Una riflessione sui Mondiali FIBA e sul gap rimasto tra i due mondi cestistici

Sono finiti i Mondiali FIBA, uno spettacolo che ci ha regalato emozioni e sorprese attraverso un altissimo livello di pallacanestro.

Esattamente come quattro anni fa, non hanno vinto gli Stati Uniti. Ed esattamente come quattro anni fa, Team USA non è nemmeno riuscito a conquistare una medaglia. Tre sconfitte, due contro squadre europee, che hanno fatto risorgere discorsi sentiti e risentiti nel corso degli ultimi anni, diventati inevitabilmente sempre più rumorosi.

Se è vero che nessuno riesce a strappare l’oro olimpico dalle loro mani dal 2004, è anche vero che, portando i migliori della classe (o quasi) Team USA ha vinto a fatica nel 2008, nel 2012 e poi ancora nel 2021, con finali decise da pochissimi punti. Inoltre, il segnale dato dalle ultime edizioni dei Mondiali non può essere ignorato: due volte gli Stati Uniti hanno portato roster di terza fascia rispetto a quelli che avrebbero a disposizione, due volte sono finiti fuori dal podio.


Insomma, come detto da Steve Kerr, “Non siamo più nel 1992”, e questo era già chiaro da tempo. Occorre però specificare subito il perché le condizioni siano estremamente diverse rispetto ad allora; per quanti discorsi sterili si possano fare sul modo di giocare oltreoceano e sul celebre luogo comune del “tiro al piccione” (tenete a mente che la Germania ha battuto Team USA tirando e segnando più triple), il segreto di Pulcinella è che il livello della pallacanestro internazionale è cresciuto a dismisura rispetto a 30 anni fa.

In Europa e non solo si crescono sempre più talenti validi, e di conseguenza sempre più squadre in grado di dar battaglia alle varie selezioni degli Stati Uniti, senza nemmeno più il timore reverenziale di una volta.

Arriviamo dunque alle domanda che molti si stanno ponendo: che conclusioni trarre dai risultati della FIBA World Cup? Il gap tra i due mondi cestistici è davvero vicino all’essere colmato?

“In NBA c’è meno difesa e meno tattica”

“In NBA non si difende” è un’opinione diventata ormai fin troppo diffusa, e ciò è preoccupante vista la superficialità del ragionamento. Chi lo sostiene si lascia probabilmente trascinare da sensazioni, luoghi comuni e punteggi schizzati alle stelle, ma la risposta alle sconfitte di Team USA va certamente cercata altrove.

E’ oggettivo che la lunghezza della Regular Season e l’interpretazione del regolamento spesso tendente allo strizzare l’occhio agli attacchi siano causa di una certa intermittenza nell’intensità e nell’efficacia di alcune difese NBA durante la stagione. Ma con quel tipo di personale fisico e atletico a disposizione, le difese NBA sono comunque le migliori al mondo, e durante i Playoffs lo dimostrano.

Come si spiegherebbe, altrimenti, che il fresco MVP dei Mondiali, Dennis Schroder, che ha fatto sostanzialmente ciò che ha voluto durante la competizione (fatta eccezione per la partita contro la Lettonia), non sia altro che un buon comprimario oltreoceano? Eppure, teoricamente, i maggiori spazi dovrebbero risaltare le sue caratteristiche. E di esempi così se ne trovano parecchi.

La critica rivolta alla bontà tattica delle partite NBA è altrettanto approssimativa. E’ vero, non si vedono gli attacchi corali che si vedono in Eurolega, ma è spesso solamente una diretta conseguenza del maggior talento a disposizione. Quando hai giocatori in grado di creare vantaggio con la loro sola presenza, non hai bisogno di elaboratissimi set offensivi per costruire un buon tiro. Sempre rimanendo in tema Mondiali, lo dimostra il gioco Doncic-centrico della Slovenia, e soprattutto il sistema offensivo semplificato con cui la Germania ha vinto la medaglia d’oro.

