Abbiamo scambiato due parole con Danilo Gallinari in occasione della visita a Toronto degli Wizards per l’ultima partita di preseason

Poco meno di un anno fa, a dicembre, i Boston Celtics arrivavano a Toronto. Tra le loro fila c’era Danilo Gallinari, firma illustre durante l’estate per garantire ai biancoverdi l’aiuto di un veterano e provare a rimettere l’anello al dito. A settembre però l’infortunio, uno stop frustrante e un lungo recupero. Al suo arrivo in Canada, una trasferta che avrebbe potuto sicuramente evitare viste le temperature proibitive, Danilo si è messo l’abito migliore e ha supportato i compagni dalla panchina, esultando per ogni canestro e incoraggiando dopo ogni errore. Nei minuti prima della partita ho scambiato quattro chiacchiere con lui riguardo alla sua condizione, il suo impatto all’interno dello spogliatoio e il suo entusiasmo nell’essere un Celtic.
Un anno dopo le cose sono molto diverse: la squadra, per cominciare. Durante l’estate il Gallo è arrivato agli Wizards come parte del pacchetto che ha portato Kristaps Porzingis a Boston (“Non vedo l’ora di giocare, segnerò tutte le partite contro di loro con una X sul calendario” ha scherzato durante il suo podcast). Ma soprattutto, Danilo Gallinari è tornato sul parquet.
Durante le gare di preseason ha mostrato ancora di poter avere un impatto tenendo 11 punti, 4 rimbalzi e 1.5 assist a partita in poco più di 18 minuti e con ogni probabilità, se dimostrerà di essere tornato ai suoi livelli, Washington non sarà la sua ultima destinazione: un giocatore con la sua esperienza può fare gola a molte contender e nella finestra di gennaio potrebbe trovare casa altrove. Intanto però si gode il ritorno in campo coi nuovi compagni, al quale non manca di dispensare consigli e aiuto.
Bilal Coulibaly, settima scelta al Draft di quest’anno con un trascorso nel Metropolitan 92 in Francia al fianco di Wembanyama, mi ha appunto sottolineato l’importanza e l’utilità di avere Danilo al suo angolo:
Sa veramente tutto su come muoversi in NBA, ha giocato in tante situazioni diverse. Sta cercando di aiutarmi in ogni modo ad adattarmi all’NBA in ogni sfaccettatura, dallo stile di gioco alle abitudini fuori dal campo, ogni volta che può mi da una mano, quando mi siedo in panchina è sempre pronto a dare consigli. Ogni giorno mi dice qualcosa di nuovo, potrei dirti molto a riguardo, ci staremmo tutto il giorno (ride). È veramente molto gentile con me.
Il diretto interessato ha raccontato non solo questi aspetti ma anche le fasi del suo recupero:
Ci siamo lasciati l’anno scorso sempre qui, stavi recuperando da un infortunio, la squadra era diversa, ci ritroviamo qui un anno dopo: come sta andando il recupero? Le gare di preseason sembrano aver dato un ottimo segnale, come ti stai integrando all’interno di uno spogliatoio nuovo con ambizioni diverse?
Tutto sta andando molto bene, è bello tornare a fare quello che amo, indipendentemente dalla squadra dopo tredici mesi c’era tanta voglia di giocare a pallacanestro. Sono molto contento di essere rientrato, è chiaro che quando hai un infortuno del genere e stai fuori per tanto tempo c’è ovviamente un po’ di ruggine iniziale però sono contento, fisicamente sto bene, mi sono integrato molto bene con il gruppo ma diciamo che non avevo dubbi, sono tanti anni che gioco quindi l’integrazione nel gruppo era la cosa più semplice da fare.
È un gruppo che ha un buon mix di giovani e veterani, un gruppo talentuoso quindi possiamo pensare di fare bene. Abbiamo iniziato bene la preseason, più che le vittorie o le sconfitte conta migliorarsi partita per partita per arrivare pronti alla stagione. Ci rimane l’ultima qui a Toronto poi si comincia.
Ti ritrovi tra l’altro ad essere uno dei veterani di maggior esperienza appunto all’interno di un gruppo molto giovane,
in cui trovi anche altri che come te hanno un background europeo come Dani Avdija e Bilal Coulibaly. Bilal è un rookie, Dani comincia il suo quarto anno: quanto aiuto stai dando a giocatori come loro, che vengono da un ambiente diverso come quello dell’Europa?
Tanto di sicuro. Dani come hai detto tu è al quarto anno, quindi ha già un’idea di com’è la lega. Chiaramente Bilal è giovanissimo, ha diciannove anni, è appena arrivato, un po’ com’ero io quando sono stato scelto alla sua stessa età. Sto cercando sicuramente di aiutarlo e a cercare di fargli capire come funziona, come funziona un po’ il campionato, le regole, il gioco. Soprattutto la differenza più grossa che troverà è la quantità di partite che si giocano, dovrà cercare di imparare a prendersi cura del proprio corpo: penso che sia una cosa fondamentale ed è quello che gli dico sempre.

Anche tu sei stato come lui una scelta alta, tu sesta, lui settima: qual è stato l’impatto all’epoca con un campionato come l’NBA? Avevi avuto una percezione ovviamente diversa rispetto al gioco a cui eri abituato: che approccio ha avuto il resto della lega nei tuoi confronti e come erano visti i giocatori europei quando sei arrivato?
Sì, quando sono entrato io c’era ancora un po’ questo stereotipo di giocatore europeo soft che però penso sia stato superato dopo tutti questi anni di giocatori arrivati dall’Europa e di caratura internazionale che hanno dimostrato di essere tra i migliori al mondo. Ormai diciamo che è un concetto che non c’è più, però c’era sicuramente quando sono arrivato in NBA; la cosa più difficile per me, ma penso per tutti, era stata proprio gestire la quantità di partite perché non sei abituato a giocarne così tante. Adesso in Europa se ne giocano sempre di più ma c’è sempre una grossa differenza rispetto a qui.
Gestire le partite, i viaggi, il recupero, queste cose qua sono state i passi più difficili. Poi è anche un gioco differente, soprattutto quando giocavo a New York con Mike (D’Antoni) non è stato facile integrarsi subito. In Europa quando arrivi in attacco ci sono magari tre o quattro passaggi prima di arrivare ad una conclusione, vengono chiamati degli schemi. Qui si gioca in maniera molto più veloce, devi prendere la prima cosa che arriva, devi essere aggressivo e cercare subito la soluzione, capita sempre più spesso che arrivi giù un attacco e dopo il primo passaggio c’è un tiro, quindi è un gioco completamente diverso a cui abituarsi.
Passata questa stagione e recuperata la forma ci saranno le Olimpiadi. Dopo aver saltato la World Cup, Parigi 2024 è un obiettivo?
Sì chiaramente sarebbe un onore poter aiutare la squadra. Sicuramente è un obiettivo che mi pongo e rimango sempre a disposizione della Nazionale.