Siamo a Trieste, è il 25 agosto 1985, e sul parquet del PalaSport “Chiarbola” si stanno per affrontare – per una amichevole estiva – la Stefanel Trieste e la Juve Caserta. Benissimo, cosa c’è di strano? Nulla, se non fosse che quel giorno, a Trieste, il giocatore con la canotta numero 23 della Stefanel – citando la famosa frase di Space Jam – “… è proprio Michael Jordan!”.
Campione NCAA con North Carolina nel 1984, terza scelta assoluta del Draft, nuovo volto dei Chicago Bulls, Rookie of the Year 1985, Jordan si trova in Italia per un evento commerciale: proprio in quell’anno, Nike – sponsor tecnico di MJ – lancia in Europa il modello che, da quel momento ad oggi, dominerà il mercato delle basketball sneakers, le Nike Air Jordan 1.
Negli Stati Uniti, la prima signature shoe di Michael viene lanciata sul mercato nell’aprile 1985, al modico prezzo di $64.99. La scarpa, prodotta esclusivamente per Jordan nel dicembre 1984, è progettata dal designer Peter C. Moore e viene rilasciata nella colorway per eccellenza, la “Chicago”, ossia nell’iconico mix di rosso-nero-bianco che rimanda alla colorazione della jersey dei Chicago Bulls.
Phil Knight, fondatore della Nike, a dirla tutta, fin da subito appare scettico circa il successo delle Jordan 1 sul mercato americano, forse influenzato dal primo parere negativo dello stesso MJ (“I’m not wearing that shoe, I’ll look like a clown”).
Si sbagliano, sarà un successo. Possiamo dire che, nel mondo del basket, c’è un prima e un dopo Jordan; e, nel mondo delle scarpe da basket, c’è un prima ed un dopo Air Jordan 1.
A questo punto, possiamo aprire una parentesi per raccontare l’excursus storico che ha portato la Nike a produrre le Jordan 1. Un ritardo nella progettazione della scarpa da parte di Moore e del suo team ha fatto sì che MJ giocasse la prima parte della sua stagione da rookie con ai piedi delle Nike Air Ship, “spacciandole” per le avveniristiche Jordan 1. E perché proprio le Air Ship? La risposta è semplice: questo modello, già in commercio, e le future Jordan 1 hanno molti elementi di design in comune – si può dire che Moore abbia preso le Air Ship come base per progettare la signature shoe di MJ – e Nike… voleva “ingannare” i tifosi.
Sugli schermi televisivi, con le giuste luci e la giusta colorway, è difficile distinguere le Air Ship dalle Jordan 1, così il board di Nike, pur di far desiderare ai tifosi quelle scarpe, ha lasciato che il trick visivo ingannasse chiunque. Dunque, le prime Jordan 1 che i tifosi ricordano sono, in realtà, delle Nike Air Ship nella loro colorway “Bred”, ossia “black and red”.
Le “Bred” sono conosciute anche come “Banned” e, anche in questo caso, la storia si trasforma in leggenda. Il 18 ottobre 1984, i Bulls giocano una Preseason game contro i Knicks e Jordan scende in campo con le Air Ship Bred. Il problema per i giocatori è che, nel 1984, devono sottostare alla 51 Percent Rule, ossia devono avere scarpe da gioco che non abbiano colori troppo dissimili da quelli dei compagni e devono avere come colore predominante – il 51%, appunto – il bianco.
Le Nike di Jordan (che, in futuro, lui stesso chiamerà “Devil’s Colors”) sono rosse e nere, e questa colorazione attira l’attenzione del Commissioner NBA David Stern. Qui nasce la leggenda: dato che le scarpe usate da Jordan infrangono la sopracitata regola, su ordine dello stesso Stern, Russ Granik, NBA Executive VP, pare abbia multato Jordan – e Nike – per una somma di $5’000 per ogni partita giocata con quel tipo di scarpe. Si parla di leggenda perché, in realtà, Granik ha solamente inviato a Rob Strasser, VP Nike, una lettera di ammonimento (a Nike) e un invito (a Michael) a non scendere più in campo con le scarpe in quella colorazione.
Come logica conseguenza della lettera di Granik, le scarpe di Jordan vengono proibite. Ma, a seguito del ritardo nella progettazione e dell’inganno televisivo, ad essere “bannate” dalla NBA sono… le Nike Air Ship Bred, globalmente conosciute come “Banned”.
Anche in questo caso Nike coglie la palla al balzo. Nuova pubblicità televisiva e voce profonda fuoricampo del narratore che dice: “On October 15, Nike created a revolutionary new basketball shoe. On October 18, the NBA threw them out of the game. Fortunately, the NBA can’t stop you from wearing them. Air Jordans. From Nike”.
