Il tre volte All-Star racconta degli anni a Philadelphia, degli infortuni, della nazionale e di molto altro.
Questo contenuto è tratto da un articolo di Marc J. Spears per Andscape, tradotto in italiano da Marta Policastro per Around the Game.
Anche se per alcuni appassionati di NBA sarà difficile crederci, Ben Simmons sembra aver recuperato la fiducia in se stesso e afferma di non essersi mai sentito così bene negli ultimi due anni.
“Sono emozionato perché so che finalmente potrò tornare a giocare ad alto livello”, ha raccontato Simmons ai microfoni di Andscape, il 25 agosto. “Non mi interessa quello che dice la gente, il mio passato parla per me: sono stato All-Star, All-NBA e nel Defensive Team e mi sembra di aver dimostrato quanto valgo. Finalmente posso tornare dove mi merito di essere: in campo, a competere con i migliori giocatori al mondo”.
Dopo essere stato chiamato con la prima scelta assoluta al Draft del 2016, Simmons è stato eletto Rookie of the Year nel 2018. Vanta tre convocazioni all’All-Star Game, un inserimento in un quintetto All-NBA e due nel miglior quintetto difensivo della lega. Tuttavia, la sua carriera è stata anche caratterizzata da infortuni, critiche e difficoltà psicologiche, specialmente dopo l’eliminazione dei Sixers dai Playoffs del 2021, seguita dalla trade che lo ha portato a Brooklyn. Il nativo di Melbourne è stato anche duramente criticato per non aver preso parte agli impegni con la nazionale australiana. Il giocatore ha saltato la stagione 2021- 22 a causa di un infortunio alla schiena e, la scorsa stagione, ha giocato solamente 42 partite a causa di una lesione a un nervo della schiena.
Durante questa offseason, trascorsa a Miami Beach, Simmons si allena cinque giorni a settimana per più di cinque ore al giorno, in vista della prossima stagione: si aspetta, al ritorno in campo, di giocare a un livello da All-Star.
“Per me tornare in campo ed essere di nuovo dominante sarà bellissimo”, ha affermato il giocatore. “Non voglio ripetere le prestazioni dell’anno scorso, perché quello in campo non ero io, ma la mia brutta copia. Quando penso alle mie recenti difficoltà, mi rendo conto di quanto sono stato bravo a superarle”.
Nell’intervista rilasciata ai microfoni di Andscape, Simmons ha toccato diversi argomenti: le aspettative per il ritorno in campo, l’esperienza con i Sixers, le critiche subite, la volontà di prendere parte alle Olimpiadi di Parigi con l’Australia, la stagione in maglia Nets, la relazione con coach Jacque Vaughn, la passione per la pesca e molto altro.
- Da quando ti sei trasferito a Miami, a maggio, ti alleni dal lunedì al venerdì. Come si svolge la tua giornata di allenamento?
Mi sveglio, faccio colazione e mi faccio trattare sul lettino per circa un’ora. A seconda della giornata, a volte faccio prima pilates. Lavoro su esercizi di carico per il ginocchio e poi vado sulla cyclette oppure direttamente in palestra. All’inizio lavoravo senza attrezzi, poi ho cominciato a usare il tapis roulant antigravitazionale. Dopo vado in campo, faccio pesi e tiro. È un allenamento di 5/6 ore al giorno; nel corso delle settimane, è diventato sempre più divertente perché aumentavano gradualmente i movimenti che avevo il permesso di fare.
- Come vanno i problemi alla schiena?
Prima, per me era difficile persino fare quelle piccole cose di tutti i giorni: alzarmi dal letto, stare in piedi, stare seduto a lungo. È stato frustrante avere questo dolore costante ed essere soggetto allo stress legato al fatto di non riuscire a giocare.
