Dopo la serie vinta 4-0 contro i Nuggets, i Phoenix Suns rivendicano il proprio diritto ad essere ambiziosi. Con un imprevisto non da poco.

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2010. Questo l’anno in cui i Phoenix Suns hanno raggiunto l’ultima volta le Western Conference Finals. O, almeno, l’ultima prima di questa stagione.

Anche nei Playoffs del 2010 la Semifinali di Conference si erano concluse con uno sweep, con la sola differenza che, invece dei Denver Nuggets, dall’altra parte c’erano i San Antonio Spurs. La fortuna di quella squadra, comunque, si esaurì in 6 gare contro i Los Angeles Lakers, che raggiunsero anche il titolo contro i Boston Celtics.


Tempi diversi, giocatori diversi. Senza azzardare paragoni fra i roster, così da non far drizzare i capelli agli “antiquari” e da non far tremare gli scaramantici, ci limiteremo a pensare al presente, a questi Phoenix Suns. Anche perché, nelle scorse Semifinali di Conference, si sono lasciati guardare.

In tutto questo, però, è scesa un’ombra inquietante sulla Valley. La presenza di Chris Paul, che ha guidato la squadra con un serie clamorosa contro i Denver Nuggets, potrebbe essere a serio rischio per le Western Conference Finals.

Importante da specificare è che si attendono aggiornamenti: il periodo di isolamento in caso di positività previsto dai protocolli è tra i 10 e i 14 giorni ma, per giocatori sottoposti a vaccino, la durata del periodo di quarantena può essere ridotta, il che sarebbe significativo.

Diventa qui necessario smontare le voci createsi attorno a CP3, che aveva definito la vaccinazione come “personal-type decision”, da molti erroneamente interpretata come volontà del giocatore di non vaccinarsi. In realtà Paul, come già riportato in un primo momento, e confermato recentemente, ha già ricevuto un vaccino Pfizer a febbraio.

La stessa fonte conferma anche la positività al COVID-19, smontando l’ipotesi di un semplice contatto e costringendo inevitabilmente “Point God” ad entrare negli NBA Health & Safety Protocols.

In ogni caso, nel frattempo, è molto importante ragionare per assurdo, immaginando il peggiore degli scenari (l’assenza per l’intera serie) e ponendolo a paragone con quello che è stato visto finora, con esempi pratici.

L’assenza di Paul, per Phoenix, vorrebbe dire non tanto perdere una figura-chiave in termini di leadership in campo, ma anche il vero e proprio direttore d’orchestra della sinfonia dei Suns.

Sex & Drugs & Pick&Roll

No, non è una parodia del brano di Ian Dury, ma è abbastanza calzante. Il pick&roll dei Suns è stato sicuramente l’arma offensiva più letale in questi Playoffs, in tutte le sue varianti.

Ciò che è saltato immediatamente all’occhio nella serie contro Denver è stata l’incapacità dei ragazzi allenati da Mike Malone di rispondere in maniera efficace in queste situazioni, e in primis contro un Chris Paul di altissimo livello, vero e proprio maestro nella lettura della difesa avversaria sul pick&roll. Ogni contromisura adottata dalla squadra del Colorado, in particolare contro lo “Spain” pick&roll dei Suns, è sembrata sciogliersi come neve al sole.

Come detto prima, Chris Paul è quello che più ha giocato sulle debolezze dei Nuggets. Se nelle prime due partite Denver aveva provato a rispondere al pick&roll di Phoenix con degli hard show di Jokic, se non addirittura con dei blitz (soprattutto se a fare da portatore era Booker), nelle ultime due gare i Nuggets hanno optato quasi in toto per una drop coverage, contro la quale CP3 ha banchettato.

Le cifre di “Point God” da ball handler sul pick&roll, in questi Playoffs, sono più che efficienti, il che è molto importante vista la frequenza con la quale se ne è servita Phoenix (il 56.6% dei possessi di Paul è dedicato a questo playtype) e, soprattutto, considerando la sua assenza. I suoi numeri in questa situazione:

  • 8.2 possessi per partita
  • 1.05 punti per possesso
  • 52.4% score frequency
  • 57.8% effective field goal
  • 13.4% turnover frequency

Queste cifre, in ogni caso, sono utili a livello individuale, ma non tengono conto di uno dei punti di forza di CP3: le letture.

