Dame è più pronto che mai.
Questo contenuto è tratto da un articolo di Marc J. Spears per Andscape, tradotto in italiano da Alessandro Di Marzo per Around the Game.
Con 2 banner che sorvolano il centro sportivo a testimoniare i 2 titoli NBA dei Milwaukee Bucks, un ispirato Damian Lillard è sembrato tranquillo e rilassato accanto al cugino, il rapper Brookfield Deuce, mentre assisteva al caos del media day della sua nuova squadra.
“È davvero diverso” ha confessato Lillard a Andscape indossando la sua nuova divisa. “Mentirei se non lo dicessi, ma non mi sembra di essere in un posto non mio. Nel corso della mia carriera, ho sempre pensato che in altri posti [diversi da Portland] mi sarei sentito fuori luogo, ma ora non è così.”
Il primo luglio di quest’anno i Portland Trail Blazers hanno visto Dame bussare alla porta per chiedere la trade: dopo 11 anni insieme, le strade della franchigia e del suo miglior marcatore all-time si sarebbero separate. Lillard voleva i Miami Heat, ma dopo tanti tira e molla è finito nel Wisconsin, probabilmente nella migliore situazione possibile a livello strettamente cestistico visto che condividerà il parquet con Giannis Antetokounmpo.
Milwaukee non vince da 2 anni, ha appena accolto un nuovo coach (Adrian Griffin) e ha salutato Jrue Holiday per arrivare a Lillard, che oggi, a 33 anni, ha la sua migliore opportunità per vincere un anello.
Con Lillard al loro fianco, i Bucks hanno in casa la potenza di un duo che non si godevano dai tempi di Oscar Robertson e Kareem Abdul-Jabbar, i due protagonisti del primo titolo nel 1971. Antetokounmpo e Lillard devono ancora conoscersi molto meglio, ma il greco è consapevole del potenziale e delle aspettative in casa Bucks:
“Avere un’opportunità di giocare con un ragazzo così è una benedizione” ha detto Giannis. “Siamo simili, anche lui è un killer. Per tanti anni è stato straordinario, ha dominato la lega: avere un giocatore così, con cui puoi combattere duramente ogni giorni, è fantastico. Ha fame e rende me ancora più affamato, perché ti circonda di grandezza e ti fa spingere di più.”
“Con lui abbiamo una grande chance di fare qualcosa di grande qui. Sono davvero curioso di cosa ci riserverà il futuro. Ma dobbiamo fare un passo alla volta, non abbiamo ancora vinto niente. Ci sarà molto hype per noi, ma dobbiamo ancora fatto nulla, nemmeno giocato una partita insieme. Ne possiamo parlare quanto vogliamo, ma le azioni parleranno ancora più forte.”
(Giannis Antetokounmpo)
Questa intervista a Damian Lillard l’ha visto parlare di Milwaukee come alternativa a Miami, della sua grande stima per Antetokounmpo, delle sue sensazioni verso Portland dopo l’addio, della pressione e delle sue aspirazioni e di tanto altro ancora. Buona lettura.
Hai già avuto la possibilità di fare un bel respiro e riflettere sulla trade e sui cambiamenti avvenuti?
“Sì, il giorno in cui sono arrivato mio. Mi hanno dato il loro benvenuto e mi hanno fatto conoscere moltissime persone. Poi abbiamo registrato dei video, ho fatto qualche test fisico e, alla fine, mi sono seduto da solo e ho pensato a tutto ciò che era appena cambiato. Ho capito che questo sarà il mio posto e che doveva andare così. Ho realizzato tutto in quel momento.”
Oakland High. La gente non ti conosceva e hai dovuto combattere per metterti in mostra. Weber State, stesso discorso. Addirittura con i Blazers si potrebbe dire lo stesso. Ora, correggimi se sbaglio, per la prima volta nella tua vita arrivi in una squadra da titolo, da subito. Come ci si sente?