La gente non si rende conto di quanto fosse difficile fisicamente giocare in quelle condizioni. Non mi sembra vero che finalmente io possa stare seduto normalmente senza provare dolore. Mi sento al 100%, anche se è un po’ che sono lontano dal parquet e sto cercando di riabituare il mio corpo al gioco di contatto.
- Quando sono cominciati i dolori alla schiena?
A Philadelphia, durante la partita contro i Bucks nel febbraio del 2020: ho fatto un movimento strano e lì sono cominciati i dolori. Sono stato fortunato perché prima della bolla di Orlando il campionato si è fermato e ho avuto la possibilità di curarmi; stavo meglio, ma prima della trade con Brooklyn, mentre salivo le scale, la mia schiena ha ceduto e da lì in poi la situazione è peggiorata.
Qualche mese dopo, mentre mi stavo preparando per giocare in Gara 4 contro Boston, devo aver sforzato troppo la schiena in un 5 vs 5: il giorno successivo non riuscivo a muovermi e ho dovuto comunicare che non avrei giocato.
Ho deciso allora di farmi operare, ma la riabilitazione non è andata come mi aspettavo perché mi trovavo con persone che non conoscevo e che non sapevano di che cosa avessi realmente bisogno: mi dicevano di giocare ma io non ci riuscivo. Non riuscivo neanche a saltare, avevo paura di atterrare sul ginocchio sinistro.
Durante la stagione ho cercato di gestire il problema e di giocare, ma poi il problema è diventato troppo grande. La stagione scorsa mi limitavo a correre per il campo, portare blocchi e fare handoff perché erano veramente le uniche cose che riuscivo a fare. Poi ho capito che non era giusto che continuassi a giocare in quelle condizioni. La gente diceva che io non volessi giocare, ma volevo semplicemente vederci chiaro.
Il mio agente, Bernie Lee, è stato molto importante in questo senso, perché mi ha fatto fare alcuni esami: abbiamo scoperto che i problemi di ernia del disco erano la ragione per la quale non riuscivo a giocare come avevo sempre fatto. Ci siamo presi quest’estate per risolvere il problema e mi sono circondato di persone funzionali al raggiungimento dell’obiettivo: la scelta ha pagato perché mi sento veramente bene.
- Guardando al passato, non pensi che forse avresti dovuto parlare ai media del tuo infortunio, per evitare le speculazioni?
Le speculazioni vengono fatte sempre e comunque, a prescindere da quello che racconti: tu dici una cosa e quelli scrivono tutto il contrario. Alla fine, per me era importante circondarmi di persone di cui potessi fidarmi per la riabilitazione e che mi permettessero di tornare ai miei livelli. Sono molto competitivo e, per me, il fatto di non poterlo essere era molto frustrante. Adesso, grazie alle persone che mi stanno accanto, sono concentrato e determinato.
- La scorsa stagione, pensi di aver giocato quando forse non avresti dovuto?
Sicuramente, ma non mi sentivo nemmeno così male da non poter giocare. Come giocatore, mi piace mettermi alla prova, ma alla fine ho dovuto prendere una decisione per la mia carriera, mettendo in secondo piano gli interessi immediati degli altri.
Scendevo in campo sapendo che non avrei potuto fare determinati movimenti, il che è molto frustrante e imbarazzante, perché sai che gli errori banali sono sempre dietro l’angolo e commetterne uno ti fa perdere la concentrazione. Quando mio fratello è venuto a vedermi giocare, ha capito subito che non stavo bene e mi sono potuto sfogare con lui. Ma sono contento della situazione in cui mi trovo adesso e di non aver subito un’altra operazione.
- Hai ricominciato a fare gioco di contatto?
Sono due settimane che gioco 2vs2. Abbiamo iniziato con l’1vs1 perché ci fosse il minor contatto possibile, ma ora sto cominciando a prendere colpi e a muovermi di più. Il mio cervello si sta ancora riabituando a far fare al mio corpo determinati movimenti, ma mi sento bene e sto migliorando.
- Pensi che sarai pronto per l’inizio della stagione?
