Stanotte alle 4:00 in programma Gara 1 tra Utah Jazz e Los Angeles Clippers: le chiavi della serie e i possibili fattori-sorpresa.


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Per comprendere a pieno quanto sta accadendo in questi Playoffs, bisogna prima guardare alla storia della Lega: si sta aprendo una nuova era, in cui quelli che erano definiti small markets trovano comunque il modo di prendersi la ribalta, e piazze semi-nuove per una volta fanno invidia ai vicini di casa di tradizione più antica.

Nelle ultime 37 stagioni, 34 volte l’anello se lo sono spartito le solite 8: Lakers, Celtics, Bulls, Spurs, Pistons, Warriors, Heat e Rockets, monopolizzando ovviamente anche le Finals. Ci sono state tre eccezioni alla regola, Mavs, Cavs e Raptors, ma per ragioni diverse stanno tutte già preparando la prossima stagione – lasciando quindi questa situazione per il proseguimento della post-season:


Come sono arrivate qui

Sarà il quarto scontro in post-season tra Jazz (#1) e Clippers (#4). In tutte e tre le precedenti occasioni (1992, 1997 e 2017), sono sempre usciti vincitori i mormoni, ma si parlava sempre di serie al primo turno. La sponda rossoblù di LA non è mai arrivata alle Finali di Conference, mentre sarebbe lapalissiano ricordare l’ultima gita alle Finals di Utah.

Anche guardando il percorso delle squadre finora, si nota un forte contrasto.

Utah, con tutto il rispetto per la truppa di coach Jenkins che darà problemi negli anni a venire ed è rimasta fedele a quel motto Grit and Grind che Memphis stessa ha creato, ha avuto la classica serie da first seed, gestendo energie e momenti chiave con esperienza, grazie anche al rientro di Donovan Mitchell da Gara 2. Non c’era da aspettarsi altro da una squadra che ha chiuso la Regular Season col miglior record dell’NBA, e registrando il quarto miglior OFF Rtg e il terzo DEF Rtg.

Da Gara 2 a Gara 5, Mitchell ha portato 28.5 punti e 5.8 assist di media, concludendo con 30+10 per chiudere la serie. Importante anche il contributo di Mike Conley, che contro chi lo ha fatto diventare Captain Clutch ha chiuso con 17.6 punti, 8.6 assist e un irreale 54.6% dalla lunga distanza. Tuttavia, ad oggi è lui il più grande dubbio dei Jazz, visto il problema al ginocchio patito in Gara 5, che è per lui una ricaduta. Al momento è considerato day-to-day, ma va da sé che senza il prodotto di Ohio State la serie sarà molto diversa da come possiamo immaginarla oggi.

Non è stato facile invece per i Clippers approdare al secondo turno, nonostante si sappia che hanno ottenuto a fine Regular Season la parte di tabellone che volevano: ma al netto dell’eliminazione dei Lakers, si può parlare di hybris se hanno avuto ragione? Forse no. Ed è anche intuibile come, vista la situazione del nuovo corso a LA, non ci poteva essere miglior antidoto ai fantasmi dell’anno scorso di vincere una serie che si era messa in maniera opposta ai piani di coach Lue.

Proprio le scelte dell’allenatore sono state decisive, mantenendo il quintetto piccolo contro la zona a due torri di Dallas, che solo così poteva nascondere un roster neanche lontanamente al livello della sua stella slovena, Porzingis incluso.

Si trattava di fidarsi dei propri mezzi. I Clippers hanno chiuso la stagione regolare con 10 (sic!) effettivi sopra al 40% dall’arco, e le loro 20 triple – 7 di Marcus Morris, pareggiato il record di Curry (…) – sono il massimo di sempre in una Gara 7.

Se è criticabile che una squadra con così tanti difensori di livello come LA si faccia battere da Doncic senza un accenno di contromossa, va invece considerato come sul lato offensivo l’utilizzo alternato di Rajon Rondo e Terance Mann sia stato decisivo per scoperchiare le contromosse di Dallas.

