Dopo un inizio difficile, al rientro dalle Olimpiadi stanno facendo impazzire la WNBA, trainate da Kelsey Mitchell in straordinaria forma e Caitlin Clark che batte record a ogni gara.
Venerdì sera. Alla Wintrust Arena di Chicago mancano due minuti al termine della gara. Le Indiana Fever stanno battendo comodamente le padrone di casa delle Sky, con 20 punti di distacco. La coach Christie Sides decide di togliere le titolari per dare un po’ di spazio alle riserve meno impiegate. Caitlin Clark sta uscendo dal campo serena, a testa bassa. A un certo punto alza lo sguardo, attirata dal ruggito del pubblico. Una schiera di maglie numero 22, rosse, blu e nere, si alza ad acclamarla. Lei si esalta e risponde al boato del pubblico, invitandoli a continuare. È una dichiarazione di vittoria. Fuori casa, contro la storica rivale dai tempi del college, Angel Reese, ha appena chiuso il dibattito per il titolo di Rookie of The Year, con 31 punti e 12 assist, e ha dimostrato a tutti che per lei e le Fever non esistono gare in trasferta: ovunque vadano, il pubblico è tutto per loro.
Reality has come
All’inizio della stagione, sembrava che l’impatto di Clark sulla WNBA sarebbe stato più lento, che avrebbe avuto bisogno di tempo per cominciare a incidere davvero. E uno dei motivi principali era che la squadra che l’aveva scelta, le Indiana Fever, sembrava piuttosto modesta. Con due lotterie del Draft vinte di fila, del resto, era prevedibile. I lay-up facili sbagliati dalle giocatrici servite da Clark da inizio stagione sono tantissimi.
L’impatto di Clark con il campionato, in realtà già da subito più che positivo, era messo a dura prova dal rumore frastornante di fondo. Le luci sulla rookie erano accecanti, le polemiche infinite. L’inizio negativo delle Fever, con 9 sconfitte nelle prime 11 gare, e le marcature aggressive a cui era sottoposta hanno alimentato ogni tipo di dibattito. Ognuno poteva pescare a proprio piacimento dai fatti e dalle fantasie per creare una propria linea narrativa personalizzata. C’erano i tifosi razzisti di Clark, c’erano le giocatrici nere razziste contro Clark, c’era la gelosia nei suoi confronti, c’era Clark trumpiana perché bianca e dell’Iowa. Ognuno se ne usciva quotidianamente con una nuova stupidaggine e creava polemica.
Poi, a metà giugno, nel giro di pochi giorni è arrivato Zoobilation. Un appuntamento annuale tra i più sentiti a Indianapolis, città in cui, oltre alla 500 miglia, non è che succeda mai granché. Dal punto di vista sportivo la città è all’asciutto da parecchi anni. I Pacers sono arrivati abbastanza per caso alle finali di Conference quest’anno, prima di essere battuti 4-0 dai Celtics, i Colts hanno vinto l’unico Superbowl nel 2007 (l’altro fu nel lontano 1971, ma quando la squadra era a Baltimora), e dal ritiro di Peyton Manning non hanno molto da dire nel campionato.
Lo Zoobilation è un evento di gala, molto pomposo (molto americano), con lo scopo di raccogliere fondi per lo zoo di Indianapolis, e quest’anno hanno partecipato le Fever al completo. Un impegno come ce ne sono tanti per i club sportivi, ma che è arrivato in un momento in cui le Fever avevano un disperato bisogno di creare un vero spirito di squadra, messo a dura prova dal primo mese di fuoco (11 partite giocate in 19 giorni), e di allontanarsi anche solo per un istante dall’attenzione spasmodica di tutto il paese. L’importanza di questo evento è ovviamente amplificata con ironia dalla folta e variegata fanbase delle Fever e di Clark, ma è effettivamente uno spartiacque nella loro stagione.
Parlando più concretamente, però, un fattore che ha inciso molto nel cambio di rotta sono state le convocazioni alle Olimpiadi di Parigi, arrivate in quegli stessi giorni. La selezionatrice Cheryl Reeve aveva deciso di lasciare a casa la guardia dell’Iowa nonostante, numeri alla mano, ne avesse già i requisiti.
«They woke a monster»
La non convocazione, col senno di poi, è stata una vera miccia. L’allenatrice delle Fever, Christie Sides, che ha iniziato la stagione con un indice di popolarità bassissimo tra i tifosi e le tifose della squadra di Indianapolis, ha detto a proposito di quel momento: «Appena è uscita la notizia, Caitlin mi ha scritto un messaggio: “Ehi coach, hanno svegliato un mostro”». E così è stato. Da quel momento fino alla pausa per le Olimpiadi, le Fever hanno portato a casa 9 vittorie e 6 sconfitte. Un cambio di rotta evidente rispetto alla partenza traumatica. Nella partita contro le prime in classifica, le New York Liberty di Sabrina Ionescu e Breanna Stewart, Caitlin Clark ha registrato una tripla-doppia: è la prima rookie della storia a riuscirci; il 5 settembre, contro le Los Angeles Sparks, lo ha fatto di nuovo.
La vera svolta avviene nella seconda parte di stagione. Con Clark finalmente riposata dopo un anno intero passato a giocare senza sosta, e Sides che ha potuto preparare con calma gli allenamenti e le lezioni di tattica senza la spada di Damocle della partita successiva da vincere assolutamente, le Fever sono diventate la squadra più spettacolare della WNBA. Il pubblico, che non è mai mancato dall’inizio della stagione e ha battuto ogni record di presenze, incassi e share, ha cominciato a esaltarsi sempre di più. A ogni tripla di Clark o di Kelsey Mitchell, nella stagione migliore della sua carriera, la Gainbridge Fieldhouse Arena diventa un inferno. Ma la cosa più incredibile è che ciò accade in ogni arena degli Stati Uniti, da New York a Seattle. Le Fever giocano in casa sempre, trainate dalla enorme fanbase di Clark che sta cominciando davvero a tifare anche per Mitchell, Aliyah Boston e Lexie Hull, una giocatrice rimasta quasi sempre in ombra nella prima fase del campionato e adesso diventata fondamentale sia in difesa che in attacco.
Dalla ripresa del campionato le Fever hanno otto vittorie e una qualificazione ai Playoffs – che mancava da otto anni – conquistata con largo anticipo. Hanno perso solo contro le campionesse in carica, le Las Vegas Aces, e le Minnesota Lynx, le altre vere dominatrici del campionato da agosto a oggi, e adesso forse le principali favorite all’anello insieme alle Liberty. Ma sono le Fever ad aver avuto il percorso più straordinario finora. Se fino ai primi di giugno si parlava già di un possibile pescaggio di Paige Bueckers (la prossima probabile prima pick al draft del 2025, e che andrà sicuramente a una delle squadre ultime in classifica), ora sono diventate la squadra che nessuno vorrà affrontare ai Playoffs.
Contro Las Vegas le Fever hanno sofferto molto. Nel doppio confronto in pochi giorni tra le due squadre, Indiana ha dovuto tenere a bada A’ja Wilson, che ha battuto il record di punti stagionale della WNBA, senza riuscire a difendere sulle triple di Chelsea Gray e Kelsey Plum. Nell’ultima sfida Clark ha iniziato la gara con un primo tempo comicamente tragico. Zero punti e addirittura due tiri liberi sbagliati su due, per una giocatrice con il 90% sui liberi.
Poi, nel secondo tempo, si è scatenata, con 18 punti, 10 assist, e record di assist stagionali della WNBA, 317, dopo aver battuto, a luglio, il record di assist in una singola partita. Numeri grandiosi per qualsiasi giocatrice, ma per una rookie sono qualcosa di mai visto. Le Fever poi hanno perso la gara, soffrendo l’esperienza delle Aces più abili a gestire partite così tese, e mostrando ancora un po’ di inesperienza piuttosto comprensibile per la squadra più giovane della lega. Le uniche partite perse dopo la pausa dalle Fever sono contro due reali candidate all’anello, tutte giocate punto a punto fino all’ultimo. Indiana non ha nessun obbligo di vincere i Playoffs, che non raggiungeva da otto anni, e proprio per questo saranno una delle squadre che nessuno vorrà affrontare nella postseason.
Le medie delle giocatrici del quintetto post-Olimpiadi sono impressionanti. Dopo aver superato Katie Lou Samuelson nelle gerarchie, Lexie Hull è ormai una titolare fissa per il suo apporto preziosissimo in difesa, ma nel frattempo è diventata la giocatrice con la migliore percentuale da tre della lega, che dopo la ripresa è al 70% (!). Kelsey Mitchell post-pausa viaggia con una media di 25.6 punti a partita e 44% da tre, una media punti seconda solo alla principale candidata all’MVP A’ja Wilson.
Mitchell è la persona che ha desiderato più a lungo questi Playoffs. Selezionata da Indiana al Draft nel 2018 come seconda scelta, non ha mai visto la propria squadra arrivarci, e ha navigato cinque anni nell’anonimato della bassa classifica prima che le Fever avessero non una, ma due occasioni per poter cambiare la storia della franchigia. Due prime scelte di fila al Draft, in cui hanno potuto prendere prima Aliyah Boston, e nel 2024 Clark. Ha iniziato la stagione con difficoltà poiché, pochi mesi prima, ha dovuto affrontare la morte del padre. Col passare dei mesi, affinando il rapporto con le compagne e con la nuova guardia dell’Iowa, mentre cercava di elaborare il lutto, Mitchell è diventata una delle giocatrici più forti della WNBA. Anche lei, come Clark, ha un tiro da tre eccezionale, che sfrutta in qualsiasi occasione possibile: non ha nessuna paura di prendersi i tiri più rischiosi e nei momenti più critici della partita. Contro le Aces è diventata la giocatrice con più punti in stagione nella storia della franchigia (733), record che si giocherà fino all’ultima gara con la sua «backcourt homie» Caitlin Clark, attualmente seconda a 726.
Mitchell è peraltro all’ultimo anno di contratto. Prima della pausa sembrava quasi scontato il suo addio: il suo, come quello di Erica Wheeler, è tra gli stipendi più pesanti, e la General Manager Lin Dunn sembrava convinta a lasciarla andare. Ma con una seconda parte di stagione così eccezionale, e un playoff tutto da giocare, ora le cose sono cambiate. Il motivo principale non sono nemmeno le sue partite strepitose, ma il feeling che sembra essere nato tra lei, le compagne, i tifosi e le tifose. A guardare i dati non sembra cambiato molto da inizio stagione. Quello che è cambiato è il trasporto emotivo del pubblico.
Un entusiasmo che nemmeno l’inizio della stagione del football americano ha smorzato. Le testimonianze dagli stati del Midwest sono difficili da credere. Su TikTok e Twitter molti account hanno mostrato la situazione negli Sports bars in Iowa e Indiana durante le ultime partite delle Fever, in concomitanza delle prime gare di NFL. In molti locali si può trovare al massimo qualche piccolo schermo per vedere il football. I maxischermi sono tutti per le Fever.