L’incredibile storia di come le due giocatrici più forti di sempre siano finite a giocare per un’ex spia del KGB, uccisa in circostanze misteriose nel centro di Mosca: un’esperienza che ha cambiato per sempre le loro vite.
Appena scesa dall’aereo, Sue Bird sale su una lussuosa limousine, direzione KeyArena di Seattle per Gara 3 dei Playoffs NBA tra i Sonics e i San Antonio Spurs.
La dirigenza delle Storm l’ha selezionata da qualche giorno come prima scelta al Draft WNBA 2002 e vuole coccolarla per il suo passaggio tra le professioniste, sul palcoscenico migliore che la pallacanestro femminile mondiale abbia da offrire.
Prima di prendere posto a bordo campo – e assistere a una sonora ripassata dei neroargento ai padroni di casa – deve partecipare alla sua conferenza stampa di presentazione, in una sala della stessa Arena. I PR delle Storm la preparano: “Sarà un pandemonio di giornalisti là dentro, mi raccomando cerca di rimanere calma.”
Sue sposta le tende ed entra nella sala, i giornalisti sono cinque contati…
“Dobbiamo aspettare che arrivino anche gli altri o…” chiede innocente ai suoi addetti stampa. “No direi che siamo tutti, possiamo cominciare!”
Forse non si rendevano conto che venivo da University of Connecticut, l’unica realtà negli Stati Uniti in cui la squadra femminile di basket era più celebre di quella maschile. Alle nostre conferenze stampa pre partita c’erano il triplo dei giornalisti… capii subito che la WNBA non era esattamente come me l’aspettavo”.
Chiaramente, anche i salari delle giocatrici danno un ritratto chiaro di cosa fosse – e in parte sia ancora – la lega femminile numero uno al mondo: quando Bird entra nella WNBA la giocatrice più pagata è Cynthia Cooper, con un contratto annuale di circa 70mila dollari.
Nel 2021 la situazione è evoluta, ma di certo non rivoluzionata. Oggi sette atlete – le migliori del mondo per distacco – intascano una media di circa 200mila dollari, tra cui Sue, che ha superato i 40 anni, e Diana Taurasi, forse la giocatrice più forte di tutti i tempi.
Questa annotazione non è per sottolineare l’abissale differenza rispetto ai colleghi maschi, che giocano in una Lega avanti – da tutti i punti di vista – di più di mezzo secolo: è solo per notare come atlete straordinarie, che mettono lo stesso impegno e gli stessi sacrifici dei propri omologhi maschi, dedicando la loro vita alla pallacanestro, solo ora comincino a monetizzare adeguatamente dai propri sforzi.
Ciò ha portato, e continua a farlo, tutte le migliori giocatrici del mondo a disputare due stagioni in una: la WNBA in estate, una lega internazionale in inverno e primavera, così da avere due stipendi e far sì che ne valga la pena di tutto quell’impegno.
Anche perché, in realtà come Cina, Turchia o Russia, girano cifre molto interessanti.
Le prime a farlo sono proprio le grandi star come Bird e Taurasi, che hanno trovato una seconda casa nell’ex Unione Sovietica per diversi anni.
E durante quel periodo sono diventate indirettamente testimoni dell’omicidio del proprietario della loro squadra, un ex spia del KGB con legami poco chiari con la mafia russa. Vi sembra la trama di un thriller per il ciclo Alta Tensione di Canale 5? Di sicuro ci sono film con sceneggiature più deboli di questa.
Presentiamo i personaggi.
Di Sue Bird si è già detto, una delle giocatrici più straordinarie che il basket femminile abbia da offrire, che ha rotto barriere e avvicinato il grande pubblico a un movimento che faticava ad attrarre attenzioni. Ha vinto 4 titoli WNBA, due campionati NCAA e 5 Euroleghe, oltre a 5 ori olimpici: nella storia del basket – maschile o femminile che sia – solo un’altra persona ha raggiunto questo incredibile traguardo.
Ed è l’altra protagonista della vicenda.
Figlia di un ex portiere di calcio di Avellino trasferitosi in Argentina e di una donna di Buenos Aires, Diana Taurasi è cresciuta a Chino, California, una zona rurale idealmente ben più lontana delle 40 miglia che la distanziano dalle luci di Hollywood.
Cresciuta in un contesto di lavoro e fatica, trova nel calcio prima e nel basket poi la propria valvola di sfogo, diventando già al liceo una delle giocatrici più chiacchierate del paese.