Certamente, se potessi giocare un 1vs1 con il Ben Simmons della scorsa stagione lo asfalterei.
- Dopo tutto quello che hai passato, ami ancora questo sport?
È divertente tornare in campo ad allenarsi e vedere il costante miglioramento. Il primo giorno di riabilitazione ho tirato da sotto perché potevo fare solo quello; da allora, grazie al duro lavoro e alla disciplina che mi sono imposto, ho fatto tanta strada.
- Ti senti più forte dal punto di vista fisico?
Sì, non sono mai stato così forte e il merito è degli esercizi che faccio in palestra: sono imprescindibili quelli per il core e quelli di carico per il ginocchio, che aiutano anche la schiena, così come il pilates.
È fondamentale che io sia in sintonia con il mio corpo, perché a quel punto tutto diventa più facile. A inizio carriera questa sintonia esisteva in modo naturale, mentre adesso devo ricrearla attraverso la riabilitazione.
- Vai mai su Youtube a guardare i video di quando eri al top della forma?
Sì e ogni tanto me li mandano per motivarmi. Ma io mi conosco, so di che cosa ho bisogno e come arrivare a quel risultato, un po’ come nella pesca: è divertente cercare di catturare il pesce usando diverse strategie.
- Hai dovuto rinunciare ai Mondiali. Ci sarai alle Olimpiadi di Parigi?
Sì, sono il mio obiettivo per l’anno prossimo. Ricevo continuamente messaggi da miei connazionali; Jock Landale, per esempio, mi ha scritto che vorrebbe che fossi in Giappone con la squadra. Io giocherò quando sarò pronto e per le Olimpiadi lo sarò.
- Sei ormai un pescatore esperto: c’è qualche insegnamento della pesca che si possa applicare al basket?
Voglio dedicarmi alla pesca delle aragoste: una volta ho pescato una ricciola da più di 40 kg e tirarla su è stato piuttosto faticoso! La pesca mi ha insegnato la pazienza e la cura dei dettagli, entrambe doti fondamentali per essere un buon pescatore.
- Da quanto tempo pratichi la pesca?
Da quando ho otto anni: andavo sulla spiaggia di Newcastle e pescavo dalle rocce. Ho sempre cercato di catturare i pesci in modo diverso e di essere più astuto di loro. È molto rilassante perché mi permette di lasciare da parte tutte le preoccupazioni, a prescindere dal fatto che riesca o meno a prendere il pesce.
- Sei stato a pescare al largo nell’oceano Atlantico?
Sono stato a Florida Keys e a Bimini; è stata un’esperienza divertente, anche se il tempo non è stato dei migliori e quindi abbiamo avuto un po’ fame in barca finché non abbiamo pescato degli sgombri. È stato stimolante mettersi alla prova pescando in un luogo diverso dal solito. Mi piacerebbe molto comprarmi una barca, è il mio prossimo obiettivo fuori dal campo.
- Da quando sei in NBA, hai sempre trascorso l’offseason a Los Angeles. Perché quest’anno hai scelto Miami?
Avevo bisogno di un cambiamento, anche se in realtà ho sempre sognato di trascorrere qui l’estate. Prima non potevo perché avevo molti impegni di lavoro a Los Angeles, quindi ho comprato una casa lì. Adesso però voglio trasferirmi a Miami perché mi sono accorto, vivendo qui negli ultimi quattro mesi, che mi sento a casa: posso andare a pescare e mi piacciono il clima la cultura della città.
- Kevin Durant e Kyrie Irving hanno richiesto una trade; perché tu no?
Io amo Brooklyn. A me interessava soltanto tornare in salute e adesso mi trovo in una grande città con un’ottima organizzazione, un ottimo coach e un ottimo GM, tutti desiderosi di vincere. Non c’è una squadra nello specifico per la quale vorrei giocare: giocare è il mio lavoro ed è l’unica cosa che mi interessa. Finalmente ora che sto bene lo potrò fare.
