per chi prova a salvarsi con League Pass o NBA App, almeno in Europa, i problemi tecnici sono sempre un po’ troppi, nonostante i miglioramenti di questa stagione. Quanto al campo, l’eccessivo vantaggio dell’attacco è un fattore assolutamente reale, sia per la questione dei tre secondi difensivi – che si potrebbe tentare di rimuovere, visto l’atletismo medio cresciuto a dismisura di pari passo con l’abilità tecnica delle chiusure al ferro, e in generale lo sviluppo tattico di squadra – sia per il “bug” sui contatti – ostruire l’andamento di un giocatore sarà sempre fallo, ma sono sempre più i grandi attaccanti palla in mano capaci di accelerare e decelerare al momento giusto per ottenere giri gratis in lunetta (che significano altre pause).
Paradossalmente, all’aumento forsennato del ritmo partita corrispondono pause sempre più lunghe, inglobando lo spettacolo pirotecnico dei 48 minuti in maratone di 3 ore – insostenibili per l’essere umano comune, che ha una vita oltre alla pallacanestro. E si potrebbe proseguire con problematiche strutturali, come il numero eccessivo delle gare stagionali, alla quale si intrecciano conseguenze come infortuni e load management, o il “tanking”, l’accumulo di sconfitte volontarie in vista del Draft successivo.
Che il talento generale sia ad un livello mai visto prima, come implica l’affermazione di KD, è assolutamente vero. Ma l’abilità di vendere un prodotto di qualità assoluta a qualunque porzione di pubblico è nell’interesse della Lega tanto quanto la progressiva crescita del prodotto stesso. Dare retta a un pubblico che parla per slogan o che segue falsi miti e luoghi comuni non è sicuramente una strategia commerciale saggia, ma non lo è nemmeno silenziare con questa scusa anche quelle voci razionali, fingendo che tutto sia perfetto così come è – anche perché, come ha detto lo stesso Durant, “nulla è perfetto”.