Raddoppiando l’ex OKC, o facendo show, ci sono una serie di conseguenze che si deve tener conto di affrontare: kickout pass, skip pass in angolo o pocket pass per il rollante sono solo la minima parte del repertorio di Paul, ma sono sufficienti a spiegare la volontà di “invitarlo” a segnare dal mid-range anziché lasciare al Crowder di turno una tripla wide-open in angolo.

A questo punto, per Denver, è stata molto più logica la scelta di spingerlo a tirare, soprattutto considerata la riluttanza nella serie contro i Lakers, dovuta principalmente ai problemi alla spalla. Acqua passata, a quanto sembra, anche se adesso i problemi sono altri.

Ma cosa significa, per Phoenix, giocare un pick&roll senza Chris Paul?

Tra gli altri interpreti, ci sarebbe Cameron Payne, che tanto ha fatto bene in questi Playoffs ed è ora chiamato a un innalzamento del minutaggio. Payne è stato utilizzato in uscita dalla panchina, in maniera molto schematica e con una gestione del minutaggio speculare fra primo e secondo tempo: ingresso in campo a fine primo quarto per chiudere con Booker, permanenza all’inizio del secondo periodo con Chris Paul. Stessa scelta, parallelamente, nel secondo tempo.

Questo ha concesso a Phoenix di avere un ball handler da affiancare a D-Book in assenza di Paul, in modo da permettergli di muoversi maggiormente off ball, e allo stesso tempo di far riposare Booker coordinando alla direzione del pick&roll di CP3 un tiratore dal 44% da tre punti in Regular Season e dal 39% ai Playoffs.

Analizzando soltanto le situazioni senza Paul, la gestione del pick&roll di Payne si è dimostrata abbastanza basilare, con un volume di tutto rispetto (circa 5 possessi per partita da portatore sul pick&roll). L’idea primaria è quella, in ogni caso, di creare vantaggio per una conclusione al ferro o un pull up dalla media, o al massimo di riaprire per un terzo posizionato dietro la linea da tre punti.

Oltre a questo, ci sono state un paio di situazioni in cui ha dimostrato di poter servire i compagni con un drive&kick o con buoni passaggi al rollante, anche se l’idea primaria è comunque quella di concludere personalmente.

Un discorso diverso spetta, invece, a Devin Booker. Quest’ultimo ha certamente confermato, nei suoi primi Playoffs in carriera, di poter essere uno scorer mortifero, capace sia di muoversi off ball che di creare vantaggio dal palleggio, in particolare entrando in area con il pull up dalla media distanza.

Ma come si comporta D-Book da ball handler sul pick&roll? La volontà dei Nuggets, soprattutto nelle prime due gare, è stata quella di raddoppiarlo o di metterlo in difficoltà con difese blitz o hard show, le quali, a fasi alterne, hanno anche funzionato.

Da questo punto di vista, pick&roll e non, ha fatto un ottimo lavoro Aaron Gordon (visibile nella seconda clip sopra). L’ex Magic è rimasto in marcatura su Booker più di chiunque altro in squadra (21 minuti e 18 secondi), costringendolo a 6 palle perse, al 45.5% dal campo (10/22) e al 33.3% da tre (1/3).

Farlo ricevere off ball è, e resterà, il desiderio di Phoenix, che è molto brava a liberarlo con flare screen o pindown, sfruttando particolarmente bene DeAndre Ayton, il quale vanta 5.8 screen assist a partita in questi Playoffs (4°).

In ogni caso, sul pick&roll Booker ha dimostrato anche di poter effettuare letture sopra la media, il che non è scontato per uno scorer di questo livello.

Senza Paul, la usage% di Booker potrebbe schizzare alle stelle, così come il quantitativo di tiri forzati. Nonostante i miglioramenti nella visione e nel trattamento di palla, D-Book non ha certo il controllo del pick&roll di CP3.

La conclusione preferita è il pull up dalla media, che può senza dubbio entrare con continuità, ma può essere limitante per sé e per i compagni, sia che venga preso all’inizio di un’azione, sia alla fine. Molto più utile il lavoro nelle clip sopra che in quelle sotto.

Lo scenario più plausibile è quello che prevede di far svolgere a Payne un lavoro più di gestione e lettura dei movimenti off ball di Booker, cercando di mettere in ritmo questo in primis, di sfruttarne la gravity per i compagni in seconda istanza.

