La morte di Lewis e delle altre due promesse del basket hanno forgiato ricordi e lezioni che dureranno una vita.

FOTO: NBA.com

Questo contenuto è tratto da un articolo di Keith P. Smith per Celtics Blog, tradotto in italiano da Davide Corna per Around the Game.


Il 27 luglio 1993 mancava qualche giorno al mio quindicesimo compleanno. Avevamo appena finito una di giocare una partita di un torneo estivo di basket e mia madre stava riportando a casa me e i miei amici. Avevamo in programma di fermarci a mangiare una pizza oppure un hamburger da McDonald’s (o magari entrambi). Eravamo dei classici adolescenti che mangerebbero qualunque cosa gli capiti a tiro. Quattro ragazzi sudati, chiassosi e felici, freschi di una vittoria contro una scuola rivale in un (inutile) torneo estivo, in viaggio sulla stessa auto. Durante il tragitto di circa 20 minuti per arrivare a casa mia, le nostre vite cambiarono per sempre.Salimmo in auto e mia madre, avida ascoltatrice di notiziari radiofonici, aveva la radio accesa su WBZ o qualcosa del genere. Poco dopo l’abituale “Calmatevi!” della mamma, che tutti noi ignorammo, la radio emise il jingle da “Breaking News” e iniziò a riportare una notizia.


Reggie Lewis era collassato in campo alla Brandeis University di Waltham durante un workout estivo. Ricordavamo tutti che Reggie era già svenuto in campo quella primavera, durante Gara 1 del primo turno di Playoffs, contro gli Hornets. Aveva saltato il resto della serie in cui, nonostante la vittoria iniziale, Boston venne eliminata da Charlotte per 3-1. In quell’occasione, le notizie dicevano che Lewis si sarebbe ripreso del tutto con un’adeguata terapia. Gli aggiornamenti che lo davano in campo ad allenarsi solo pochi mesi dopo erano incoraggianti e importanti per Boston, che aveva bisogno di lui. I Celtics del 1992/93 erano decisamente in un periodo di transizione. Larry Bird si era ritirato l’estate precedente, dopo aver vinto la medaglia d’oro olimpica con il Dream Team; Kevin McHale non era più lo stesso dopo gli infortuni al piede e alla gamba, e si diceva che anche lui avrebbe lasciato la squadra; Robert Parish aveva ormai 39 anni, di cui 16 da giocatore NBA. I Big Three erano un ricordo. Ma, nonostante l’uscita di scena dei nostri eroi, Boston non avrebbe avuto problemi, perché aveva Reggie Lewis. Nel 1991/92, con Bird che fu in grado di giocare solamente 45 partite e McHale che ne disputò solo 56, il titolo di miglior giocatore della squadra era silenziosamente passato a Lewis. Aveva giocato tutte le 82 partite, con una media di 20.8 punti a partita unita a una percentuale di tiro dal campo oltre il 50%, oltre ad aver dominato difensivamente con più di una stoppata e 1.5 palle rubate a partita. Quella sarebbe stata l’unica stagione da All-Star di Lewis. Nel ’92/93, con un maggior peso sulle spalle dopo il ritiro di Bird e le difficoltà di McHale, Lewis fece altrettanto bene. Non ottenne molti voti per l’All-Star Game, probabilmente a causa del rendimento non esaltante dei Celtics, ma era ormai riconosciuto come uno dei migliori giocatori dell’NBA. Michael Jordan ha riconosciuto Lewis come “l’avversario più difficile contro cui giocare”. In una partita del 1991, Lewis fece questo a MJ:

Ora, va considerato che nessuno è mai riuscito a stoppare il jump shot di Jordan, che si trattasse di un tiro in sospensione, o una giravolta in fade-away, o altro ancora. Lewis lo fece quattro volte in una partita. Per inciso, mise anche una tripla fondamentale nel finale di partita. Torniamo a quella partita di Playoffs del ’93. I Cetlics erano riusciti a vincere 48 partite, grazie soprattutto alle prestazioni di Lewis. McHale e Parish avevano dato il loro contributo, seppur limitato. Xavier McDaniel era arrivato per sostituire Bird, ma ovviamente nessuno poteva essere in grado di farlo con lo stesso rendimento. Kevin Gamble, Dee Brown e Rick Fox erano buoni giocatori, ma non abbastanza da mantenere la squadra ai vertici della Conference. A differenza di Lewis, che aveva fatto quel passo in avanti nella stagione precedente e stava ora cementando il suo status fra i migliori della Lega. Boston arrivò quarta e ottenne il vantaggio del campo contro gli Hornets guidati da Alonzo Mourning, Larry Johnson e Muggsy Bogues. Sarebbe stata una serie in bilico, e molti puntavano sui giovani di Charlotte per la vittoria. Appena 13 minuti dopo l’inizio di Gara 1, Lewis svenne in campo. Sul momento non sembrò nulla di grave, per quanto possa essere non grave uno svenimento in campo. Lewis si riprese quasi subito. Lasciò il campo, ma sembrava star bene. Non lo avremmo mai più visto giocare per i Celtics.

