La point guard dei Warriors parla dell’offseason di Golden State, della vita al di fuori della bubble e del suo nuovo brand.
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Questo articolo, scritto da Marc J. Spears per The Undefeated e tradotto in italiano da Luca Losa per Around the Game, è stato pubblicato in data 30 novembre 2020.
Oakland, California. In qualche modo i ragazzini del quartiere sono venuti a sapere che Steph Curry si trovasse al nuovo campetto da lui recentemente fatto costruire, qui, al Manzanita Recreation Center. Un Curry sempre a rigorosa distanza avrebbe poi passato un centinaio di cappellini da lui autografati a fan di tutte le età. E così come era abituato a sentire nella vicina Oracle Arena, la folla applaudiva calorosamente, apprezzando.
Steph, che ha vinto tre anelli in “The Town”, non ha dimenticato dove tutto ebbe inizio per la sua carriera NBA. Nonostante la franchigia si sia trasferita a San Francisco l’anno passato, il due volte MVP continua a sostenere la comunità di Oakland.
“Questa è la nostra casa adottiva”, ha raccontato a The Undefeated. “Molte cose sono cambiate negli ultimi due anni e sapevamo che sarebbe avvenuto più prima che dopo. Ma il supporto che ho sentito da quando sono arrivato qui nel 2009 – per me, per la mia famiglia, per i miei compagni – e l’energia che la gente dell’Oracle ci trasmetteva, sono qualcosa che è impossibile dimenticare. E penso che per ognuno di noi, quando si parla di ‘restituire alla comunità’, Oakland verrà sempre prima.”
Curry e consorte, Ayesha, sono rimasti legati alla zona, anche attraverso la loro fondazione “Eat.Learn.Play”, che finanzia l’Oakland Town Camp estivo. E ora, Steph e Under Armour stanno aprendo un nuovo campo a Oakland tramite il Curry Brand, lanciato ufficialmente poche settimane fa.
La point guard dei Warriors e il marchio Under Armour hanno preso in considerazione diversi siti per la costruzione del campetto, prima di scegliere Manzanita. Il primo di molteplici rimessi in sesto nel quartiere: questa è la speranza e l’intento del brand. Il campetto è infatti numerato: 001. Colorazione rigorosamente in blu e giallo, con i tabelloni realizzati da Hueman, un artista locale che si è lasciato ispirare dai graffiti che ha visto alla stazione di Oakland. Curry Brand ha fornito l’equipaggiamento, in collaborazione con Positive Coaching Alliance e in contatto con amministratori della Oakland Parks, Recreation & Youth Development.
“È un giorno simbolico per due motivi: per essere riusciti a ristrutturare un campetto e per averlo fatto proprio qui”, ha raccontato il figlio di Dell e Sonya Curry all’inaugurazione della struttura, lo scorso 23 novembre.
“Qui è dove sono cresciuto come giocatore di basket, giocando 10 anni qui a Oakland. La città significa molto per me, per la mia famiglia e per la nostra franchigia. E ora, poter festeggiare il lancio del mio nuovo brand con Under Armour, tenendo bene in mente che è tutta una questione di finalità e impatto e di quello che possiamo fare per supportare e celebrare la comunità che così tanto ha fatto per me, e poter dare un campo ristrutturato qui e dare alle prossime generazioni un posto sicuro dove divertirsi e riunirsi, è davvero speciale. Spero che sia il primo di tanti. Ma fare il primo qui a Oakland significa molto: è un cerchio che si chiude.”
Curry, ai margini dell’evento, ha raccontato a The Undefeated del suo ultimo anno, dei nuovi Warriors, dell’infortunio di Klay Thompson e del futuro del movimento di giustizia sociale nella prossima stagione.
Hai giocato 112 partite di Playoffs in carriera. Ora che hai avuto questa insolita e lunga pausa, come ti senti?
Ho sicuramente fatto tesoro di questa lunga pausa. Non vedo l’ora di riprendere, di tornare in campo e dimostrare che abbiamo ancora molta benzina in serbatoio. E, nonostante l’infortunio di Klay, ci sentiamo di poter essere una minaccia per tutti e vogliamo dimostrarlo. Sono elettrizzato al solo pensiero. Guardare da casa il finale di stagione nella bubble non è stato facile, ma il riposo è stato opportuno.