- Quale aspetto di Brooklyn ti piace maggiormente?
La cultura. I miei nonni sono del Bronx, così come mio papà. New York ha un’energia diversa da quella delle altre città ed è facile spostarsi. Dicono che sia difficile guidare in città, ma io la penso diversamente. In generale, ha una vitalità diversa rispetto a Miami, anche se mi piacciono entrambe.
- Quali sono stati i momenti peggiori della tua carriera NBA?
Ce ne sono stati tanti, per esempio quando, mentre ero infortunato, sono stato scambiato, oppure quando, nonostante l’epidurale alla schiena, non sono riuscito a giocare. Oppure ancora quando, finita la riabilitazione, sono tornato in campo ma mi sono reso conto che non mi sentivo come mi aspettavo. Oggi invece mi sento molto bene e sono emozionato per la prossima stagione.
- Se potessi tornare indietro, che cosa cambieresti?
Non cambierei nulla perché mi sta bene la situazione nella quale mi trovo. È facile dire di voler cambiare il passato, ma è proprio il passato che ti permette di imparare e di crescere. Mi piace pensare di aver toccato il fondo e di essere riuscito a risalire.
La schiena mi faceva veramente male e condizionava tutti i miei movimenti, anche quelli più semplici. Era come se fossi un’altra persona.
- Percepisco una fiducia in te stesso che non vedevo da tanto tempo.
Ho lavorato tantissimo e so che cosa sono in grado di fare. Manca ancora un mese al training camp e sono felice di poter usare ogni giorno da qui alla fine di settembre come un’opportunità per migliorare. Non ho alternative, devo tornare in campo ed essere all’altezza della situazione.
- Sai già in quale posizione giocherai l’anno prossimo? In passato hai giocato da centro.
Point guard, è il mio ruolo naturale.
- Ne hai già parlato con coach Vaughn?
Sì, ne abbiamo parlato e ha capito che potrà contare su di me per l’inizio della stagione.
- Perché ritieni di poter rendere di più come point guard?
Riesco a facilitare il gioco, prendo sempre la decisione giusta e ho fiducia in me stesso; so dettare i tempi di gioco e riesco a leggere le situazioni. Tutto questo si può fare senza che siano necessarie doti atletiche fuori dalla norma.
- Se la squadra non avrà problemi di infortuni, quanta strada farete?
Lo scoprirete presto. Questa domanda viene fatta spesso a inizio stagione, ma è difficile darle una risposta. Nessuno avrebbe mai pensato che Miami potesse arrivare in finale: se non ci sono problemi di infortuni e la squadra è in sintonia, si può raggiungere qualsiasi risultato.
- Molti mettono l’accento sulle tue difficoltà come tiratore. Su quale aspetto del tuo gioco stai lavorando?
Il tiro da sotto, i pull up jumper, le triple spot-up; insomma, sto lavorando un po’ su tutto per acquisire consapevolezza e fiducia.
- Che cosa pensi della tua esperienza a Philadelphia?
Mi sono divertito molto, ma avevo bisogno di un cambiamento e per questo motivo la trade è avvenuta nel momento giusto, anche se l’infortunio non mi ha di certo aiutato. Manterrò sempre un grande affetto per la città e, infatti, quando mi chiedono dove mi piacerebbe andare a giocare se fossi scambiato di nuovo, rispondo sempre che mi piacerebbe tornare a Philadelphia, che per me è come una seconda casa.
- Che cosa pensi della sconfitta in Gara 7 delle semifinali di Conference contro Atlanta, nel 2021? È stata la tua ultima partita in maglia Sixers. (Simmons è stato duramente criticato per aver rifiutato un tiro da solo sotto canestro, preferendo il passaggio a un compagno che ha in seguito subito fallo. In quel momento, mancavano 3:30 minuti alla fine della partita e i Sixers erano sotto 88- 86. Nella serie, Simmons ha viaggiato a 9.9 punti, 6.3 rimbalzi e 8.6 assist di media, sbagliando 30 dei 45 tiri liberi tirati. Dopo la sconfitta, Doc Rivers, all’epoca sulla panchina di Philadelphia, ha affermato di non essere sicuro che Simmons potesse essere il playmaker giusto per puntare al titolo NBA).