Ora torniamo a Trieste, in quella domenica d’agosto. Il PalaSport è gremito di appassionati di basket, consapevoli che dopo quella sera potranno vantarsi di aver visto giocare Michael Jordan. Per quest’evento commerciale, Nike decide che MJ avrebbe dovuto giocare un tempo con la #23 della Stefanel Trieste e uno con la #23 della Juve Caserta. “Avrebbe dovuto”, perché Jordan giocherà l’intera amichevole con la maglia della Stefanel e con ai piedi le sue Jordan 1 Chicago.
Raccontare, azione per azione, quello che è successo in questa partita è quanto di più superfluo si possa fare: l’amichevole finisce 113-112 per la Stefanel, e Jordan segna 41 punti. No, dobbiamo concentrarci su due aspetti di quella partita: le Jordan 1 e il tabellone di vetro andato in frantumi dopo una tomahawk dunk dello stesso MJ.
Per quanto riguarda le scarpe, Jordan non si presenta in campo con un paio di Jordan 1 destinate al mercato europeo, bensì con le sue scarpe (Player Sample), quelle che Moore aveva disegnato per lui, quelle che l’hanno fatto diventare Rookie of the Year, quelle che hanno la scarpa destra mezza taglia più grande rispetto a quella sinistra.
Ebbene sì, Jordan gioca con la scarpa sinistra taglia 13US e la scarpa destra taglia 13.5US. Può sembrare un dettaglio insignificante, una peculiarità, però avrà una grandissima rilevanza 35 anni dopo.
Per quanto riguarda la schiacciata, è doveroso fare una premessa. Il basket italiano, già nel 1985, è indietro rispetto al basket americano anche e soprattutto a livello di infrastrutture e tecnologie. Se negli Stati Uniti i palasport sono tutti dotati di canestri sganciabili e vetri infrangibili, in Italia siamo rimasti un giro o due indietro; la Lega Basket, pur avendo fatto adottare ai club il canestro sganciabile, non ha ritenuto necessario obbligarli a sostituire i vetri (leggeri…) dei tabelloni con dei vetri solidi ed infrangibili.
Il risultato di questa “obsolescenza tecnologica” è che, con la tomahawk, il vetro va in frantumi, Jordan esce da questa situazione illeso, l’uruguaiano Tato Lopez si lacera i tendini della mano e la partita viene sospesa per sostituire il tabellone.
Il board di Nike, guidato dal Phil Knight, fiuta (nuovamente) la potenziale occasione commerciale e, una volta rientrati negli States, rilasciano nell’autunno del 1985 le Air Jordan 1 versione “Shattered Backboard”. Hanno una colorway particolare: ispirata ai colori sociali della Stefanel Trieste (nero, arancione e bianco), la scarpa presenta la tomaia nera in tessuto verniciato e “stropicciato”, un modo per ricordare il vetro frantumato del Chiarbola di Trieste.
Ma, in fin dei conti, perché è così importante questa partita?
Perché le “Chicago” di Jordan sono fondamentali ai fini di questo racconto?
Perché il vetro rotto passa dall’essere un elemento di obsolescenza a elemento principale della storia?
Il perché – i perché – è presto detto. Jordan, investito dalla pioggia di vetri, calpesta una scheggia di tabellone e questa va inevitabilmente ad incastrarsi nella suola della scarpa. Non accorgendosi di questo dettaglio, ci gioca sopra, finisce la partita, autografa le scarpe e se ne torna negli Stati Uniti come se nulla fosse successo.
In realtà, quelle Jordan 1 “Chicago”, taglia 13US la sinistra e taglia 13.5US la destra, con una scheggia di vetro incastrata nella suola, diventeranno 35 anni dopo le scarpe più costose della storia. È il 9 maggio 2020, Michael si è ritirato da quasi 17 anni, il nuovo G.O.A.T. è LeBron James, il brand Jordan (conosciuto anche come JumpMan23) è diventato globale.
Siamo a New York, nella sede della famosissima casa d’aste Sotheby’s. L’asta di quel giorno ha ad oggetto un paio di scarpe: un paio di Nike Jordan 1 “Chicago” Player Sample autografate, utilizzate da MJ durante un evento commerciale svolto in Italia e con incastonata nella gomma della scarpa una scheggia di vetro.
Esattamente quelle Jordan.
Sul sito di Sotheby’s viene indicata come base d’asta $100’000.00, la previsione circa il prezzo finale di vendita per quel tipo di oggetto si aggira intorno ai $150’000.00. Il record stabilito per la vendita delle Nike Moon Shoe, progettate dall’ex co-fondatore di Nike, Bill Bowerman, nel 1972, è lontanissimo – parliamo di $437’500.00.
Quelle, però, sono le Scarpe di Michael Jordan, con la S maiuscola. Sono autografate da MJ. E hanno un pezzo di vetro incastrato nella suola. Quelle “Chicago” vengono battute all’incredibile cifra di $560’000.00.
Quelle Jordan 1 sono le scarpe più costose della storia… e, molto probabilmente, rimarranno le più costose finché non verranno messe all’asta le Nike Air Ship Banned del 18 ottobre 1984.