Ho scoperto Diana al Jordan Camp di Santa Barbara al quale anch’io ho partecipato, quando eravamo all’ultimo anno di liceo. Non avevo mai visto una cosa del genere, mi ricordo che rientrato a casa, quando mia madre mi chiese com’era andata, non feci altro che parlare di lei invece che di altri giocatori maschi o di MJ.
(Darius Miles)
Diana ha un carattere istrionico, sempre con la battuta pronta, ma quando si tratta di fare sul serio è spietata, decisiva, devastante.
Anche lei subisce le lusinghe di UConn e negli anni in cui condividerà il parquet con Sue per le Huskies arriveranno meno di 10 sconfitte in 5 anni. Nel senior year di Bird, quello da sophomore per Taurasi, sono undefeated: 4 titoli in 5 anni e uno status di leggende dentro e fuori dal campo in una realtà, come detto, in cui il basket femminile è già centrale come quello maschile.
A quel punto anche per lei si aprono le porte del professionismo e anche per lei l’impatto con la WNBA non è dei migliori.
A UConn viaggiavamo spesso in charter, alloggiavamo nei miglior hotel e ricevevamo sempre i vestiti e le attrezzature più fighe. Pensavo che passando alle pro la situazione non potesse che migliorare… mi sbagliavo, eccome se mi sbagliavo…
Dopo 4 anni di pallacanestro ad alto livello al college, il contratto da rookie che firma le vale meno di 45mila dollari l’anno, meno degli addetti alle pulizie della America West Arena dove le sue Phoenix Mercury disputano le partite casalinghe.
La prima a ricevere un’offerta dall’altra parte dell’oceano è Sue Bird, che viene avvicinata da un agente con un’offerta della Dynamo Mosca di 200mila dollari, che la vedrebbe impegnata in Russia per circa 5 mesi.
Nonostante i vantaggi economici siano lì da vedere, Sue si prende del tempo per decidere, perché trasferirsi in Russia la spaventa non poco; ma se vuole vivere di pallacanestro non può davvero lasciarsi scappare un’occasione del genere.
L’impatto non è affatto semplice.
Il mio allenatore non parlava una parola d’inglese, avevo un traduttore sempre al mio fianco, tutto il tempo. Le mie giornate erano palestra, casa, palestra, casa; mi annoiavo tantissimo, non facevo che messaggiare con amiche e amici in America, piangendo…
Dopo una sola stagione a Mosca, Sue si convince che il gioco non vale la candela e non tornerà mai più in Russia. Ma l’anno successivo la Dynamo fa un’offerta non solo a lei, ma anche alla sua amica Diana Taurasi: a quel punto la cosa si fa interessante.
Sue mi aveva parlato malissimo della sua esperienza, ma mi sono detta: guadagniamo bei soldi, ci faremo compagnia tra noi, direi che ce la possiamo cavare…invece è stata la peggior esperienza cestistica della mia vita.
Strutture di allenamento fatiscenti, uno stile di gioco datato e noioso agli occhi di una superstar come lei, un rapporto conflittuale – a voler usare un eufemismo – con l’allenatore. Un disastro su tutta la linea: anche Diana, alla fine della sua prima stagione russa, si convince che non tornerà mai più.
Finché, uscito direttamente dallo schema di Propp, l’ultimo personaggio della nostra storia entra prepotentemente in gioco, determinato a far cambiare idea alle due americane.
Il percorso che lo porta a interessarsi alla pallacanestro femminile, però, merita una digressione.
Figlio di due sopravvissuti all’Olocausto, Shabtai Kalmanovich nasce in Lituania, allora ancora parte dell’URSS. Dopo gli studi in ingegneria, si arruola nell’esercito, fino al 1971, anno in cui la sua famiglia decide di trasferirsi in Israele.
Finendo per lavorare nella comunicazione del partito di governo israeliano, viene contattato dal KGB – i servizi segreti sovietici – che lo arruolano come spia. Questa collaborazione è molto proficua e prosegue fino al 1988, quando Shabtai viene arrestato dalla polizia israeliana per spionaggio, scontando 5 anni di prigione.
Estradato, ricomincia la sua vita in Sierra Leone, dove riesce, non senza ombre, a fare fortuna nel mercato dei diamanti – già di per sé non uno dei business più cristallini sul pianeta.
Anni dopo torna in Russia, estremamente cambiata rispetto agli anni del comunismo: una terra in cui un imprenditore senza scrupoli ora può fiorire. Investe nell’edilizia, nell’immobiliare, gestisce diversi centri commerciali di successo, diventa un promoter di grandi concerti – da Michael Jackson a Liza Minnelli – finché, nel 2008, decide di acquistare e diventare il GM della squadra femminile di basket dello Spartak Moscow Region.