Non ricordo quella partita. Ricordo soltanto di aver passato la palla a un compagno che avrebbe potuto essere più preciso di me dalla lunetta. È stata solo un’azione, una decisione sbagliata, che non ha però influito sull’esito della partita. Ci sono molti aspetti della partita che sarebbe stato possibile migliorare, per esempio la mia prestazione ai tiri liberi.
- È meglio dimenticare e andare avanti?
No, è importante ricordarsi anche dei momenti peggiori per crescere. Adesso sono a Brooklyn e ho la possibilità di far capire a chi mi ha criticato che sbaglia. È questo il bello dello sport: quando giochi bene tutti ti amano, ma quando giochi male tutti ti odiano.
- Vaughn è stato a Miami tre volte durante questa offseason e ha partecipato ai tuoi allenamenti. Che cosa significa per te il fatto che sia venuto a Miami?
All’inizio non avevamo un buon rapporto, ma molto dipendeva anche dalla situazione in cui si trovava la squadra: lui aveva appena sostituito Nash, Durant e Irving erano andati via e io non stavo giocando. Prima Vaughn era assistant coach e non avevo avuto la possibilità di confrontarmi con lui. Ero solo un po’ frustrato per la mancanza di comunicazione e per il fatto che un giorno sembrava che fisicamente io fossi pronto per giocare mentre quello successivo no. Adesso il coach ha capito che metto passione in tutto quello che faccio, che mi piace faticare e che farò ciò di cui la squadra ha bisogno. Parliamo tutti i giorni e credo che sia un grande allenatore oltre che una grande persona. Grazie alla sua esperienza sul campo, riesce a instaurare un rapporto con tutti i giocatori.
- Cosa ne pensi della stagione dei Nets? Irving è stato sospeso per otto partite per aver promosso sui social un film antisemita e per essersi poi rifiutato di rinnegarne il contenuto e ha ottenuto una trade ai Dallas Mavericks, mentre Durant è passato ai Phoenix Suns. Tu invece hai saltato buona parte della stagione a causa degli infortuni.
La gente non sa di che cosa parla. L’NBA è imprevedibile e l’anno scorso sono successi molti fatti inaspettati. L’importante è giocare ed essere competitivi: questo è chiaro a tutti i miei compagni. Non deve esserci spazio per ciò che accade fuori dal campo.
Io per primo non uso i social media, eppure sono sempre al centro dell’attenzione.
- Perché le persone parlano spesso di te? Il loro odio ti motiva?
Non lo so, ma le prime scelte al Draft ricevono sempre particolare attenzione mediatica. Nel mio caso, forse dipende dal fatto che sono australiano.
Non sono motivato dall’odio e credo anche che “odio” sia una parola un po’ esagerata. Io non odio nessuno.
- Leggi quello che le persone dicono di te sui social media, in televisione o sui giornali?
Di certo non perderò tempo rispondendo a chi mi critica senza sapere di che cosa sta parlando: farò parlare il campo. Mi dicevano che avrei dovuto giocare in modo diverso, senza sapere che non riuscivo nemmeno a saltare. Adesso ho la possibilità di sfruttare tutto il duro lavoro di quest’estate per tornare a essere il giocatore di un tempo.
- Per quanto riguarda i problemi psicologici, c’è qualcosa che ti senti di condividere?
Dobbiamo tutti lavorare su noi stessi, perché tutti abbiamo problemi di diverso tipo. Io ho fatto un buon lavoro su me stesso e sono pronto a tornare in campo per fare ciò che amo.