“È diverso, un’esperienza diversa. Ma ho sempre fatto ciò che era necessario per performare al meglio. Essere in un ambiente in cui vincere ad alti livelli è davvero possibile può rendere il risultato finale ancora migliore. Ma io mi comporterò sempre allo stesso modo, senza pensare che mi trovo effettivamente in una squadra migliore e che non siamo underdogs. Il mio comportamento e la mia mentalità resteranno invariati. Tutto può solo migliorare.”
Pensi a ciò che la squadra ha sacrificato per averti? Cosa significa per te tutto questo?
“Hanno dimostrato di credere in me e in ciò che posso aggiungere alla squadra. Hanno ceduto anche Jrue Holiday, un giocatore che rispetto molto e con il quale hanno vinto nel 2021. Poi hanno perso, ma succede. Non credo che la causa del suo addio sia stata l’ultima eliminazione al primo turno. Probabilmente hanno pensato che che io fossi più complementare a giocatori come Giannis, Khris Middleton o Brook Lopez. Vogliono ristabilirsi come una squadra vincente e io, per la prima volta, posso esserne parte. Io e Giannis siamo estremamente complementari nel nostro modo di giocare, è per questo che oggi siamo qui insieme.”
Ci sono molte superstar in NBA, ma continui a dire che quello con cui volevi davvero giocare è Giannis. Perché?
“Quando lo sento parlare e vedo come si comporta, capisco che parliamo la stessa lingua. Andiamo nella stessa direzione, e coesistere con lui è fantastico. Credo sia la persona con cui mi intenderei meglio.”
Parliamo dei tuoi anni a Portland e a cosa hai conquistato dentro e fuori dal campo. Cosa pensi del modo doloroso in cui tutto è finito?
“Guardando indietro, penso sempre a cosa ha reso il tutto così doloroso. Non si tratta tanto dei game winner e dei risultati in campo, ma più delle persone con cui il mio percorso ha avuto a che fare. Molti dei miei migliori amici vivono lì, assieme alla metà della mia famiglia. E poi tutte le iniziative nella comunità, le persone che hanno supportato tutto, le relazioni e le connessioni così forti… è stato difficile allontanarsi da tutto questo. Sono orgoglioso di ciò che ho vissuto a Portland, continuerò ad avere una presenza lì.
Per quanto riguarda la pallacanestro, anche da questo punto di vista ho avuto molte soddisfazioni. Abbiamo faticato negli ultimi 2 anni, e più il tempo passa, più la voglia di vincere aumenta. E io e l’organizzazione stavamo andando in due diverse direzioni. L’affetto è reciproco, adoro i Blazers e credo che anche loro mi amino, ma sappiamo comunque che si tratta di business, e io volevo avere una chance per vincere. Ora ce l’ho. Non smetterò mai di amare Portland e i tifosi, per me significano casa. Ma ora è il momento di guardare avanti.”
Forse non ti è piaciuto il finale, ma sembri non provare amarezza.
“No, per niente. Funziona così, il business NBA va in questa direzione. Non cè nulla di personale con nessuno nell’organizzazione Blazers.”
Con nessuno? Davvero?
“Davvero. Ho voluto bene davvero a tutti, ho sempre detto quali sono i miei obiettivi. Volevo che qualcosa si muovesse, e quando vedi che una certa realtà ti va stretta, le cose cambiano. Ma no, non c’è niente di personale. Ora sono felice di essere qui, andremo avanti.”
Quand’è che hai iniziato a pensare a Milwaukee?
“Un paio di settimane fa, approssimativamente. Ovviamente non sapevo cosa sarebbe davvero accaduto. Ho detto che avrei voluto giocare a Miami, la vedevo come una grande situazione per me; il mio agente Aaron Goodwin mi ha detto che Milwaukee sarebbe stata una scelta ancora migliore. Gli ho parlato del mio amore per Giannis e che credevo fosse una grande opportunità, poi ho lasciato fare a lui. Non avevo la certezza che sarebbe successo davvero, ma è andata realmente così.”
Giannis ha detto che domenica scorsa hai trascorso un po’ di tempo con lui e la sua famiglia al centro di allenamento dei Bucks.