L’abbiamo incontrato per la prima volta nella sua villa, piena di marmo e assurde sculture di trichechi o di peni giganti…e lui era lì, col suo abito firmato e un mullet ridicolo a dirci “Non potete andarvene dalla Russia, voi non avete visto ancora la VERA Russia…”
(Diana Taurasi)
Dopo aver trovato per Bird, di padre ebreo, un passaporto israeliano dopo una telefonata di 20 secondi a un suo vecchio amico a Tel Aviv, scrive su un post-it l’offerta che le ragazze impiegano una manciata di secondi per accettare: stipendio base 400mila dollari, che con bonus legati ai risultati possono arrivare al milione.
“Tutto sommato ci ho ripensato, la Russia non è poi così male…”
Allo Spartak cambia tutto per loro. Strutture d’elite, si torna a viaggiare in prima classe e dormire nei migliori alberghi d’Europa. Diana e Sue vivono insieme in una villa sproporzionata, con piscina e sauna, hanno a disposizione una carta di credito con cui fare qualunque genere di acquisto pensabile e senza dover rendere conto a nessuno.
Viziate come le figlie di un monarca, ora concentrarsi sul basket è estremamente più semplice: lo Spartak comincia a vincere, meglio, a dominare il basket russo e continentale.
Rientrate negli Stati Uniti, le due superstar faticano a riadattarsi al lifestyle più dimesso della stagione WNBA, tra voli in economy alle 5 di mattina, motel sudici e scarso clamore mediatico. Quella Russia, che sembrava così fredda e inospitale, diventa quasi il momento dell’anno che aspettano con più ansia. E in cui torneranno ogni autunno per molti anni a venire.
Il tutto grazie alla figura di Shabtai, che le fa sentire preziose e coccolate, dando loro affetto sincero, invitandole sempre a cena a casa sua e di sua moglie Anna, ex playmaker della nazionale russa.
Era un uomo buono, malato di basket, come tutti i lituani. In noi vedeva delle figlie e delle performer: voleva che fossimo al 100% per permetterci di rendere al meglio, offrire un grande spettacolo. Shabtai era fantastico, ma è chiaro che aveva un lato oscuro… non solo per i soldi e il suo passato, fatto di storie assurde, ma anche per il potere che sembrava avere.
(Sue Bird)
Come quella volta che lo Spartak, finita una partita in quel di Ekaterinburg, rischiò di perdere il volo che le doveva riportare a Mosca. Shabtai telefonò direttamente alla Aeroflot per spostare il volo di un paio d’ore. Un dettaglio: si trattava di un volo commerciale…
O tutte le volte che le ragazze, fuori dal campo di allenamento, lo vedevano intrattenersi con gentiluomini ai quali Lombroso non avrebbe offerto nemmeno un caffè, scambiandosi valigette a bordo di SUV con vetri oscurati.
Dalla caduta del Muro, del resto, la Russia è un paese complicato, con enormi problemi di corruzione.
Un detto che circolava ai tempi era che non era necessario essere dei delinquenti per fare successo, ma era fondamentale avere “connessioni” con dei delinquenti. Shabtai era l’esatta incarnazione di questo assunto: di per sé non era un mafioso, ma aveva profondi legami con la criminalità organizzata, necessari per affermarsi a un certo livello.
Legami che hanno però delle ripercussioni tragiche.
Il 2 novembre del 2009 le ragazze dello Spartak finiscono un allenamento e stanno per salire su un minibus che le porterà a un concerto di Beyoncé in un’arena di Mosca, quando vengono avvicinate dall’allenatrice Pokey Chatman: ha il telefono ancora in mano e il volto sconvolto di chi ha appena ricevuto una notizia terribile.
Mentre era ferma a un semaforo, l’automobile di Shabtai è stata affiancata da un’altra auto dalla quale sono usciti diversi uomini col volto coperto, armati di kalashnikov. Hanno aperto il fuoco e crivellato l’auto del presidente, uccidendolo sul colpo.
Siamo rimaste sotto choc, ovviamente. Dopo poco mi hanno riaccompagnata a casa e siamo passati praticamente sul luogo del delitto. Era tutto ancora intatto: la sua Mercedes, proiettili ovunque, la polizia, l’ambulanza…era la prima volta nella mia vita che moriva una persona così vicina a me.
(Diana Taurasi)
Sue in quel momento è negli Stati Uniti, sta finendo la riabilitazione per un infortunio e da quando riceve la telefonata di Diana anche lei trascorre giornate intere traumatizzata.
