Con un record di 4 vittorie e 6 sconfitte, i Phoenix Suns faticano a trovare la dimensione per cui sono stati creati. Un win now che sembra ben lontano dalla realizzazione, complicato da assenze pesanti e da alcune problematiche già viste in quasi ogni squadra abbia unito tre bocche di fuoco livelloAll-Star negli ultimi anni.

Bisogna iniziare con un dato importante, la squadra della Valley fatica ad ingranare nelle partite in casa, dove, nonostante 115.8 punti di media, vince solo una volta su cinque e ottiene un plus/minus negativo, seppure solo di un punto. Statistica spuria che serve a chi scrive per dare qualche numero a fronte di ciò che il gioco vivo mostra, non solo nelle partite in casa. Phoenix non riesce ad impattare le partite, non riesce a gestire l’eventuale vantaggio accumulato nei primi tre quarti e si affida quasi esclusivamente ai suoi Big Three per il 90% degli ultimi 12 minuti di partita (un approfondimento QUI).

La chiara predisposizione al “palla a Durant/Booker o Beal (in maniera meno accentuata) e togliamoci dai piedi” porta con se problematiche di difficile risoluzione. La responsabilità offensiva completa nel finale di partita diventa un giogo al collo delle superstar, Durant in primis, che porta con se il peso di una difficoltà di lucidità nel versante difensivo che quasi sperpera i punti macinati dalle superstar. È chiaro che quando hai un nome imponente (e un contratto altrettanto pesante, sono quasi 129 i milioni complessivi di stipendio dei Big Three in questa stagione) sei tenuto a rispondere presente nei momenti di difficoltà, ma nel gioco vivo, di fatto, ciò che importa sono le vittorie e senza dei comprimari in grado di mostrarsi pronti e soprattutto pericolosi, il coefficiente di difficoltà del lavoro delle superstar aumenta vertiginosamente e la conseguenza è sotto gli occhi di tutti.


Tutto questo discorso chiaramente soggiace alla presenza costante dei migliori giocatori nella squadra di Coach Vogel, non pervenuta nelle prime dieci partite. Solo Kevin Durant infatti ha giocato tutte le dieci partite di questo inizio di stagione, Bradley Beal ne ha giocate tre, mentre il leader offensivo per anzianità a Phoenix e per livello di Usage (31% nelle partite giocate), Devin Booker, ne ha giocate solo due.

Via NBA.com

Risulta cristallino quanto questa situazione non sia sostenibile per i Suns nel lungo periodo, e non è detto che debbano sostenerla; ma nell’analisi di questo frammento di stagione è fondamentale riconoscere che l’assenza costante di almeno uno dei tre migliori giocatori abbia portato a questo infelice avvio, lasciando Durant da solo a predicare nel deserto dell’Arizona un verbo che convince sempre, ma che non basta per portare a casa vittorie in maniera costante e, perché no, schiacciante come ci si aspetterebbe da una “corazzata”/contender.

Ulteriore problematica non indifferente è quella della lunghezza della panchina, con giocatori non in grado di dare supporto, né di sopperire ad assenze pesanti (o all’eventuale riposo) dei Big Three. Eric Gordon stupisce in negativo, ha chiare difficoltà al tiro e il linguaggio del corpo risulta stanco e poco aggressivo.

Grayson Allen ha chiari problemi di continuità, nonostante le sue capacità difensive rimangano pressoché costanti, in attacco non riesce ad essere continuo, sbagliando tiri smarcati da posizioni in cui magari un paio di azioni prima ha segnato. Jusuf Nurkic è ancora un ottimo terminale offensivo, nello “Spain” pick&roll e in qualche handoff con blocco, pericolosi con la mole e le mani educate del bosniaco; in difesa la storia è differente, gli infortuni passati hanno chiaramente reso i suoi movimenti lenti, limitati e poco reattivi e la sua rim protection non spaventa nemmeno degli avversari average.

Si potrebbe continuare con l’elenco delle inadeguatezze del roster della Valley, ma non è necessario confutare ancora ciò che è sotto gli occhi di tutti e visibile anche a chi non può essere definito addetto ai lavori. Phoenix è corta, dipendente in maniera quasi tossica dai suoi tre giocatori migliori, e ha una difesa nella media (quattordicesimi in punti concessi per partita con 112.1) che non basta se non è supportata da un attacco stellare. Booker tornerà, certo, Beal toglierà la ruggine dalle giunture e mostrerà le sue capacità offensive (anche se ne stiamo avendo già un’anticipazione), Durant continuerà a mostrare cosa un alieno possa fare su un parquet, ma nei Playoffs potrebbe non bastare questa semplice addizione di talenti e punti.

Se così fosse, sarebbe l’ennesima dimostrazione della fragilità dello strapotere offensivo cercato dal front office in questi folli anni da contender. Gli dei del basket ci hanno dimostrato più volte come aggiungere giocatori forti non porti automaticamente una vittoria del Larry O’Brien, e la prova di ciò è che LeBron, Wade e Bosh hanno ancora incubi che parlano tedesco.

In attesa di essere smentiti e di vedere davvero il potenziale dei Suns, chi scrive non può che tentar di combattere un pensiero che sgomita nella sezione occipitale, ossia che le Finals raggiunte nel 2021 siano state il tiro mancato più importante della franchigia del deserto.