Foto: NBA.com

Questo contenuto è tratto da un articolo di Branson Wright per Andscape, tradotto in italiano da Anna Cecchinato per Around the Game.


Prima di diventare una lottery pick, un All-Star e di conquistare una prima presenza nei Playoffs di quest’anno, il piccolo Darius Garland aspettava con pazienza che il suo eroe rientrasse a casa dopo una giornata di lavoro. “Quando avevo 3 o 4 anni, avevo un canestrino Little Tikes,” racconta Garland, oggi point guard dei Cleveland Cavaliers. “Mi mettevo sulla porta ad aspettarlo indossando una divisa da basket e una fascia per capelli”.


Poi, per una trentina di minuti, cinque giorni alla settimana, padre e figlio si dedicavano alla pallacanestro. “Lui si sedeva sul pavimento e lanciava lob da lì, io tiravo in fadeaway e cadevo come Kobe”, racconta. “Non vedevo l’ora di vedere mio padre. Quei ricordi mi rimarranno per sempre impressi nella memoria”.

Quei primi anni di momenti passati con il padre, un ex giocatore NBA, hanno gettato le basi per l’ascesa di Garland come cestista. “Era una spugna”, racconta Winston Garland, che ha militato per 7 anni nella lega. “Pendeva dalle mie labbra quando si parlava di farlo giocare come playmaker”.

“Sono riuscito ad imparare i fondamentali molto velocemente”, racconta Garland. “Ho imparato tutte le piccole cose ad un’età più giovane rispetto agli altri ragazzini. Mi ha insegnato i cambi di velocità. Molti atleti giocano a una sola velocità, vanno sempre a 100 chilometri all’ora. Il cambio di velocità sbilancia i difensori”.

Il cambio di velocità e i fondamentali si sono spesso visti negli anni della formazione di Garland sul campo da basket di Embassies of Christ di Gary, nell’Indiana. Garland non si limitava solo a tenere testa a ragazzi molto più grandi di lui: “A 10 anni giocava contro ragazzi di 15 e 16 anni”, racconta Tim Baker, che gestisce la palestra. “All’inizio i ragazzi più grandi si lamentavano e si chiedevano cosa ci facesse lì questo ragazzino, ma presto scoprivano il perché. Darius giocava playmaker, tirava e umiliava quei ragazzi perché il suo QI era molto alto. Sapete, tutti quei crossover assurdi che fanno i ragazzi… Darius non li faceva. Si muoveva senza palla e portava blocchi. Quando gli avversari tiravano, si metteva in posizione di tagliafuori. Era pallacanestro fondamentale nella sua massima espressione”.

Una volta finite le partite, mentre gli altri ragazzi cercavano di schiacciare nel canestro opposto, Garland si dedicava a 100 tiri liberi, e poi tirava da punti diversi del campo. “Si capiva che Darius era stato allenato da qualcuno che conosceva il gioco ai massimi livelli”, spiega Baker.

Ha imparato da Winston Garland, seconda scelta al Draft 1987. Point guard di 188 centimetri, ha giocato con cinque squadre in sette stagioni, con una media di 9.4 punti e 4.7 assist. La sua seconda stagione è stata la migliore (14.5 punti, 6.4 assist, 4.2 rimbalzi e 2.2 palle rubate), con i Golden State Warriors di Chris Mullin e Mitch Richmond. A fine carriera, ha giocato anche una stagione in Italia.

Nel suo anno da senior a Missouri State, Winston Garland ha registrato una media di 21.2 punti e ha condotto la squadra al secondo turno del torneo NCAA; ha frequentato la Roosvelt, la stessa high school della leggenda Dick Barnett e dell’ex giocatore NBA Glen “Big Dog” Robinson; da junior, faceva parte della squadra di Roosvelt che si è classificata seconda in Indiana, e all’ultimo anno ha ricevuto una menzione d’onore come All-State.

“Winston non era dotato di grande atletismo, ma aveva un QI fuori dalla scala Richter”, ricorda Baker, anche lui ex giocatore di Roosvelt. “Winston era alto 170 centimetri al secondo anno, quindi sono state le sue abilità tecniche a farlo entrare in squadra, non la sua stazza. E ha trasmesso questo genere di conoscenze a Darius”.

Darius è il più giovane dei quattro figli (la sorella Kacie, i fratelli Desmond e Cody) del padre e della madre Felicia. “L’estate della terza media mi disse che voleva dedicarsi solo al basket”, racconta Winston. “Ero un po’ titubante perché penso che i ragazzi dovrebbero esplorare il più possibile senza dedicarsi ad un solo sport. Ma lui era determinato a concentrarsi solo sulla pallacanestro”.

