
Si possono trovare 1000 ragioni diverse per attaccare il prodotto NBA, eppure viene sempre tirata in ballo quella sbagliata. A chiarire per quale ragione le visualizzazioni della Lega di pallacanestro più famosa al mondo non siano (ancora) un problema dovrebbero bastare i $76 miliardi, spalmati nel raggio di 11 anni, frutto dell’accordo firmato con ESPN/ABC, NBCU e Amazon Prime Video. Ma evidentemente non è così. Per stabilire un termine di paragone con la NFL, altra questione polarizzante che va tanto in voga, l’accordo firmato dalla Lega di football è di circa $113 miliardi sempre per un periodo di 11 anni, chiuso già dal 2021 ma all’attivo dalla stagione 2023. Cifre assolutamente superiori, che però non sembrano riflettere quel divario fra le due realtà spiattellato ovunque in forma dei tanto abusati dati Nielsen, quello strapotere incontrastato della NFL a fare sempre da esempio positivo nel dibattito generale sull’argomento. E questo dominio è reale, se ci si limita alla televisione “tradizionale”. Il problema, però, è che alle porte del 2025 la tv via cavo sia solo uno dei tanti modi di guardare sport, soprattutto negli Stati Uniti.

La percentuale maggiore di avidi consumatori nordamericani di pallacanestro NBA è compresa fra i 18 e i 34 anni, e comunque va poco oltre i 44, secondo i dati Statista. Le generazioni statunitensi più “giovani” hanno una chiara preferenza per lo streaming (Amazon Prime Video, ESPN+, Peacock, Paramount+, etc.) e per i servizi di Live TV Streaming, fra i quali rientra proprio quel YouTube TV che coach JJ Redick ha citato nella sua recente intervista sull’argomento. L’allenatore dei Lakers ha chiarito varie conseguenze della crisi della tv via cavo ristrette al proprio nucleo familiare, come possedere decine di abbonamenti e non ricordare le credenziali di tutti, poter vedere solo alcune gare su YouTube TV e avere il proprio account Spectrum, ma senza la voglia di settarlo. “Non è facile vedere una partita NBA, non è facile nemmeno trovare una partita NBA”, ha dichiarato in conferenza stampa. Ecco, questo è un problema ben più serio sul quale instaurare un dibattito e che riguarda lo spettatore medio americano, e cioè la giungla di abbonamenti (magari anche malfunzionanti) nella quale è necessario orientarsi per seguire una semplice partita di pallacanestro, ma parte da una premessa: la crisi della tv via cavo. Per rendere il tutto meno meccanico, anziché i numeri basterà citare un esempio vicino proprio alla NBA. Il nuovissimo accordo firmato non comprende Warner Bros. Discovery, che in data 7 agosto ha subito una sonora svalutazione di $9 miliardi di dollari in ampia parte per non essere riuscita a rientrare nell’affare con l’NBA – questione che ha portato a un’azione legale poi risoltasi comunque con grosse perdite per WBD. Un paio di giorni dopo, Paramount Global ha lasciato sul piatto altri $6 miliardi a causa del merger con Skydance Media, altra compagnia del settore, nel tentativo di salvare il salvabile. E si potrebbe andare avanti. Ma se questo è il mondo televisivo americano, e se l’NBA rientra in questo declino, perché un accordo così remunerativo? La tv via cavo, dopotutto, resta comunque una delle modalità più utilizzate per seguire lo sport negli Stati Uniti. Facendo chiarezza, non esiste alcun “accordo televisivo”, ma un “Media Rights Agreement”: il Basketball Related Income (BRI), tutto l’insieme di introiti commerciali legato alla pallacanestro NBA, che comprende anche i servizi di trasmissione generalisti, locali ma soprattutto – e questo sembra che tutti se lo dimentichino sempre – globali e social. Nel primo caso, NBA League Pass dovrebbe saltare in mente a tutti, compresi gli italiani, eppure non viene mai menzionato. Il report in un’intervista del 2023 da parte di Forbes a Matt Brabants, Senior Vice President delle Global Media Distribution & Business Operations per la Lega (che ho già potuto menzionare su L’Ultimo Uomo), rende bene l’idea di quelli che sono i numeri del servizio messo a disposizione dall’NBA: a confronto con il 2021, +16% di audience media in Brasile, crescita del 50% e +104% di interazioni social; in Australia, il numero di abbonati al servizio è il 2° al mondo; nelle Filippine, crescita di abbonati del +26% medio e visualizzazione media più alta del globo, Stati Uniti esclusi. In Cina, da un’indagine di S&P Global, emerge che il 52% degli individui esaminati segue l’NBA, mentre i dati su altre 4 nazioni come Francia, Italia, Germania e Regno Unito mettono in mostra quanto la Lega americana sia seguita, sempre in una fascia d’età compresa perlopiù fra i 18 e i 34 anni:

