FOTO: The Manila Times

Qualche mese fa stavo leggendo 1984 di George Orwell e a un certo punto Winston, il protagonista, vagava per la città in cerca di qualsiasi indizio che potesse descrivere la vita prima del 1984, cioè prima che il mondo venisse messo sottosopra. Me li immagino così, traslando il paragone al 202(5-6-7-8) e quindi potendo spulciare sul web evitando di girovagare senza meta, gli storici del gioco e i sociologi che al termine della carriera di Lebron James cercheranno qualsiasi informazione su com’era il mondo prima del 2003, quando “The Chosen One” si è affacciato per la prima volta nella lega.

Per fortuna questo momento non è ancora arrivato, perché come dice lui: “Il giorno in cui non potrò più dare tutto quello che ho in campo sarà il giorno in cui sarò finito. Per vostra fortuna, quel giorno non è ancora arrivato.”.

Come dice Greg Beacham su The Washington Post: “Lebron James è già la figura distintiva di questa era del basket con la sua forza, abilità, intelligenza e implacabile voglia di vincere. La superstar dei Los Angeles Lakers sembra ora determinata a ridefinire quanto a lungo un giocatore d’élite possa rimanere al top.”

Perché il 30 dicembre Lebron compirà 39 anni e da qualche giorno è entrato nella sua 21esima stagione da professionista, emulando giocatori come Robert Parish, Kevin Willis, Dirk Nowitzki, Vince Carter e Kevin Garnett per longevità. Nessuno di questi, però, ha terminato la sua 20esima Regular Season a 28.9 punti, 6.8 assist e 8.3 rimbalzi ad allacciata di scarpe, aggiungendoci poi 24.5 PTS/G, 6.5 AST/G e 9.9 REB/G nelle 16 partite disputate nei Playoffs. Numeri che non sono umani per un giocatore del suo chilometraggio: stiamo parlando infatti del terzo giocatore con più minuti giocati nella storia della lega, a -695 dal secondo, Karl Malone.

Non sono umani i tabellini personali, ma non è umana neanche l’influenza che ha sui Los Angeles Lakers: la scorsa stagione ha avuto un ‘expected win differential’ di più 24 (per intenderci, Joel Embiid, MVP, ha chiuso a più 25) e il suo ‘real plus-minus’ in regular season, secondo ESPN, è stato di 7.63, terzo dopo Joel Embiid e Jayson Tatum, meglio di Nikola Jokic.

DATI: ESPN

Capite bene la sua importanza: non stiamo parlando di un’influenza astratta, non misurabile, altrimenti non potremmo giustificare i 35.5 minuti di media della scorsa Regular season (secondo maggiore da quando è a L.A.) e i 38.7 negli scorsi Playoffs (minutaggio più alto da quando veste gialloviola). E proprio del suo work-load ha parlato nei giorni scorsi coach Darvin Ham, dopo averlo definito un processo day-by-day anche prima della stagione, per averlo disponibile al massimo della forma ogni volta che scende in campo.

Perché, per quanto Lebron James sia importante, sovraccaricare il suo impiego rischia inevitabilmente di causare infortuni: 55, 67, 45, 56 e 55 sono le partite di Regular Season che ha disputato da quando è ai Lakers, a cui vanno aggiunti gli acciacchi che, per esempio, lo hanno limitato negli scorsi Playoffs contro i Denver Nuggets.

La scorsa stagione, nelle partite in cui è stato impiegato, ci ha detto molte cose: Lebron James è ancora un’arma di distruzione di massa nei pressi del ferro, infatti solo Giannis Antetokounmpo ha tentato più conclusioni di questo tipo (Zion Williamson guiderebbe questa classifica, ma ha giocato soltanto 29 partite) nella stagione regolare, e addirittura nei Playoffs nessuno ha avuto una percentuale di conversione migliore in queste situazioni arrivando almeno 5 volte a partita al ferro. E di questo ne abbiamo avuto un assaggio anche nella prima vittoria stagionale dei Los Angeles Lakers, in casa contro i Phoenix Suns, in pieno clutch time:

Man mano che ci si allontana dal bersaglio, però, le sue difficoltà vengono messe in mostra. Nei tiri dal mid-range, il 36.4% della stagione regolare e il 38.9% della post-season non sono un granché, per usare un eufemismo, anche se va detto che il numero di tiri di questo tipo presi a partita non è elevato, rispettivamente 3.8 e 2.3.