In quella sera di luglio, quattro adolescenti scalmanati e mia madre avevano appena sentito che Reggie era collassato di nuovo. Ci lanciammo in diverse speculazioni, mentre ci rassicuravamo l’un l’altro sul fatto che si sarebbe ripreso. Forse aveva solo dimenticato di prendere la medicina per il cuore, o qualcosa del genere. Ma si sarebbe ripreso, insomma. Ci avevano detto che avrebbe ricominciato a giocare all’inizio della prossima stagione, in autunno. Nel mezzo di quella accesa conversazione, la musica delle “Breaking News” risuonò nuovamente, solo pochi minuti dopo la volta precedente. Catturò la nostra attenzione all’istante, come nient’altro avrebbe potuto fare. Sicuramente, ci stavano per comunicare che non si trattava di nulla di grave. Invece, sentimmo qualcosa di diverso, e ancora oggi, 24 anni dopo, ricordo ancora le esatte parole:

Reggie Lewis è morto dopo essere collassato in campo alla Brandeis University durante un allenamento”

Silenzio.

Niente più speculazioni.

Niente più rassicurazioni.

Reggie Lewis è morto…”

Scioccati. Niente festeggiamenti per la nostra vittoria. Nessuna sosta per la pizza.

Reggie Lewis è morto…”

Corremmo dentro casa mia. Il tizio alla radio doveva essersi sbagliato, doveva aver ricevuto informazioni errate. Accendemmo la TV, dove le repliche estive erano state interrotte dai telegiornali, con i loro inviati dall’ospedale dalla Brandeis University e dal Boston Garden. Ma nessuno di loro diceva qualcosa di diverso; nessuno di loro diceva quello che volevamo sentire.

Reggie Lewis è morto…”

Ogni volta che penso a quel momento, lo ricollego ad altri due istanti della mia vita.


Il primo fu nel 1986. Mi avvicinavo al mio ottavo compleanno. A 7 anni, lo sport era tutta la mia vita, assieme a G.I. Joe e alla mia bicicletta. Era il mio legame con mio padre. Viaggiava molto per lavoro, ma lo sport era ciò che ci teneva vicini. Ho giocato a calcio e a baseball crescendo, ma il basket stava iniziando ad appassionarmi più di ogni altro sport.

Bird era il mio idolo, come per qualunque altro bambino del New England, ma i Celtics ora avevano un giocatore che sapeva correre e saltare con quel Jordan dei Bulls. Len Bias era in arrivo e per un bambino di quasi 8 anni, era una cosa meravigliosa. Mi ricordo di quando seguivo le notizie prima del Draft NBA per vedere degli highlights di Bias. Le schiacciate erano la cosa migliore di sempre, e quel ragazzo le sapeva fare eccome!

Il 17 giugno 1986, poco più di una settimana dopo aver vinto il loro sedicesimo titolo NBA, i Boston Celtics acquisirono Len Bias con la chiamata numero 2 al Draft NBA del 1986. Red Auerbach avrebbe poi dichiarato: “Erano tre anni che pianificavo le cose per prendere Len Bias al Draft”. Se Red lavorava in quel modo per ottenere qualcuno, come aveva fatto per Bird e McHale, c’era da star sicuri che si sarebbe trattato di un ottimo giocatore. La mattina del 19 Giugno, due giorni dopo, entrai in cucina per fare colazione. Il giornale era sul tavolo con la foto di Bias che veniva presentato dai Celtics. Lo presi e mio padre, che in quei giorni era a casa, ci mise sopra una mano. A quanto pare la radio aveva appena annunciato che Bias era stato portato in ospedale. La mia memoria è un po’ annebbiata, ma credo che mio padre disse: “È malato”. Ok. La gente si ammala spesso. Niente di grave. Gli daranno qualche medicina e starà bene. Me ne andai e pensai ad altro. Più tardi quella mattina, o forse nel primo pomeriggio, sentiamo: “Un aggiornamento dall’ospedale: Len Bias è morto. Si pensa che la sua morte possa essere relativa all’uso di cocaina”.Aspetta. Morto? Quel ragazzo che correva, saltava, e schiacciava?

Len Bias è morto…”

Cos’è la cocaina? Perchè l’avrebbe fatto? Era appena arrivato a Boston, poi: com’era tornato nel Maryland lo stesso giorno?

Len Bias è morto…”

La notizia aveva lasciato molte domande al me di sette anni, e ai miei genitori aveva lasciato la responsabilità di trovare il modo di rispondere.

