Inseguimenti in moto, concerti improvvisati, sfide contro bambini di 5 anni: tutto Shaquille O’Neal in una manciata di diapositive.

Questo contenuto è tratto da un articolo di Mike Wise per Andscape, tradotto in italiano da Alberto Pucci per Around the Game.
Da ormai diversi anni una statua campeggia fuori dalla Crypto.com Arena, il fu Staples Center: si tratta di uno Shaquille O’Neal in bronzo di oltre due metri e settanta, e 544 chili. Una celebrazione dell’uomo che, proprio nei primi anni di vita del palazzo, ha guidato i Los Angeles Lakers a tre titoli consecutivi.
Alla presentazione della statua, nel 2017, Shaq non aveva risparmiato le battute ai giornalisti presenti:
“Mi hanno dedicato una statua per decorare un posto che ho costruito io. D’altronde, Staples comincia con la S.”
Al di là dei meriti architettonici di Big Diesel (o se preferite un altro soprannome, fate voi), è innegabile che il numero 34 abbia regalato alcuni dei momenti più iconici della lunghissima storia della franchigia giallo-viola. Eccone alcuni particolarmente significativi.
L’Alley-oop dal Paradiso
Tra i momenti di gloria dello Shaq losangelino, quello di Gara 7 delle Western Conference Finals è certamente il più celebre.
La partita decisiva di quella serie è giocata proprio allo Staples Center, il 4 giugno 2000, e gli avversari sono i Portland Trail – o “Jail”, soprannome che apre un’infinita serie di storie – Blazers.
Kobe e Shaq erano ancora due giovani senza titoli, bruciati dalle scottanti delusioni degli anni precedenti ad opera dei San Antonio Spurs e degli Utah Jazz. Nessuno era certo che fossero un duo in grado di vincere un titolo, dovevano ancora dimostrarlo. La serie contro i Blazers, poi, aveva aumentato ancora di più i dubbi della stampa, con Portland che aveva forzato Gara 7 dopo che i giallo-viola erano avanti 3-1. E a poco meno di un minuto dalla fine del terzo quarto, Pippen e compagni erano in vantaggio di 18 punti, ridotti a 15 all’inizio della frazione di gioco finale.
Da lì, un fulmine si è abbattuto su uno Staples che sembrava sotto shock, ma si sarebbe ripreso presto, con i Lakers che ricucivano lo strappo grazie a Kobe, Shaq e un indiavolato Brian Shaw. Quasi alla fine di questa rimonta, Bryant ha alzato quel lob (decisamente troppo alto) per O’Neal; che però, in qualche modo, è riuscito a arpionare e schiacciare. Una giocata iconica, che ha gettato le fondamenta per la grande dinastia di Phil Jackson.
La parata del 2001
Nel 2001, i dubbi sui Lakers erano decisamente meno. Al centro degli acclamatissimi bi-campioni NBA c’era, ovviamente, l’uomo che tutti chiamavano “Big”; ma in occasione della parata post-vittoria contro i Sixers, il #34 ha abbandonato i panni di dominatore del pitturato e indossato quelli, non certo inusuali, di showman consumato.
Prima Shaq ha imitato il grande discorso iniziale de I guerrieri della Notte (film del 1979), chiedendo alla folla di alzare due dita al cielo mentre lui ripeteva ossessivamente “Can you dig it?”; poi, non pago, si è lanciato in un pezzo rap di sua creazione, che verrà superato unicamente dal balletto del centro Mark Madsen. Davanti a lui, ovviamente, una folla adorante: era ormai chiaro a tutti che la Città degli Angeli fosse ai suoi piedi.
Easy Rider
Siamo nell’estate del 2000, quando Shaq decide di tornare a casa passando per la città, evitando la trafficatissima tangenziale I-405. Tuttavia, è difficile passare inosservati se si è un gigante di 2.16 metri che guida una moto rossa disegnata su misura e ispirata ai film con Jane Fonda e Dennis Hopper…
Shaq e il suo casco, anch’esso rosso fuoco, sfrecciavano così per Sepulveda Avenue… inseguiti da un reporter del New York Times. Appena si accorge della compagnia, il centro da LSU indica al giornalista un cartellone dell’American Express sul lato della strada. Testimonial della campagna, ovviamente: Shaquille O’Neal.
L’inseguimento prosegue una gag dopo l’altra, finché, ad un semaforo, una bambina di 8 anni riconosce il giocatore dei Lakers e urla alla mamma: “ma quello è Shaq!”
Al che la donna, ragionevole: “Tesoro, gli assomiglia, ma ti stai sbagliando… perché mai Shaq dovrebbe stare in centro, su una moto del genere?”
Risposta del rider, Shaq: “Ehi, perché oggi gli va così!”
Semaforo verde, nugolo di polvere e via verso casa.
Tanti auguri a te
Nel 2002, un reporter si vide recapitare quello che sembrava un invito super-esclusivo alla festa dei cinque anni di Myles O’Neal, figlio dell’allora moglie di Shaq (ma non di The Diesel, che comunque lo ha cresciuto e sempre considerato come tale). Arrivato a casa O’Neal, il giornalista si trova davanti, nell’ordine: un parcheggiatore, altre 58 vetture, un camion per gli hamburger, 5 scivoli gonfiabili, decine di bambini e rispettivi genitori… e almeno l’80% del roster dei Los Angeles Lakers.
Desideroso di scambiare due parole con il padrone di casa, il reporter chiede a Rick Fox dove fosse Shaq, e lui gli indica un canestro a poca distanza. L’altezza del ferro era stata abbassata per consentire a Myles e ai suoi amici di segnare più facilmente; eppure, in quella partitella non si stafa segnando molto. La difficoltà era rappresentata del fatto che il miglior centro della NBA si stava divertendo da oltre un’ora a stoppare i tiri dei bambini. Tutti. Rispedendo il pallone ripetutamente in piscina.
Fonti sul campo hanno raccontato che per tutta la festa nessuno sia riuscito a segnare un canestro.
Il ritiro della maglia
Nell’aprile del 2013, la sua maglia è finita accanto a quella di altri grandi centri della storia dei Lakers: Mikan, Kareem, Wilt e adesso anche Shaq (e più avanti Kobe).
Non si potrà mai dire con certezza se sia stato il più dominante di sempre in campo, ma di certo fuori dal campo non si è fatto mancare nulla, come conferma anche questa classifica. Che potrebbe essere anche molto, ma molto più lunga.