“Sono andato ad allenarmi e c’era anche lui. Tutti mi avevano detto che l’organizzazione era come una famiglia qui, ed è effettivamente così. Stavo lavorando, ma non sembrava: c’erano i bambini che correvano attorno al campo, tutto era molto tranquillo. È stato bello vederli così.”
Cosa ti dice questo di lui e della sua reputazione di «family guy», come te?
“Anche a me piace avere i miei figli sempre accanto, sopratutto vista la loro età. Voglio che siano testimoni di come vivo e di come viviamo la nostra vita, che capiscano il perché e cosa significhi lavorare duro. Vedere come lui abbia interagito con la sua famiglia mi ha fatto capire che condividiamo questo punto di vista.”
50 anni fa, a Milwaukee, Kareem Abdul-Jabbar e Oscar Robertson vinsero insieme. Ora, un nuovo duo che potrebbe fare lo stesso.
“Non saprei… parliamo di una compagnia elitaria. Decisamente elitaria. Possiamo essere un duo davvero speciale, e il tipo di persone che siamo può rendere tutto più realizzabile. Ma non mi metto in discorso con gente come Oscar e Kareem. Ciò che hanno fatto per il gioco è speciale, sono due tra i più grandi di sempre. Facciamo un passo alla volta. So chi sono, so cosa aggiungo, e tutti sappiamo chi sia Giannis. Ora mettiamo tutto insieme e assicuriamoci che non compiamo passi troppo lunghi.”
Un mese fa, mi hai detto che hai sete di vittoria più che mai. Ora sei in una franchigia con 2 titoli. La sete è aumentata ancora?
“Sì, guardo i banner e voglio che ne venga appeso un altro in cui io ne faccio parte. Il mio scopo è questo.”
Riesci a pensare a come ci si potrebbe sentire a vincere un titolo NBA?
“È difficile pensarlo se non ci sei mai riuscito. Ma è come quando sono entrato in NBA, molti dicevano che non ce l’avrei mai fatta, ma io ci ho sempre creduto.”
Qual è stato il giorno più duro di questi due mesi e come ti hanno aiutato la tua fede ed i tuoi amici?
“Io e i miei amici condividiamo tutto, ogni situazione, ogni tipo di viaggio, qualunque cosa. Uno dei miei migliori amici mi ha coinvolto in un gruppo spirituale, abbiamo fatto incontri e studiato la Bibbia. Ma tutto questo molto prima del periodo della trade.
Sento che mi ha aiutato a guidarmi attraverso la situazione in cui mi sono trovato, ho trovato pace nel caos estivo. Il periodo più duro è stato quello in cui ho davvero iniziato a pensare che i miei figli avrebbero vissuto in un altro ambiente, diverso da quello in cui sono nati e cresciuti.
Mia mamma a volte mi chiamava di domenica, «Ehi, mangiamo da me stasera»: c’eravamo noi e tutti i miei parenti, con 16 bambini insieme a divertirsi. Ora è come se li avessi tolti via dal loro ambiente per perseguire scopi miei. È stata dura.”
Quando guardi al passato, trovi qualcosa che avresti voluto vivere diversamente a Portland?
“Non credo ci sia qualcosa in questo senso, se non una migliore comunicazione, per evitare gli equivoci che ci sono stati. Mi sono sentito molto poco capito, ma ora sono felice di essere finito in un contesto in cui mi sento a mio agio. Abbiamo una grande opportunità per vincere e gioco con grandi giocatori in un roster profondo, in un altro small market dove c’è tanto valore per la famiglia.
È un ambiente umile, rilassante. C’è anche diversa gente con cui ho già lavorato, facce familiari, tra cui Robin Lopez e Pat Connaughton. Mi sento nel posto giusto.»
Sei stato nella Western Conference per tuta la carriera, ora vai in un est molto agguerrito.
“La reputazione dell’Est è un po’ meno bella di quella dell’Ovest, forse perché è considerata meno divertente. Ma so che qui sarà più dura, non è lo stesso tipo di basket. E poi, la West Coast è casa mia. Ora affronterò più città fredde, condizioni diverse. Vedrò facce che ero abituato a vedere molto meno.”