La gestione del pick&roll da parte del figlio di Melvin, invece, arriverebbe in momenti di blocco collettivo o di gioco rotto, in modo da spingerlo a creare per conto proprio, sfruttandone le doti di scoring.

Ovviamente, ci possono essere conseguenze più che negative per Phoenix, soprattutto contro difese che possano ruotare anche raddoppiando contro Booker, o in presenza di difensori point-of-attack che possano arginarlo.

L’assenza di “Point God” si farà sentire soprattutto nei quarti periodi, momento in cui le percentuali si sono impennate contro Denver e la gestione dei possessi, in particolar modo, sembrava focalizzarsi nell’attaccare la drop coverage di Jokic, sfruttando poi la gravity esercitata per costringere gli avversari a raddoppi o contromisure estreme, aprendo la strada per i compagni.

Per Phoenix sarà importante sfruttare la squadra organicamente, contando su tutti coloro che non si chiamino Chris Paul. E i Suns, da questo punto di vista, potrebbero non arrivare del tutto impreparati.

Scontro tra MVP

Nessun errore. Le Semifinals disputate fra Nuggets e Suns hanno visto scontrarsi non uno, ma due MVP.

Uno, quello formale, è Nikola Jokic, che in Gara 3 ha anche scritto l’ennesimo capitolo di storia di questa sua magnifica stagione, mettendo a referto una tripla doppia da 32 punti, 20 rimbalzi e 10 assist, il terzo di sempre a riuscirci dopo Kareem Abdul-Jabbar e Wilt Chamberlain.

L’altro, invece, è stato eletto MVP sine suffragio, avendo ricevuto una nomina abbastanza speciale proprio da colui che potrebbe mancare.

Stiamo parlando, come si sarà capito, di DeAndre Ayton, sicuramente il giocatore più importante per gli equilibri dei Suns e che avrà bisogno di fare un ulteriore step in assenza di Paul.

Lo scontro fra i due lunghi nelle Semifinali è stato, forse, il vero punto di svolta della serie. Le doti di Ayton nel limitare Jokic si erano intraviste ampiamente nel corso della Regular Season, ed era pronosticabile che avrebbe dato fastidio, e non poco, all’MVP dei Denver Nuggets (ne avevamo parlato qui).

Ciò che ha stupito è stata la costanza con la quale DA ha tenuto a bada Jokic. In 32 minuti e mezzo di matchup, i numeri del serbo, e soprattutto le percentuali al tiro, sono stati ben al di sotto delle medie usuali:

  • Vs Ayton: 32.30 minuti, 53 punti, 14 assist, 4 turnover, 24/59 dal campo (40.7%), 2/12 da tre punti (16.7%), 4 falli su tiro
  • Vs Phoenix Suns (no Ayton): 16.50 minuti, 47 punti, 7 assist, 3 turnover, 15/27 dal campo (55.5%), 3/5 da tre (60%), 5 falli su tiro

La capacità di Ayton nel contestare il tiro con le braccia lunghissime, la mobilità laterale e la velocità di piedi, complementari ad una forza sovrumana nella parte superiore del corpo, utile ad assorbire qualsiasi contatto, gli hanno permesso di disputare una serie difensiva addirittura al di sopra delle già elevate aspettative.

Se prendessimo, ad esempio, proprio Gara 3, la tripla-doppia di Jokic è arrivata con 29 tentativi dal campo, il 44.8% al tiro e il 16.7% da tre punti. Lo stesso numero di rimbalzi (20) è frutto di un allontanamento di Ayton dal pitturato, spesso conseguenza di uno switch o, più semplicemente, della sua assenza dal campo.

Ayton è un altro degli esordienti di questi Phoenix Suns e, come per Booker, ci sono alcune situazioni in cui ha dimostrato i propri limiti. Nonostante l’estrema generosità, infatti, ci sono un paio di errori strutturali da risolvere nel prosieguo di questi Playoffs, in particolare se il carico offensivo dovesse aumentare.

Il primo riguarda, sicuramente, l’aggressività offensiva. Per “colpa” delle ottime mani, croce e delizia del suo skillset, non sempre ha sfruttato la maggiore fisicità contro Jokic, accontentandosi di un fadeaway o facendo errori di leggerezza. Le percentuali sono state comunque ottime, e l’agonismo e la dedizione al lavoro di DA fanno ben sperare, ma sarà importante per lui sfruttare ogni mismatch, qualunque avversario raggiunga i Suns al prossimo turno.