Certo, non saremmo qui senza un Kawhi Leonard sul livello di Shaq in attacco – primo dai tempi di Big Diesel a portare 30 punti di media in una serie tirando sopra al 60% dal campo – e decisivo su Doncic, particolarmente in gGara 7, tenendolo a 0.8 punti per possesso da difensore primario.

Le chiavi della serie

La prima domanda è ovvia, oltre ad essere la più importante: come gestirà Rudy Gobert il quintetto piccolo dei Clippers? E’ la chance migliore di Lue per portare fuori il due volte DPOY fuori dalla sua zona più effettiva, e quindi facendo scendere di efficacia tutta la difesa dei Jazz, che già non ha l’atletismo necessario tra le ali per rispondere continuamente a Kawhi Leonard e Paul George.

Sull’altro lato, la possibilità di cambiare su tutto rovina i piani di un attacco che vive di pick&roll, ovviamente anche qui puntando molto sul francese, il quale non ha il gioco in post per punire un avversario più piccolo. Quindi, i ragazzi di coach Snyder potrebbero giocare più isolamenti di quanti ne vorrebbero, ma Mitchell ha ampiamente dimostrato di saper stare in queste acque: è sesto nella classifica all-time per punti a partita nei Playoffs con 27.5 (minimo 25 gare) ed è circondato da tiratori come non mai.

Snyder comunque avrà qualche antidoto a queste scelte, soprattutto considerando come Lue sia storicamente molto coerente nelle sue scelte, portandole avanti fino allo stremo (suo o degli avversari). Trovare un altro modo per punire i cambi dei Clip’s, ad esempio mandando Bogdanovic contro Jackson – chi segue l’Eurolega ricorderà come il croato sapesse essere fisico – oppure sfruttando la velocità di Conley e Mitchell contro Batum o Morris, o ancora usare al massimo i minuti nei quali Lue non ha cinque tiratori in campo e quindi nascondere lì Gobert (da capire se rientrerà o meno Serge Ibaka, che potrebbe rivelarsi il difensore perfetto in questo senso).

Non avendo come detto una contraerea affidabile nel reparto ali, senza l’aiuto di Gobert nel pitturato potrebbe essere una possibilità la zona già provata da Dallas. Chissà che con interpreti diversi non possa essere la kryptonite di LA. Che comunque arriverà sì gasata, ma di certo non riposata. Solo due giorni tra una serie e l’altra, un avversario che ha avuto tutto il tempo di studiarla e le prime due gare in altura: di certo le rotazioni non potranno essere le stesse dell’ultima settimana.

Proprio rimanendo in ambito rotazioni, i minuti con uno solo tra Leonard e George saranno il vero X factor: Utah ha complessivamente più giocatori pericolosi offensivamente, anche dal palleggio, mentre (dopo aver salutato Lou Williams) la terza opzione per i Clippers dovrà essere Reggie Jackson. Se proseguirà il suo trend della serie con Dallas, allora sarà più difficile che LA soffra quei parziali che ne hanno caratterizzato il nuovo ciclo; dall’altro lato, Utah manterrà lo status di favorita se riuscirà a mantenere l’ottima abitudine di perdere pochissimi palloni, e quindi togliendo il campo aperto ad una delle squadre che lo sfrutta meglio.

C’è molto in ballo in questa serie.

La storia – e la player option di Kawhi – per i Clippers, che non hanno una pick al primo giro fino al 2026.

La consacrazione di un progetto lungo e per molti anni doloroso per i Jazz, che sono andati all-in su ben sette giocatori del loro roster; a livello di trade (Conley e Clarkson), di firme (Bogdanovic e Favors) ed estensioni (O’Neale, Mitchell e Gobert). Se Conley esercitasse la player option per il prossimo anno, il nuovo proprietario Ryan Smith e il suo consigliere Dwyane Wade saranno debitori verso la Lega di 75 milioni di dollari di luxury tax.

Con buona pace di chi deve vendere più che il prodotto pallacanestro il nome della città, il sistema NBA nasce per storie come quelle di quest’anno.

Previsione: Clippers in 7.