Winston, però, aveva bisogno di più certezze. Sapeva che a suo figlio piaceva il basket, ma voleva che dimostrasse amore vero per questo sport. “Ha preso l’iniziativa e si è programmato i suoi allenamenti”, racconta. “Ha iniziato a impegnarsi in campo e a studiare. Io e mia moglie abbiamo capito che faceva sul serio e questo ci ha spinti ad aiutarlo a realizzare il suo sogno”.

Winston Garland elaborò un piano per aiutare il figlio a raggiungere il suo obiettivo di giocare nell’NBA. Vennero prese decisioni difficili: nel 2012 la famiglia di trasferì a Nashville, nel Tennesse, l’estate prima della terza media di Garland. Si trattava di una città familiare, dove il figlio andava di solito a giocare in AAU durante l’estate, e Winston conosceva il coach. Il trasloco è stato deciso perché la famiglia era convinta che avrebbe garantito al figlio una maggiore esposizione agli osservatori universitari rispetto a Gary; e dopo tutto, sportarsi in una nuova città avrebbe anche alleggerito il peso dell’essere figlio di una leggenda cittadina. “Tutti mi conoscevano nella zona. Temevo che questo potesse avere conseguenze negative, o che gli allenatori non lo avrebbero aiutato a crescere perché non vedevano quello che vedevo io. E poi ci siamo trasferiti perché Gary è cambiata, non è più quella in cui ero cresciuto”.

Garland è stato ammesso alla Brentwood Academy, una high school con un programma di preparazione al college che si distingueva anche nello sport. Suo padre si unì allo staff della squadra di basket come assistente allenatore.

Intanto, continuava la crescita della dedizione alla pallacanestro di Darius. “Quando ha iniziato a guidare al terzo anno, si alzava alle 5 del mattino e andava a scuola per lavorare sul tiro prima delle lezioni”, racconta Winston. “Era bello vedere la sua grinta e ambizione”.

Garland ha vinto tre premi consecutivi di Mr. Basketball del Tennesse, guidando Brentwood a quattro titoli statali in fila. Nell’ultimo anno ha viaggiato a una media di 27,6 punti ed è diventato un McDonald’s All American.

Garland, poi, ha firmato per la vicina Vanderbilt University, facendosi notare con 24 punti al debutto. Alla quinta partita della stagione, però, ha subito una lesione al menisco del ginocchio sinistro, in quella che si rivelò la sua ultima a livello collegiale.

Una settimana dopo l’intervento chirurgico, infatti, Garland ha sviluppato un’infezione che ha comportato un secondo intervento. E due mesi dopo, altre complicazioni hanno richiesto un terzo. Un calvario. “È stato molto più forte di me”, racconta Winston. “Ero davvero giù, ma Darius ci ha rassicurato sul fatto che sarebbe andato tutto bene. Diceva: ‘ Papà è solo un menisco’”.

Ancora adolescente, così, Garland ha vissuto il periodo più difficile della sua carriera cestistica. Nonostante le incertezze, ha continuato con la riabilitazione e la guarigione, non ha mai perso di vista il suo sogno, e quel periodo ha lasciato un segno indelebile. “È stato un periodo difficile, non lo augurerei nemmeno al mio peggior nemico”, ricorda Darius. “Tornare continuamente in sala operatoria e salire su quel tavolo era distruttivo a livello mentale. Pensavo che non avrei mai più potuto mettere piede in campo. Una battuta d’arresto del genere, non sapere se potrai mai tornare a fare ciò che ami… fa davvero male. Avere la possibilità di giocare significa molto per me”.

Per la gioia di Darius e della sua famiglia, nel 2019 è finalmente arrivato il momento, quando è stato selezionato con la quinta pick al Draft. Nella sua stagione da rookie ha viaggiato ad una media di 12.3 punti, che sono diventati 17.4 l’anno successivo. La scorsa stagione è stato selezionato come riserva All-Star e quest’anno è diventato il primo giocatore nella storia dei Cavs a viaggiare ad una media di almeno 20 punti, 7 assist e il 40% da dietro l’arco in una stagione. Insomma, ha contribuito da protagonista a portare i Cavs al quarto posto della Eastern Conference e all’unica partecipazione ai Playoffs senza LeBron James negli ultimi 25 anni.

“Mio padre mi ha sempre ripetuto che nei Playoffs fisicità e intensità aumentano molto, quindi di lavorare per farmi trovare pronto mentalmente, restare concentrato e giocare come so fare. Molte persone non hanno un padre nelle proprie vite. Posso parlare con lui al telefono, vederlo, abbracciarlo, e sono a posto finché non lo rivedo”.

Darius Garland e i Cavaliers si preparano ora ad una difficile Gara 5, in programma per mercoledì notte. Appesa a un filo la sorte di una stagione in ogni caso positiva.