Come sta la tua mano?
Mi sento bene. Penso che già nella partita che ho giocato a marzo fossi in buone condizioni. Ora, con questa estesa offseason, ho avuto ancora più tempo per concentrarmi sulle cose che necessitavano attenzione. Ora che scendo in campo posso concentrarmi solo sul prendere confidenza con i nuovi arrivati, capire che abbiamo molto da realizzare e che dobbiamo imparare in fretta, visti i tempi ristretti della prossima stagione.
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Qual è stata la tua reazione quando hai saputo che Klay Thompson avrebbe saltato l’intera stagione?
Penso che Klay sia apprezzato da tutti in questa Lega. È un ragazzo eccezionale. Ama questo sport. È stata una brutta chiamata da ricevere.
C’era eccitazione per il pensiero che io, Klay e Draymond saremmo tornati finalmente in forma e al 100%, in più con una seconda scelta al Draft. E ora, con James Wiseman e gli altri innesti, sentivamo che per Klay fosse l’opportunità perfetta per tornare e riaffermarsi come la migliore shooting guard della NBA.
Ricevere quella notizia è stato come un pugno nello stomaco. Molte lacrime e poche parole, perché in queste situazioni è veramente difficile trovare delle parole. È la seconda riabilitazione da un serio infortunio. Di fila. Abbiamo il dovere di stargli vicino.
Cosa pensi della scelta di firmare Kelly Oubre per cercare di sopperire alla mancanza di Klay?
Rispecchia la voglia e la determinazione della franchigia nel mettere insieme il miglior roster possibile. Sapevo che saremmo stati aggressivi in free agency anche senza la notizia dell’infortunio di Klay. Ovviamente poi trovare l’aggiunta giusta ha assunto una differente urgenza.
Kelly è in giro ormai da cinque anni e penso che abbia la fame giusta, la voglia di fare il passo successivo. Penso che abbiamo i mezzi e la cultura per far esprimere tutto il suo potenziale. Con lui, Wiggins, James Wiseman, Eric Paschall… ma potrei menzionare tutto il roster, in realtà. Siamo tutti pronti per sfruttare l’opportunità di far vedere cosa questo gruppo può raggiungere.
Io e Draymond siamo pronti a prendere le redini di questa squadra, guidare gli altri.
Cosa si prova a vedere i rookie James Wiseman e Nico Mannion passare dall’essere partecipanti del tuo camp a diventare tuoi compagni?
È probabilmente l’unica cosa, per ora, che mi fa sentire vecchio. È divertente, a pensarci: James e Nico hanno partecipato al mio camp tre e due anni fa. Fa effetto pensare che nel frattempo siano andati al college e ora sono qua con la mia stessa divisa.
Penso che il conoscerci, comunque, possa aiutare. E spero che si fideranno a lasciarsi insegnare tutto quello che sappiamo da me, Draymond e gli altri veterani, in modo da metterli nella migliore posizione per avere successo e portare un immenso contributo alla nostra causa. Ho detto loro che devono arrivare con la maglia del Curry Camp, se vogliono mettere piede sul campo di allenamento.
Draymond mi ha detto che Wiseman, secondo lui, può diventare un giocatore speciale. Cosa ne pensi?
Penso che il suo atteggiamento farà la differenza. Con quel fisico e quel talento naturale, se ci aggiungi la voglia che fa intravedere, quel “sono pronto a imparare, sono pronto a lavorare”, allora sì, può diventare speciale.
Ovviamente dovrà scendere in campo e provarlo, e saremo duri con lui inizialmente, per trasmettergli la giusta mentalità, cosa serve per avere successo in NBA. Ma penso che tutto questo già ce l’abbia. E sono eccitato al riguardo.
Potrebbe rivelarsi uno di quei talenti generazionali in termini di quello che può fare fisicamente sul campo e per come vede il gioco. Sarà una grandissima aggiunta per noi.
Che aspettative hai per questa stagione ridotta che sta per iniziare?