L’anello debole è semmai individuabile nei tiri da tre punti: 32.1% su 6.9 tentativi a partita in Regular Season e 26.4% su 6.6 tentativi a partita nei Playoffs, francamente un disastro, sia nella percentuale con cui segna questi tiri sia nel numero di tiri presi in funzione della percentuale di realizzazione.

Statistiche 2022-2023, Regular Season

Statistiche 2022-2023, Playoffs

Detto questo, la sua centralità nel progetto Lakers è evidente ed innegabile. Qualcuno qualche anno fa ha pensato addirittura di metterlo in discussione, volendolo persino inserire in qualche pacchetto di scambio per rifondare i Los Angeles Lakers solamente attorno ad Anthony Davis. Smacco reale, perché è vero che quest’anno guadagnerà $47.4 milioni e l’anno prossimo $51.4 milioni (player option), non noccioline, ma la gravity che importa con sé in qualsiasi posto vada è clamorosa.

Nel settembre dello scorso anno Sopan Deb ha scritto un articolo sul New York Times intitolandolo “Perché Lebron James vale $100 milioni per i Lakers, che vincano o perdano”: non è difficile credergli, tra merchandise, costo dei biglietti e partnerships congiunte. Il grafico a torta di Forbes mostra la valutazione dei Los Angeles Lakers e quindi uno dei motivi per il quale James ha scelto i gialloviola e viceversa.

GRAFICO: Forbes

Quando ha deciso nel 2018 di andare a Los Angeles, la strategia era chiara: andare dove hanno giocato campioni del calibro di Magic Johnson e Kobe Bryant e nel mentre preparare il terreno per il post-ritiro, che presumibilmente arriverà nel giro di un paio d’anni, quando Bronny, il figlio, si sarà stabilizzato (almeno questo è quello che Lebron spera, dopo i problemi di salute) in NBA. Come direbbe Jay-Z “I’m not a businessman, I’m a business, man!”

Attualmente Forbes stima il suo patrimonio in $1 miliardo, grazie alle partnership con AT&T, Beats Electronics, Calm, CRYPTO.com, GMC, Nike, PepsiCo, Sony, Tonal e agli investimenti in Beats by Dre, Blaze Pizza, Fenway Sports Group e SpringHill Company, quest’ultima fondata con l’amico d’infanzia ed imprenditore Maverick Carter.

Ma c’è un altro investimento che il Re è pronto a fare: diventare il proprietario di una squadra NBA a Las Vegas. È da parecchi anni che l’NBA sta pensando di assegnare una squadra a Las Vegas, magari tramite espansione della lega, perché la città del Nevada attira attenzioni e capitali, tanti. Per darvi un’idea di quanto una franchigia nella Sin City possa fruttare, basta prendere l’esempio dei Raiders nel Football Americano, che sono stati trasferiti lì da Oakland nel 2020.

GRAFICO: The Athletic (via Forbes)

Nel 2020 i guadagni dei Raiders ammontavano a $3.1 miliardi, nel 2023 sono esattamente raddoppiati, $6.2, considerando anche una pandemia di mezzo dove la squadra ha giocato, come si suol dire, a porte chiuse. Anche da questo tweet sotto di Tashan Reed, capite bene il motore trainante per il quale sia Lebron che la NBA vogliano una franchigia a Las Vegas.

Ma adesso siamo nel 2023, Lebron James, come dice lui, “per nostra fortuna” non si è ancora ritirato e i Lakers possono continuare a godersi i suoi servigi su un campo di pallacanestro. La sua 21esima stagione è appena iniziata, e già mostra discreti lampi. Come direbbe Vasco: “Io sono ancora qua, eh già”.