Non va inoltre ignorato che, tra le squadre vincitrici dell’anello dal 2014 a oggi, si trovino moltissimi sistemi corali dediti al “bel gioco”: i San Antonio Spurs 2014, i Golden State Warriors e i Denver Nuggets della passata stagione.

Insomma, rassegnatevi: la risposta non va trovata nei luoghi comuni. E’ necessario scavare più a fondo.

Contestualizziamo: approccio diverso, competizione particolare

Lungi da me dare scuse a Team USA. Hanno indubbiamente deluso, perdendo meritatamente tre partite prima di tutto sul piano dell’esecuzione offensiva e difensiva. Ciò non significa, però, che non si debba contestualizzare cosa significhi per loro partecipare ad una competizione come i Mondiali.

Le selezioni degli Stati Uniti sono sostanzialmente selezioni da All-Star Game. Vengono riuniti diversi talenti, spesso tutti abituati ad essere le stelle della propria squadra, e messi in competizione contro le migliori Nazionali del mondo senza nemmeno dargli il tempo necessario per abituarli a giocare insieme.

Al contrario di molte Nazionali europee, i Team USA non sono mai stati e non saranno probabilmente mai delle squadre nel vero senso del termine, non possono esserlo. Non possono costruire gli equilibri necessari per armonizzare l’attacco, e nemmeno le dinamiche di conoscenza e comunicazione che servono per difendere nel modo corretto.

Come se non bastasse, devono anche prendere le misure con una pallacanestro diversa, con misure diverse e regole diverse, senza poterne conoscere i segreti e i dettagli fondamentali per fare la differenza.

Sono dunque costretti a sopperire con il talento, ma quando questo non è strabordante e gli avversari sono di alto livello, può non bastare. Specialmente in una competizione ad eliminazione diretta come quelle internazionali, in cui bastano 3 o 4 minuti di svarioni (fisiologici per una non-squadra) per compromettere il percorso verso la medaglia d’oro.

Per assurdo, se gli Stati Uniti scegliessero solamente due stelle e le affiancassero ad un cast di supporto composto da comprimari funzionali, dandogli il tempo di creare l’amalgama giusta, avrebbero sicuramente più chance di vincere l’oro mondiale. Ma rimarrà sempre un discorso ipotetico, perché non c’è il tempo e non c’è la volontà di scontentare i diversi giocatori forti che richiedono di partecipare alle spedizioni.

Non vi stupite dunque se, tra un anno, vedrete Stephen Curry, LeBron James e Kevin Durant dover faticare per vincere l’oro olimpico. Gli sport di squadra hanno regole stringenti che non si possono scavalcare con il solo talento individuale.

E nonostante ciò, la semifinale contro la Germania è stata decisa da soli tre punti. Un canestro in più da una parte e uno in meno dall’altra e oggi forse parleremmo di un oro degli Stati Uniti nonostante l’assenza dei “superbig”, e leggeremmo esagerazioni sul fronte opposto sul distacco tra i due mondi. Per non parlare del Canada, arrivato in fondo alla competizione senza due dei suoi tre pezzi più pregiati (Jamal Murray e Andrew Wiggins).

Conclusione

La risposta alla domanda principale, dunque, è a mio parere un secco no. Per quanto il basket internazionale abbia indubbiamente ridotto la differenza e continui a farlo, gli Stati Uniti sono ancora su un livello diverso. Il risultato del Mondiale, una volta considerate tutte le condizioni di cui abbiamo parlato sopra, non può essere sufficiente a dimostrare il contrario.

Anche puntare il dito contro l’NBA nel confronto con l’Eurolega è sbagliato, oltre che controproducente: la lega statunitense rimane il punto di riferimento assoluto del mondo della pallacanestro, e tutti i migliori giocatori, compresi quelli internazionali (tra cui i protagonisti della finale dei Mondiali come Schroder, Franz Wagner e Bogdan Bogdanovic), ne fanno parte. Le preferenze personali sono libere, ma se cercate il livello di basket più alto lo troverete lì ancora per molto tempo.