Il secondo punto, invece, potrebbe essere una vera e propria svolta nel suo processo di crescita, e riguarda le linee di passaggio. Ayton è un passatore di tutto rispetto per il ruolo, ma aggiungere letture efficaci dallo short-roll lo inserirebbe a pieno titolo fra l’élite della Lega.

Sia chiaro, in ogni caso, che per il “ruolo” stricto sensu il lungo dei Suns sta dimostrando di appartenere ad un livello stellare, ma dovrà fare un ulteriore passo in termini di continuità se mancasse CP3, contesto nel quale sarebbe, come detto, coinvolto maggiormente a livello offensivo.

Le prestazioni fanno comunque ben sperare, e non è un caso che sia Monty Williams che Chris Paul abbiano sempre avuto una parola di riguardo per DA, elogiandone l’impegno profuso in ogni singola partita.

“Unselfish”: la vera chiave dei Suns

Se parliamo di effort e della necessità di mettersi a disposizione della squadra, forse Ayton non ha eguali. Ma le sue prestazioni sono il frutto di un orientamento collettivo ben indirizzato.

La differenza per Phoenix, fino ad ora, l’ha fatta il mindset di squadra, la consapevolezza e la volontà dei singoli di comporre un sistema organico. L’aggettivo che meglio di altri definisce i Suns è, pertanto, unselfish, una caratteristica che dovrà risaltare ancora di più, adesso.

Ma cosa significa, di preciso, non essere egoisti per il team dell’Arizona?

Monty Williams chiarisce che non si tratti di semplice condivisione della palla, ma anche di aiuti, comunicazione e, soprattutto, quella che chiameremmo “fame” agonistica, voglia di migliorare al di là dei limiti. Con questa mentalità, anche una super assenza come quella di Paul potrebbe non costituire un punto di non ritorno.

Certo, i favori del pronostico e tutto ciò di buono visto fino ad ora cadono in un ingeneroso reset, ma se c’è una cosa che queste Semifinali hanno confermato, è la profondità del roster. Non c’è da stupirsi che Dario Šarić, che a malapena aveva visto il campo contro i Lakers al primo turno, abbia giocato possessi importanti, tirando con il 50% da tre punti e difendendo in maniera eccelsa, facendo un ottimo lavoro sui lunghi avversari e, a tratti, limitando Jokic abbastanza per l’arrivo dell’aiuto.

E non stupisce nemmeno che due role player come Cameron Johnson (visibile all’opera in una delle clip sopra) o Torrey Craig siano capaci di giocate di energia che possano cambiare l’inerzia della partita da un momento all’altro. I due in particolare stanno tirando con ottime percentuali e offrendo un contributo encomiabile su entrambe le metà campo.

Il coaching staff di Phoenix, più volte elogiato in conferenza stampa anche da una superstar esperta come CP3, sembra aver lavorato non solo sulla preparazione fisica dei singoli, ma anche sulla tenuta mentale e sulla coesione dell’intero roster, facendo di mindset, sense of urgency e communication delle parole chiave ancor prima che formule vuote di senso.

“Huge credit to our coaching staff”, ogni partita è stata preparata al meglio per tutta la durata della stagione. “Great attention to detail”.(Chris Paul nel post-game di Gara-3, via Around the Game)

A fare da collante in questo contesto ci sono anche veterani come E’twaun Moore o Langston Galloway, voci silenti in campo ma sempre vivi nelle parole del coach, che ha più volte speso dichiarazioni di apprezzamento per il loro lavoro comunicativo svolto in spogliatoio, nonostante lo scarso minutaggio.

Parlando di veterani e minutaggio, però, è impossibile non citare Jae Crowder.

Al di là dell’acme raggiunta con le quattro stoppate in Gara 4, frutto di uno sforzo di squadra più ampio che ha originato un vero e proprio block party, l’ex Miami si è rivelato un bug su entrambe le metà campo, effettuando switch su chiunque e tirando con percentuali surreali in queste Semifinali: 54.5% da dietro l’arco su 5.5 tentativi, con un ineffabile 69.2% su 4.3 tentativi nelle ultime tre.