Ci aspetta una stagione molto combattuta. A Ovest non sarà facile, avremo i campioni in carica e poi i Clippers, Denver, Houston, Portland, Utah, Dallas, Phoenix, Sacramento… un sacco di squadre talentuose e desiderose di fare lo step successivo. Noi ci siamo passati e sappiamo cosa serve, e faremo tesoro di ciò, sicuramente. Ora abbiamo un perfetto mix di esperienza e gioventù. E quando arriveranno i Playoffs e saremo lì pronti a batterci, sappiamo che saremo degli ossi duri da affrontare.
In tempo di Playoffs, quand’essi saranno, sappiamo che ci saremo e sappiamo che gli altri dovranno fare i conti con noi.
Come è stato vedere quello che succedeva nella bubble da fuori, e vedere trionfare LeBron e i suoi Lakers?
All’inizio non essere lì non è stato facile. C’erano lì 22 squadre pronte a riprendere e a battagliare, e noi seduti a casa. Poi la sensazione è scemata un po’ fino all’inizio dei Playoffs. Ma è in quel momento che ho sentito particolarmente la mancanza di essere lì a lottare, a competere e giocare al massimo contro le migliori squadre. Non mi capitava di guardare la post season da casa da sei anni. È stato strano.
LA ha giocato stupendamente. Come LeBron e AD. Ero contento per loro, ovviamente. Quando hai provato sulla tua pelle quell’esperienza, quando sai cosa ci vuole per arrivare al titolo, che tu ci sia o no, apprezzi quel momento finale in cui una squadra raggiunge l’obiettivo. Ed è anche fonte d’inspirazione e motivazione per noi per tornare più forti che mai.
Cosa hai pensato del rifiuto di scendere in campo quando un poliziotto ha sparato a Jacob Blake a Kenosha, Wisconsin?
Penso che sia stata una situazione in cui i ragazzi hanno portato sul nostro palcoscenico temi che avevano bisogno di attenzione. Non si può ‘pignoleggiare’ su come Milwaukee e Orlando abbiano gestito la situazione senza che negli altri spogliatoi lo sapessero, su come poi la situazione sia stata gestita nelle 48 ore successive.
Alla fine della giornata, ne è uscito molto di buono da quella protesta.
Attenzione è stata rivolta alla situazione di Jacob e della sua famiglia. Molte iniziative sono state intraprese, supporto e risorse sono state messe a disposizione da parte della Lega, da parte delle franchigie. Molte strutture sono state messe a disposizione per il voto.
Prima di riprendere nella bolla c’era l’intenzione di mantenere la conversazione su certi temi accesa, nonostante si fosse ripreso con le partite. Quindi massimo rispetto e supporto per i miei fratelli della Lega che hanno approfittato della situazione e dei riflettori.
Tu hai tre bambini: due figlie e un maschio. Quale impatto hanno avuto i fatti recenti su di te come padre di colore?
Tutti i discorsi nella nostra comunità, che fossero supportati dai media nazionali oppure no, sono discorsi che si sono sempre fatti. Quest’estate, però, è stato diverso. Un sacco di diverse e sfortunate situazioni, da Breonna a George, Jacob… Adesso è arrivato il momento di passare ai fatti. Non può ancora essere un momento di discussione. Non può rimanere una narrativa. Qual è il nostro vero obiettivo?
E guardando alle elezioni, al numero di votanti, a cosa sta succedendo in Georgia con Stacey Abrams e il movimento che sta guidando – del vero cambiamento sta avendo luogo. Lo vedremo compiuto nella nostra vita? Lo spero. Ma penso che tutti noi stiamo cercando di lasciare un’eredità importante e una nuova realtà per i nostri figli, per tutti i figli.
Non so come questo momento verrà descritto nei libri di storia, ma si tratta di un momento veramente importante e pieno di significato. Ognuno deve fare la sua parte.
Come continuerà nella prossima stagione questo movimento?
Spetterà a ogni singolo. Dovremo continuare a far pesare in maniera significativa la nostra consapevolezza collettiva. Che sia tramite i nostri canali social, durante le interviste coi media, tramite quello che facciamo per la comunità.
E anche quando non ci sono microfoni o telecamere a testimoniarlo, ci sono svariati modi in cui contribuire, non perdere lo slancio e mettere a disposizione risorse, consapevolezza e supporto per migliorare la nostra società.