Ai microfoni del podcast “The Old Man and the Three” di JJ Redick, Kevin Durant ha detto la sua sul suo passato e sul futuro della lega.

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Kevin Durant è uno dei giocatori più forti e in vista della lega e, considerati i trascorsi problematici con la stampa, vederlo in un’intervista durata più di un’ora non è certamente una cosa da tutti i giorni. Solo un ex giocatore come JJ Redick, che gode del rispetto di moltissimi addetti ai lavori, poteva riuscire a convincerlo, per una lunga chiacchierata nel suo podcast online “The Old Man and the Three”.

Dal canto suo, la carriera di KD offre parecchi spunti di conversazione, tra passato e presente, e molti sono stati sviscerati proprio in questa occasione.

Ecco alcuni passaggi



  • Trade Harden

Tornando indietro nel tempo di dieci anni, un passaggio importante della carriera di Kevin Durant è rappresentato dallo scambio che nel 2012 portò James Harden agli Houston Rockets. La partenza del Barba, che a Oklahoma era già un sesto uomo di lusso, si rivelerà poi un errore, considerati i risvolti della sua carriera.

“Sul momento ho pensato ‘andiamo avanti, concentriamoci su chi arriva e vediamo se funziona’, poi l’ho visto giocare le prime partite a Houston e ho pensato ‘aspetta, è stata una buona mossa?’. Il me del 2022 andrebbe dal front office e chiederebbe di tenerlo, ma all’epoca non sentivo di avere quel tipo di relazione con il GM”.

  • Il superteam a Golden State

Parlando invece della parentesi ai Golden State Warriors, squadra nel quale il 33enne ha vinto due titoli, JJ Redick gli chiede della difficoltà di giocare in un superteam, dovendo dividere il carico offensivo con altre due star come Stephen Curry e Klay Thompson:

“Non è stato un problema perché eravamo sulla stessa lunghezza d’onda, volevamo vincere. So che sembra semplice ma è davvero così. A Golden State dal primo all’ultimo, dal proprietario ai raccattapalle, avevamo lo stesso obiettivo. È una cosa importante. Approcciavamo ogni giorno con mentalità vincente.
L’ho capito fin dal primo momento. Avevano perso le Finals (2016) in quel modo, quindi erano tutti affamati, volevano vendetta. Era una sensazione rara”
.

A proposito degli anni in maglia Warriors, uno dei momenti importanti è stata sicuramente la serie contro i Rockets nelle Western Conference Finals del 2018. I Dubs, forti della loro squadra da record, arrivavano alla serie da favoriti, ma riuscirono a spuntarla solo in Gara 7, complice anche un infortunio di Chris Paul nel corso della serie.

“Non stava funzionando nulla. Loro cambiavano letteralmente su ogni blocco. Noi avevamo un attacco che si basava sul movimento di palla, loro ci forzavano a giocare sempre in uno contro uno e avevamo giocatori che solitamente non giocavano quasi mai in isolamento. Klay di solito tirava uscendo dai blocchi, non tirava molto dal palleggio, quindi eravamo solo io e Steph a dover giocare in isolamento e la squadra non era per niente abituata a quello. Con l’andare della serie abbiamo capito alcune cose e l’infortunio di Chris Paul ci ha sicuramente aiutati”.

  • La serie contro i Bucks

Andando più sul recente, un argomento non poteva che essere la serie persa all’overtime di Gara 7 contro i Milwaukee Bucks durante gli scorsi Playoffs. Kevin Durant in particolare si è reso protagonista di due prestazioni individuali storiche, specialmente quella di Gara 5, in cui mise a referto 49 punti e 10 assist:

“In quella partita penso che il loro game plan fosse ‘fermiamo bene gli altri perché KD non può batterci da solo’, quindi non erano molto aggressivi su di me, mi lasciavano in 1 contro 1 e hanno usato la drop coverage per tutta la partita. Ho messo 17 tiri su 23 perché era come una partita di Regular Season per come stavano difendendo su di me.
Penso ci abbiano sottovalutati in quella partita, dopo hanno un po’ intensificato la difesa”
.

“Fu importante per me perché quando torni da un infortunio così grave hai qualche dubbio sulle tue abilità fisiche. Volevo testarmi, e quella era la squadra migliore che potessimo incontrare, e giocare 48 minuti contro di loro era il test migliore in assoluto per vedere cosa riuscivo a fare. Quindi giocare in quel modo è stato davvero fondamentale per me”

  • Le prestazioni da 60/70 punti

Pur essendo considerato uno dei migliori realizzatori della storia del gioco, Kevin Durant non è meno solito a partite da 50 o 60 punti rispetto ad altri giocatori. Il suo career-high, ad esempio, è 55. Qui spiega il motivo secondo lui:

“Spesso quando i giocatori segnano 60 o 70 punti è perché il coach avversario non fa aggiustamenti. Se a inizio partita porto palla in un pick&roll e difendono in drop, e io metto il tiro, probabilmente fanno un aggiustamento, e non avrò più tiri open dal pick&roll. Ci vuole molto ad arrivare a quelle cifre, 15 o 16 tiri liberi o triple wide open, e io non ne ottengo molte. Tirando contestati da due giocatori è difficile arrivare a 60 punti. Devo adattarmi agli aggiustamenti dell’avversario durante la partita”.

  • Il futuro della lega

C’è spazio anche per parlare della direzione verso cui sta andando il basket NBA, e su che tipo di gioco vedremo nel futuro:

“Nel futuro ci saranno solo giocatori alti 2 metri che possono giocare sia da point guard che da centro, questa è la mia teoria. Basta guardare i Clippers e i Raptors, che stanno collezionando esterni con quelle caratteristiche: altezza, forza, abilità”.


Questi erano solamente alcuni passaggi della chiacchierata. Qui sotto potete trovare l’intervista completa: