Nella sua prima pagina, l’All-Star degli Orlando Magic parla della sua offseason, di Seattle, dei Playoffs e molto altro.

FOTO: Andscape

 

Questo contenuto è tratto da un articolo di Marc J. Spears e Paolo Banchero per Andscape, tradotto in italiano da Alberto Pucci per Around the Game.


Essere nativo di Seattle ha dato all’ala degli Orlando Magic Paolo Banchero un peso superiore da portare sulle spalle. Banchero è convinto che lui e i suoi concittadini del Nordovest degli Stati Uniti debbano sempre dimostrare il proprio valore al resto del paese. Per la franchigia della Florida si può dire lo stesso, con l’italoamericano e i suoi compagni che cercano sempre di fare rumore per farsi notare dal resto della Lega. Le aspettative del pubblico generale, tuttavia, sono basse, nonostante il numero 5 sia convinto che questa possa essere per lui la stagione della svolta.

Siamo simili a Seattle qui perché non siamo rispettati su scala nazionale come dovremmo. Devi sempre guadagnarti il rispetto e gli occhi del pubblico e degli altri giocatori. È qualcosa che io e i miei compagni sappiamo bene e poniamo come nostro obiettivo. Lo abbiamo già fatto e ora ci dobbiamo far rispettare come top contender

Durante la stagione NBA appena iniziata, Banchero condividerà con Andscape punti di vista sulla propria vita coi Magic, come hanno fatto precedentemente altri grandi giocatori: Draymond Green, Trae Young, Vince Carter, CJ McCollum, Cade Cunningham e, più recentemente, Bradley Beal. Durante il primo incontro col giornalista di Andscape Marc J. Spears, Banchero ha spiegato le ragioni alla base della grande produzione di talenti cestistici della città di Seattle, si è preso le responsabilità della sconfitta in sette gare contro i Cleveland Cavaliers della scorsa primavera e ha paventato tutto il proprio ottimismo in vista della stagione alle porte, dando anche qualche consiglio di pettinatura. Ecco le sue parole:

“Sto facendo questo diario perché voglio che le persone sappiano che tipo di persona io sia, che tipo di competitor io sia, come sto imparando, come vedo il mondo. Spero che possano imparare qualcosa su di me che non sapevano. Come è ovvio, si vede solo e sempre il lao pubblico, mostrato dai media. Molte persone hanno un’opinione negativa o diversa su di me sulla base di dicerie o di piccole cose. Per questo motivo, questa esperienza mi esalta. Sono Paolo Banchero da Seattle, l’angolo in alto a sinistra di questo paese. I ragazzi di quelle parti, come me, hanno un peso diverso da portare sulle spalle, ci sentiamo poco visti rispetto ad altre zone del paese. È una cosa che ho sempre avuto anche io, quel peso di venire da Seattle, di esserci nato e cresciuto. Entrambi i miei genitori sono di lì, quindi si tratta di qualcosa che è nel mio sangue, che porto con me ovunque vada. Un peso, ma anche un vantaggio. Seattle è, tutto considerato, la miglior fabbrica di basket del paese. Quando guardi alla profondità e alla storia di questa città in termini di basket… non c’è stata soltanto una sfornata di bravi giocatori o una generazione con molti professionisti. Sono anni e anni che va avanti, da Doug Christie, uno dei primi, a Jason Terry, e poi Isaiah Thomas, Jamal Crawford. La lista va avanti, anno dopo anno, generazione dopo generazione. Mi sento a capo di una nuova di queste generazioni, e abbiamo altri ragazzi più giovani che stanno arrivando. È una macchina be oliata e penso che ci faccia stagliare sul resto. Nessuno esce da Seattle e se ne dimentica o pensa solo a sé stesso. Vedi sempre questi campioni tornare a Seattle, a Tacoma o in qualunque sia la loro città d’origine. Cercano di ridare indietro qualcosa alla comunità, alle persone che li hanno aiutati durante il proprio viaggio. Io l’ho imparato da piccolo, vedendo ragazzi come Crawford, Spencer Hawes o Aaron Brooks. Mi hanno mostrato che, una volta arrivati nella Lega, si devono ispirare le giovani generazioni di cestisti. Non ci sono luoghi simili a Seattle in quanto a numero di ragazzi che ce la fanno e tornano a mostrare ai giovani come replicare il proprio successo. Orlando è molto più piccola di quanto pensassi. Prima del Draft ero convinto fosse una città più grande, forse per Disney World. Quando sono arrivato ho scoperto che era più piccola e ho capito il vibe della città. Poca gente, pochi occhi, poche attenzioni anche da fuori.”

I Magic, lo scorso anno, si sono qualificati ai Playoffs per la prima volta dal 2020. Banchero ha chiuso la sconfitta nella decisiva Gara-7 del primo turno con 38 punti e 16 rimbalzi in 42 minuti.

“L’obiettivo dello scorso anno era la postseason, eravamo curiosi di provare a gestire il momento e le pressioni, e per essere la prima volta non abbiamo poi fatto tanto male. Quando siamo arrivati a Gara-7 eravamo consapevoli che fosse il momento della verità. Mi ricordo di essermi svegliato prestissimo, anche perché era una matinée (13 americane, 19 italiane, ndr). Ci siamo svegliati alle 8.30-9 per andare al palazzo e dovevi essere subito pronto, non come quando ci sono le partite serali e puoi pensare al match tutto il giorno. Devi essere carico appena sveglio. Arrivati al palazzo, pensavo di essere in una guerra. Loro contro di noi. Ovviamente eravamo in trasferta, nessuno avrebbe tifato per noi. Mi ricordo di aver visto mia mamma e mia nonna che mi guardavano appena dopo la palla a due. Mi dicevano con lo sguardo di dare tutto, come dice sempre la nonna prima delle partite: “Fai vedere chi sei”. Mi ricordo di essermi sentito felice per la loro presenza e il loro supporto, e di voler solo tirare fuori ogni goccia di sudore. È stata una gara punto a punto. Siamo stati avanti di 18 nel primo tempo, ci sentivamo bene ed eravamo in vantaggio. Ma abbiamo sbagliato e ci siamo rilassati troppo, non ricordandoci che eravamo a solo qualche giocata da trovarci ancora spalle al muro. Hanno avuto un parziale all’inizio del secondo tempo e si sono ritrovati subito a -4. Da lì è diventata veramente punto a punto. Io mi sono sentito a corto di benzina verso la fine. Proprio per questo, quest’anno voglio essere nella miglior forma possibile e voglio spingere il mio corpo oltre i miei limiti. Mi sono sentito come se non avessi più nulla da dare, pur sapendo che non avevo dato abbastanza per meritare di vincere. Questo pensiero mi ha caricato per tutta l’estate, mi sono ricordato le sensazioni di quel finale di partita, la delusione e la tristezza di aver tradito i compagni e non aver saputo mettere una marcia in più.

Il focus principale in offseason è stato il mio corpo, la ricerca di una migliore tenuta fisica e mentale. Non avevo mai passato un’intera estate a lavorare in questo modo. Sono sempre andato in palestra un paio di volte al giorno, ma non mi sono mai dedicato per giornate intere ad allenare la resistenza, la tenuta e l’agilità per prepararmi agli sforzi della stagione. Ero concentratissimo e ho coltivato delle ottime abitudini che spero di mantenere. Mi sento assolutamente meglio e non vedo l’ora di tornare in postseason e di vedere come sono migliorato. Ho pensato alla sconfitta con Cleveland ogni giorno per due settimane. Ho anche rivisto interamente la partita, ma solo una volta, per poi dirmi che non l’avrei mai più vista, ho visto delle clip ovviamente, ma mai tutta la partita. Mi ci sono volute quattro o cinque ore per finirla, perché continuavo a mettere pausa e tornare indietro, in modo da capire le cose fatte bene e quelle fatte male. Mi sono anche scritto su cosa dovessi migliorare. Cerco sempre di ricordarmi le sensazioni che ho provato dopo la partita e che mi hanno motivato per tutta l’estate. Riuscivo solo a pensare a come ci sia andato vicino, a come l’opportunità fosse lì per andare avanti e noi non l’abbiamo raggiunta. Ero frustrato, ma penso sia qualcosa che alla fine mi possa migliorare. Vedere Jayson Tatum quest’estate, ovvero una delle persone a cui sono più vicino nella Lega, mi ha fatto pensare alla sua frustrazione dopo il 2022. Gli ho chiesto, basandomi anche sulla mia esperienza ai Playoffs: “Cosa si prova ad arrivare in fondo e vincere? Cosa ti ha richiesto e cosa ha richiesto alla squadra?”. Lui, in parole povere, mi ha risposto:

“Arrivi a un punto in postseason dove sei solo tu e la squadra. Sono nove mesi che fate le stesse cose ogni giorno. Stancarsi è facile, annoiarsi anche, e così possono arrivare gli errori e le sbavature. Ma quelli sono i momenti in cui ti devi concentrare ancora di più. Una volta arrivato al secondo round, o alle Finali di Conference, diventa ancora più importante essere in focus e uniti come gruppo.”

Ricordo ancora la mia serie di primo turno dello scorso anno. Ero cotto, fisicamente e mentalmente. Pensare a loro, al fatto che hanno fatto altre tre di queste serie, mi sembra durissimo, ma i suoi consigli sono stati preziosi. Io e Luka Doncic abbiamo trascorso insieme un bel po’ di tempo in Cina. È un ragazzo semplice e lo ammiro per le sue conoscenze e letture cestistiche. Gli ho chiesto come faccia a giocare così lentamente e in controllo, come faccia a vedere certe letture. Lui ti guarda quasi stupito e ti dice che semplicemente vede l’attacco e lo legge. Per lui basta quello, è semplice. In tutta onestà, sono tanti i campioni che, quando stimolati, rispondono così. Per loro è naturale, non c’è metodo, sono solo visioni e sensazioni. Mi sento simile a lui nel cercare di non pensare troppo, da giocatore, alle volte è meglio fidarsi del proprio talento e degli istinti. Luka lo fa ogni sera, e per questo lo rispetto.

Sono rimasto a casa tutta l’estate, da maggio a settembre. Tornare a Seattle è stato bellissimo e utile a farmi tornare coi piedi per terra. I miei primi due anni di NBA, dal Draft alla serie con i Cavs, sono stati velocissimi e non mi hanno dato molto tempo per tornare a casa e per stare con la mia famiglia e i miei amici. Quando è un po’ che non vedi la tua gente inizi a sentirlo dentro. Sai che persone che ti vogliono bene stanno iniziando a percepire la tua mancanza e sperano di vederti presto, e questa cosa ti fa star male. Lo sentivo anche io durante il mio secondo anno e, alla fine della stagione, ero convinto di aver bisogno di tornare a casa e stare con la mia famiglia. Non solo i miei genitori, che vedo spesso, ma il resto dei miei parenti di Seattle, persone che frequento assiduamente quando sono a casa. So quanto sia importante, non solo per me, ma per loro, stare insieme. A volte noi atleti rimaniamo intrappolati in questo stile di vita. La stagione è lunga, si viaggia molto e non abbiamo tempo per le cose importanti. Tornare a casa mi ha riportato sulla terra, mi ha rilassato e mi ha fatto ricordare chi fossi e per quale motivo facessi quello che faccio. È stato bello godersi un ambiente in cui non sei soltanto una celebrità, in cui le persone non vogliono mai approfittarsi di te, ma ti coccolano con un amore naturale e genuino. È stato incredibile, ho passato tre mesi e mezzo a lavorare sui miei piedi, ad allenarmi e a passare del tempo con famiglia e amici. A settembre è stata ora di tornare a Orlando. Mi sentivo pronto a lasciare Seattle, e questo mi fa capire di aver passato bene i mesi estivi, perché ero pronto a rimettermi sotto coi Magic. È stato importantissimo per me fare il mio primo camp a Seattle. È qualcosa che stiamo organizzando col mio team ormai da due anni. Mi hanno chiesto se volessi farlo e ho risposto di sì e che volevo farlo a Seattle, dov’ero cresciuto. Ricordo ogni estate l’ansia di aspettare il basketball camp. I miei genitori me lo facevano sempre fare. Aaron Brooks ne aveva uno, e anche Jamal. È qualcosa che aspettavo con ansia e che ricordo ancora con piacere. So per esperienza personale quanto i bambini siano entusiasti di essere con me, un giocatore che guardano in TV e gioca a livello nazionale. Quando un bambino ti vede da vicino e scopre come ti allenti ogni giorno, vede i suoi sogni un pochino più realizzabili. Sono in grado di pensare: “Yo, Paolo è cresciuto nel mio stesso posto, nelle stesse palestre e con gli stesso coach. Perché io non posso essere il prossimo?” erano anche i miei pensieri di quando ero piccolo. È un effetto a catena. Mi vedono al camp e alcuni, non tutti, credono i propri sogni più vicini. La nostra squadra è speciale. Non lo dico solo io, e credo che abbiamo qualcosa di raro nello sport. Siamo dei ragazzi pronti a spalleggiarci l’uno con l’altro e pronti ad aiutarci. Voglio vedere tutte le persone di questo gruppo avere successo. Non siamo solo affiatati, ma talentuosi e versatili. La scorsa stagione ci ha motivati lungo tutta l’estate e ci ha fatto lavorare come matti per essere nuovamente pronti in questa stagione. Penso di vedere questo fuoco in ognuno di noi. Tutti sembriamo migliorati e pronti. Il camp è stato magnifico e sono pronto ad andare là fuori e giocarmela coi miei compagni.”

Una partita di preseason dei Magic contro i Pelicans è stata cancellata per l’uragano Milton. Orlando è rimasta a San Antonio e non è rientrata proprio per l’uragano.

Sono cose spaventose. Non per me, perché non avevo parenti in città e non ero lì, ma ho pensato a lungo agli abitanti della Florida. Abbiamo tifosi e addetti ai lavori con tutta la famiglia nello stato, e io mi preoccupo per loro in questi momenti. Posso solo immaginare cosa voglia dire andare a fare il tuo lavoro preoccupato per tua moglie e i figli a casa con l’uragano. Non puoi essere lì ad aiutarli. Sono grato e rispetto moltissimo i nostri coach e ai giocatori, perché hanno dovuto sopportare una cosa del genere. Fortunatamente, le persone nella nostra organizzazione non sono state eccessivamente colpite. Molti però, sono bisognosi e vulnerabili in questi momenti. Le persone hanno perso valori, oggetti, case, elettricità e noi dobbiamo fare il possibile per dare una mano.

FOTO: Tampa Bay Times

I Magic hanno vinto la prima partita in trasferta per 116-97 contro Miami. Banchero ha chiuso a 33 punti e 11 rimbalzi. In seguito, la squadra ha anche sconfitto i Nets nella prima in casa per 116-101, per poi perdere la terza sfida a Memphis.

“Non vedo l’ora di giocare la prima in casa di fronte ai nostri tifosi. Abbiamo visto crescere il loro amore ogni anno, ogni mese. Vedi sempre più tifosi con le nostre maglie, rumorosi e caldi. La nostra partecipazione ai Playoffs ha veramente mandato una scossa a tutta la città. È evidente che molti hanno ricominciato a sostenerci perché abbiamo avuto successo dopo tanti anni. Moltissimi fan aspettavano da tempo i Magic. Ci sono molte sfide, molte contender, ma anche molto entusiasmo in città, di cui noi ci troviamo. Sarà un anno fantastico nel nostro palazzetto. Mi faccio le trecce ogni tre settimane, forse un mese. Le ho appena fatte per essere pronto per la prima partita. Dopo sette-otto dovrò rifarlo. Mi sono tagliato i capelli prima di andare al college, e ho poi deciso di lasciarli crescere, penso che ora la mia pettinatura sia bellissima e devo ringraziare la mia parrucchiera di Orlando, Ashley, che si prende cura di me. Anche Barbie, che mi taglia i capelli quando sono nella West Coast, è da ringraziare.”

Banchero ha anche giocato a football al liceo, e il padre è stato wide receiver per l’Università di Washington

“Non so se ANT possa passare al football, le botte lo porterebbero a cambiare idea molto presto. Io non ci andrei. Amo il football, lo guardo e lo analizzo, è stato il primo amore, ma quei ragazzi sono troppo veloci, troppo forti, mi distruggerebbero.”

Mentre registrava il diario, Banchero ha scoperto dell’estensione di Jalen Suggs

“Davvero? Evvai! Sono così felice per lui, è un contrattone, cose che ti cambiano la vita, ora deve solo concentrarsi e giocare. Congratulazioni a lui e alla sua famiglia. Ho conosciuto Jalen al liceo, andando ai camp, e vedere lui e la sua famiglia così mi rende felice.”