E questo è solo il League Pass, al quale va aggiunto niente di più e niente di meno di quello che è stato stabilito nell’accordo fra NBA e i giganti mediatici, con le seguenti procedure pronte ad attivarsi a partire dal 2025:
Per quanto riguarda i mercati globali, Disney distribuirà le partite NBA su asset a marchio ESPN in diversi mercati internazionali, tra cui l’America Latina, l’Africa sub-sahariana, l’Oceania e i Paesi Bassi, e tramite Disney+ in mercati selezionati in Asia e in Europa. NBCU distribuirà le partite della NBA in diversi mercati europei attraverso Sky Sports, nonché nei Caraibi e nell’Africa sub-sahariana. Prime Video di Amazon distribuirà le partite della NBA con un pacchetto di partite in Messico, Brasile, Francia, Italia, Spagna, Germania, Regno Unito e Irlanda.
La tesi secondo la quale si può svalutare l’NBA attraverso la menzione dei rating televisivi inizia a scricchiolare. E non è nemmeno finita qui. Quando il commissioner Adam Silver dichiara che “il pubblico sui social media è il più alto di qualsiasi altra lega, e continua a crescere esponenzialmente” semplifica un dato di fatto ben più evidente. Non solo l’NBA è la Lega in assoluto più seguita sui social fra quelle americane – e con “più seguita” si intende che l’account Instagram, per esempio, fa da solo 89 milioni di follower, tutte le altre leghe sommate non arrivano a 54 milioni – ma anche quella che genera più valore sotto questo aspetto. E lo fa a livello globale, dato che un’altra intervista a Matt Brabants, stavolta di maggio 2024, sempre su Forbes, viene riportato che oltre il 75% dei follower NBA sui social media vengono da fuori gli Stati Uniti, portando le visualizzazioni dei video caricati sulle piattaforme a 26 miliardi, +22% rispetto alla stagione precedente. Dando forma alle parole di Silver, il valore generato dai contenuti social da parte delle varie franchigie sportive americane vede 2 realtà NBA in top-3, 3 in top-6 e ben 4 fra le prime 10 – ironia della sorte, i dati sono quelli Nielsen che solitamente polarizzano il dibattito a favore della NFL:

FONTE: Nielsen
Per concludere, forse persino l’argomento delle troppe triple poggia su basi logiche più solide dell’utilizzo dei rating televisivi quando si tenta di attaccare il prodotto NBA, che con la TV generalista, via cavo o antenna che sia, piano piano avrà sempre meno a che fare. Sul nostro podcast qualche giorno fa abbiamo definito la pallacanestro come uno sport “tiktok-abile”, coniando un inascoltabile neologismo, ma la realtà non si allontana troppo da qui. Il mondo contemporaneo poggia sulla capacità dell’utente di sfogliare figurativamente libri interi in 3 minuti, di percorrere centinaia di anni di storia in un’oretta di podcast, di guardarsi 48 minuti di pallacanestro in un paio di giri di orologio, bisogna solo accettarlo e ragionare su questo. Un contenuto catchy e breve si presta alla perfezione a uno sport diviso in parziali di 24 secondi e che richiede un mix unico di tecnica e atletismo. Lo streaming, che sia su app per smartphone, PC, su tablet o quello che volete è molto più “comodo”, allo stesso modo contribuisce in quanto veicolo, permette di portarsi intere partite NBA dappertutto, complementare al mondo social e sul quale, questo sì, la Lega deve assolutamente far confluire risorse. Nella passata stagione, numerose sono state le lamentele per le app di Bally Sports, network appartenente a Diamond Sports Group che si occupa di trasmissioni locali, incapaci di provvedere a un servizio funzionante e valido. Non a caso, il gruppo ha dichiarato bancarotta e ha rinunciato ai diritti su Mavericks e Pelicans, restando comunque a una copertura generale di 13 squadre che richiede una certa qualità. Il servizio NBA League Pass e l’app su mobile, per chiunque abbia un po’ di dimestichezza anche solo in ambito italiano, mette a dura prova la pazienza dei nottambuli già ridotta al minimo a causa degli orari proibitivi. Le difficoltà esplicitate da Redick nel trovare anche solo una partita NBA rappresentano un altro campanello d’allarme, soprattutto se alcune piattaforme funzionano male, e prima o poi “piratare” le gare diventa un’alternativa inevitabile nonché una scorciatoia – con la quale anche addetti ai lavori sono familiari. Queste sono tesi con le quali si può criticare la Lega, tirando in ballo aspetti che richiedono enormi miglioramenti e sono attuali, da aggiungere ovviamente ai dubbi “canonici” e ad altri aspetti menzionati per esempio in altre sedi. Spostare il dibattito sui vetusti e quasi defunti rating televisivi, al contrario, è solo anacronistico, fuorviante e, ancora più schiettamente, insensato.