Nonostante il movente non sia mai stato del tutto chiarito – e i colpevoli mai consegnati alla giustizia – gli esperti di cronaca moscoviti sono quasi certi che la causa dell’omicidio di sia da ricercare nella proprietà di Kalmanovich di un enorme mercato oltre la sponda occidentale della Moscova, il Dorogomilovsky Market, che lui e un malavitoso detto Yaponchik – il Piccolo Giapponese – possedevano in società da anni.
Un gruppo criminale ceceno, affiliato a Yaponchik, si decise ad acquisire le quote di maggioranza del mercato ad ogni costo: pianificò la morte di entrambi, avvenute a distanza di meno di un mese l’uno dall’altro, entrambe per colpi di arma da fuoco.
Qualche giorno dopo l’omicidio, Anna Arkhipova, vedova di Shabtai, convoca tutte le ragazze in palestra: c’è una stagione da mandare avanti e il primo problema è come fare.
Dopo la morte di Shabtai chiaramente avevamo problemi di soldi, non potevo garantire lo stipendio fino alla fine dell’anno alle ragazze. Quindi le convocai e dissi loro che se volevano andarsene erano ovviamente libere di farlo.
Dopo qualche attimo di silenzio, Diana Taurasi si alza in piedi e annuncia che giocherà gratis fino alla fine della stagione, provocando una reazione a catena in tutte le sue compagne e ovviamente una commozione incontrollabile in Anna.
Per qualche motivo non riuscivo ad andarmene. Sentivo di dover restare lì e continuare la stagione fino alla fine, onorare la memoria di Shabtai, che aveva cambiato le nostre vite: sentivo una responsabilità nei confronti della sua famiglia.
Sue prende il primo volo e arriva a Mosca qualche giorno dopo. Anche lei proseguirà la stagione incerta sul proprio compenso: il rapporto con la squadra, col defunto presidente e sua moglie sono qualcosa di più che un semplice rapporto di lavoro, e il resto della stagione dello Spartak lo dimostra.
È una squadra in missione, che gioca arrabbiata, di quella rabbia positiva che non fa altro che affilare ulteriormente il gioco di una compagine che è già al top d’Europa: ma che con quella volontà extra diventa pressoché imbattibile.
Sia in Eurolega che in campionato russo l’unico avversario si chiama Ekaterinburg, le rivali di sempre, guidate da Candace Parker. Nella semifinale continentale le due squadre si incontrano e danno vita a una delle più belle partite di sempre nella storia del basket femminile.
A metà partita, Ekat conduce di 3 lunghezze; nel secondo tempo Taurasi cambia marcia. Quella che di lì a poco verrà ribattezzata da Kobe stesso White Mamba, sale in cattedra e ribalta la gara in uno stato di totale onnipotenza – 37 punti, 12 rimbalzi e 6 assist – sigillando la vittoria finale.
Sono quei momenti in cui giochi senza coscienza. Come se tutti quegli anni di lavoro e sacrifici si sublimassero in quel momento e tu non devi fare altro che essere là fuori, presente, e lasciarti guidare dal pilota automatico.
Prima della finale contro Valencia, l’allenatrice Chatman non ha bisogno di sporcare la lavagna o ricordare l’importanza della gara. Le sue ragazze hanno una carica tale che la partita è vinta ancor prima della palla a due.
In spogliatoio, tutte decidono di mettere una foto di Shabtai dentro ai calzettoni; alla sirena finale, delle maglie celebrative recitano “This is 4 Shabtai” – è il quarto titolo continentale consecutivo – e un misto di gioia e tristezza travolge le ragazze nel momento in cui la coppa viene alzata al cielo.
Nonostante l’epilogo drammatico della vicenda, resta il fatto che quella allo Spartak sia stata la miglior esperienza cestistica della carriera delle due giocatrici più forti di tutti i tempi. Ed è avvenuta nella squadra di un ex spia del KGB, assassinata nel centro di Mosca…
Al netto della complessità della sua figura, Kalmanovich ha portato un’aria di cambiamento che benissimo ha fatto a tutto il movimento cestistico femminile: soldi, sfacciataggine, una visione e la volontà di avvicinare il resto del mondo a uno spettacolo che aveva bisogno della giusta esposizione.
Ci ha trattato con maggior rispetto di quanto avevamo mai ricevuto in patria fino a quel momento. Era una persona fuori dal comune, esagerata in tutto, ma era esattamente quello di cui il basket femminile aveva bisogno.
(Diana Taurasi)