Non è un caso che, con lui il campo, i Suns siano inarrestabili.

L’altro alfiere, stavolta non un veterano, ma un esordiente, è Mikal Bridges. Last but not least di questa analisi, ha sicuramente rispettato le aspettative che lo vedevano partire come uno dei difensori più versatili della Lega.

Contro Denver è stato impiegato principalmente su Michael Porter Jr: in più di 22 minuti di matchup, solo 16 punti con 5/14 dal campo, 4/7 da tre, 2 palle perse e 3 tiri stoppati per il giovane talento di Denver. MPJ è rimasto estraniato dal gioco per quasi tutta la serie, sfidato a giocare su tutte le sue difficoltà, come il ball handling o il tiro dal palleggio, sempre contestato.

Oltre a questo, Bridges ha messo a referto 16 punti di media nella serie, concludendo anche Gara 1 come leading scorer. La dimensione da slasher, che più appare congeniale all’archetipo di giocatore, sembra poter ricevere un upgrade tramite una ricerca di fiducia al tiro, nonostante le percentuali non proprio brillanti ai Playoffs, da integrare ad un atletismo già indubbiamente straripante e ad una self-creation in via di sviluppo.

Quello che le Semifinali contro i Nuggets hanno lasciato è, in poche parole, un’iniezione di fiducia e una presa di consapevolezza enorme per la squadra.

L’affiatamento fra i singoli, l’austerità di coach Monty Williams e l’esaltazione per una striscia di 6 vittorie consecutive non possono far altro che esaltare l’organico in previsione delle Western Conference Finals, nonostante il duro colpo subito.

Le chiavi

Adesso gli interrogativi sono tanti, e ruotano attorno a più fattori chiave:

  • off court di CP3, che conferma la risonanza dello status del giocatore all’interno dello spogliatoio al di là del rendimento.

Ritrovarsi orfani di questa presenza peserà assolutamente, visto che i problemi non sono i classici legati agli infortuni, ma che si andrà incontro ad un vero e proprio isolamento.

Più che mai, a questo punto, saranno messe alla prova le capacità gestionali di Monty Williams, che ha certamente fornito, come chiarito sopra, gli strumenti per uscire da situazioni simili. Conterà moltissimo passare dalla teoria alla pratica, dal momento che questo potrebbe essere il maggior momento di difficoltà della stagione.

  • La gestione del quarto periodo e del clutch time: i numeri proposti parlano chiaro, ma non si tratta solo di questo. Devin Booker ha parlato delle doti di CP3 nell’ “abbassare la pressione” facilitando i compagni nei minuti finali. Senza di lui, le responsabilità ricadranno totalmente su D-Book, più volte elogiato nel corso della serie per il “sense of urgency” dimostrato, che ha spinto Monty Williams a definirlo “fearless”.

Nonostante la giovane età e i primi Playoffs in carriera, Booker ha dimostrato più volte nel corso della post-season di poter alzare il proprio livello in momenti delicati.

Essendo uno dei giocatori più radicati nel progetto dei Suns, la squadra che lo ha scelto al Draft e con la quale ha passato anche momenti difficili in termini di risultato, è naturale che sia uno dei più esuberanti in campo e fra i più propensi ad assumersi responsabilità. Anche qui, per adesso, non si potrà avere una riprova prima delle Finali di Conference, ma nei momenti delicati è sembrato già ben impostato.

  • Entusiasmo. Sebbene rientri nel campo delle cosiddette intangibles, la componente psicologica avrà un significato enorme per i Suns. La squadra è giovane, con molti membri importanti ancora in potenza di dimostrare qualcosa.

Coach Monty Williams, nell’ultima conferenza, ha definito “irreale” lo spirito di squadra dopo aver lasciato la palestra, spiegando come sia importante pensare sempre allo step successivo, ma a piccole dosi, che sia un allenamento o una film session.

Il fatto che si continui con il lavoro e si guardi avanti non è certo una novità per il tipo di impostazione data nel corso di tutta la stagione dall’allenatore, sempre proiettato in avanti, che il trascorso fosse una vittoria o una sconfitta.

Di entusiasmo, a Phoenix, ce n’è certamente ancora molto:

“We have our eyes on the prize”. (Devin Booker, nel post-game di Gara 3, via Around the Game)