Len Bias è morto…”


Torniamo all’estate del 1993. I Celtics erano la mia squadra, ma un giocatore di un’altra squadra aveva conquistato il mio cuore. Nell’estate del ’92 tutti erano entusiasti per il Dream Team, incluso il sottoscritto, ma una fortissima guardia croata aveva catturato la mia attenzione. Drazen Petrovic era diventato in fretta uno dei miei preferiti. Sembrava venuto dal nulla, un po’ come Reggie Lewis. Era un ottimo realizzatore per i Nets, che stavano andando bene e si erano qualificati ai Playoffs per due anni consecutivi. Si era saputo che c’erano stati problemi contrattuali e Petrovic stava pensando di lasciare l’NBA per la Grecia – ma in realtà nessuno lasciava mai l’NBA. Nell’estate del ’92, Petrovic guidò la Croazia, che giocava da Nazione indipendente per la prima volta, alla finale per la medaglia d’oro. Furono sconfitti dagli Stati Uniti, contro cui avevano già perso nelle fasi precedenti, per quelle che furono le uniche due sconfitte della Croazia nel torneo, e vinsero la medaglia d’argento. Petrovic giocò talmente bene che i croati riuscirono addirittura a passare in vantaggio attorno alla metà del primo tempo. La sua voglia di vincere e la sua capacità di tiro erano d’ispirazione per un ragazzino che aveva solo voglia di giocare, tirare e vincere.

La mattina dell’8 giugno 1993, mi alzai, accesi la TV su ESPN e iniziai a guardare SportsCenter, come molti altri adolescenti in America. Mentre facevo colazione, quella prima di andare a scuola in quel martedì mattina, SportsCenter riportò una notizia.

Drazen Petrovic dei New Jersey Nets e della Nazionale croata è morto a seguito di un incidente d’auto in Germania ieri pomeriggio.”

Incidente d’auto? In Germania? Petrovic?

Drazen Petrovic dei New Jersey Nets e della Nazionale croata è morto…”

Non c’era qualche torneo importante in Europa? Non stava cercando di ottenere un nuovo contratto?

Drazen Petrovic dei New Jersey Nets e della Nazionale croata è morto…”

Non c’era bisogno di riascoltarle: quelle parole erano già marchiate a fuoco nella mia testa.

Drazen Petrovic dei New Jersey Nets e della Nazionale croata è morto…”


24 anni dopo Reggie e Drazen, e 31 dopo Len, tutti i dettagli di quei giorni sono ancora chiarissimi nella mia memoria. Ora ho quasi 39 anni e ho dimenticato molte cose, ma non dimenticherò mai quei tre momenti, che resteranno per sempre collegati l’uno all’altro nella mia memoria. Cosa più importante, non dimenticherò mai Lewis, Bias e Petrovic. Non ho avuto la possibilità di conoscere Bias sul campo e fuori del campo. Troppo pochi hanno avuto questa opportunità. Ma Petrovic era famoso per essere molto competitivo ed era considerato un astro nascente del basket mondiale. Reggie era qualcosa di diverso. Era cresciuto a Baltimore, nel Maryland, ma dopo gli anni alla Northeastern University e con i Celtics, era diventato di Boston in tutto e per tutto. Lui e la sua famiglia erano diventati una leggenda per il loro impegno nella carità e negli aiuti ai meno fortunati in tutta l’area di Boston. Il “Reggie Lewis Track and Athletic Center”, fondato in parte da lui stesso, ospita molti eventi di atletica. Pur avendo giocato ai Celtics solo per sei anni, la maglia numero 35 di Lewis è appesa vicino al soffitto del Garden. Non sempre accogliamo in questo modo chi viene da fuori, ma lo abbiamo fatto con Reggie, anche a causa della sua straordinaria forza di volontà. Mi ricorderò di Reggie per tutto quello che ha fatto a Boston dentro e fuori e dal campo, ma lo ricorderò soprattutto per avermi insegnato una preziosa lezione nelle circostanze della sua morte. Non dare il tempo per scontato. Non ci è garantito. Ama le persone che sono importanti per te, e assicurati che lo sappiano. Fai cose buone. Aiuta gli altri. Sii una brava persona. C’è un detto che ripeto sempre: “Non siamo qui per molto tempo. Facciamo sì che sia tempo speso bene”.

Sfrutta il tempo che hai per portare avanti una vita buona e piena. Ho iniziato a imparare questa lezione il 27 luglio del 1993. Mentre invecchiavo, è diventata parte di me. A volte perdo la concentrazione, come tutti. Ma ogni 27 luglio mi ricordo di concentrarmi di nuovo su ciò che è importante.

30 anni dopo, questa lezione è ancora più preziosa per me, come marito, padre, figlio, fratello e amico. Riposa in pace, Reggie. Ti ricordiamo con amore.