Questo contenuto è tratto da un articolo di William C. Rhoden per Andscape, tradotto in italiano da Riccardo Pilla per Around the Game.
Il mio primo incontro con Zach Zarba risale al luglio 2016, quando ancora il mondo dello sport sembrava invincibile e impossibile da fermare. Al tempo, Zach si stava godendo un meritato riposo con sua moglie e i due figli dopo aver arbitrato le Finali NBA e concluso la sua 13esima stagione di attività nella Lega.
Quattro anni dopo, il Covid-19 ha rivoluzionato ogni cosa bloccando l’NBA per quasi 5 mesi: “nessuno mai avrebbe pensato che una cosa del genere potesse succedere. È stato incredibile e stranissimo”, ha dichiarato Zarba.
Lo abbiamo incontrato nella bolla di Orlando in Florida, dove la Lega ha ripreso la stagione 2019/20. Zarba è arrivato ad Orlando il 12 luglio, insieme ad altri 44 arbitri NBA. Nonostante la sua grandissima esperienza, delle condizioni del genere non le aveva mai provate neanche lui:
“Tutti vogliono sapere come si vive qui e la risposta è che è bellissimo. Chiaramente è difficile stare lontani dalla propria famiglia, ma il lavoro che è stato fatto qui è pazzesco. Probabilmente in questo momento è uno dei luoghi più sicuri del mondo o almeno degli Stati Uniti”.
Zarba ci ha confidato di essere stato testato per 40 giorni consecutivi con tampone sia via bocca che via naso.
La componente legata alla giustizia sociale ha poi caratterizzato i Playoffs, dandogli, se possibile, ancora più profondità e ricchezza. Le partite sono iniziate il 30 luglio e Zarba ha avuto l’onore di arbitrare il primo match, che tutti ricorderemo per la straordinaria dimostrazione di unità tra giocatori, staff e arbitri, tutti inginocchiati durante l’inno americano.
Per mandare al mondo un segnale chiaro, Adam Silver ha subito approvato una deroga ad una storica regola che imponeva a tutti di rimanere in piedi durante l’inno nazionale.
Per quanto si possa discutere sul merito della regola in questione, quel momento ha avuto un profondo effetto su Zarba e su molti altri che hanno avuto il privilegio di partecipare: “se ripenso a quella sera, riprovo una sensazione di orgoglio e unione davvero indimenticabile”.
Anche prima di raggiungere Orlando, Zarba e sua moglie si erano interessate ai temi di ingiustizia sociale ed economica che guidano il movimento Black Lives Matter.
Ad inizio marzo, quando la pandemia si è imposta sul mondo costringendo, tra le altre cose, le scuole alla chiusura, Zarba e sua moglie hanno dovuto dedicarsi a tempo pieno ai due figli, di 6 ed 8 anni. Al mattino era Zarba ad occuparsi dei bambini mentre il pomeriggio era concentrato sugli allenamenti e le sedute tecniche, da solo o in collegamento con gli altri colleghi tramite Zoom.
Ma come potrebbe cavarsela un genitore solo, soprattutto se in condizioni economiche non ottimali? Senza un iPad e nemmeno una stampante, e magari con internet limitato, una famiglia rischia di trovarsi sconfitta ancora prima di iniziare: “questo ci ha fatto molto riflettere, ci ha in qualche modo aperto la mente sul tema”, ha confidato lo stesso Zach.
Anche dentro la bolla ci sono state testimonianze della diseguaglianza di trattamento da parte della polizia che ogni giorno vivono le persone di colore, a prescindere dal loro status. Masai Ujiri dei Toronto Raptors ha denunciato un poliziotto di San Francisco per averlo spinto con violenza mentre cercava di raggiungere la squadra subito dopo aver vinto il titolo NBA. A supporto della sua accusa, ha anche condiviso un video che testimoniava quanto accaduto.
Lo stesso Zarba ha raccontato di diverse conversazioni piuttosto intense avvenute tra i suoi colleghi riguardanti episodi di razzismo ed ingiustizie sociali che molti di loro hanno dovuto vivere durante le lunghe carriere:
“Abbiamo arbitri di 60 anni che nella loro vita hanno visto di tutto. Ascoltarli raccontare alcune di queste storie è incredibile. Ti accorgi ancora una volta di non sapere nulla della vita…”
Vivere nella bubble permette a tutti i suoi residenti di usufruire di moltissimi servizi di lusso, tra cui gli splendidi campi da golf del resort. Ovunque sono stati posizionati messaggi e scritte che richiamano il movimento Black Lives Matter, così da non permettere a nessuno di dimenticarsi di quello che sta accadendo fuori: “siamo coscienti che questa è la NBA bubble, e che non stiamo vivendo il paese reale”, ha detto Zach.
Dal secondo giorno in poi, alcuni hanno deciso di smettere di inginocchiarsi, mentre altri hanno preferito continuare. Zach è orgogliosamente uno di questi ultimi: “that’s my decision”, ha chiosato l’arbitro.
L’atmosfera respirata nella bolla combinava elementi della Summer League, dei reality-show e di videogiochi come 2K: rumore della folla dagli altoparlanti, fan virtuali, musica e telecamere ovunque…
“È stato molto strano arbitrare nella bolla. Tutto è stato pensato perché la gente a casa si potesse godere al massimo lo spettacolo. Quando però sei sul campo ti senti come in un reality show, come se fossi sul palco: tutto intorno è buio, le luci sono solo su di te e non ci sono tifosi attorno. È davvero una sensazione particolare”
E questo ci porta all’elemento più peculiare della bolla: l’assenza dei tifosi.
In tutta onestà, non ci sono mancati così tanto. Nel tempo sono diventati troppo irrispettosi e viziati. Era quasi diventato necessario buttarli fuori dalle arene per un po’, per riportare l’attenzione sui veri protagonisti: i giocatori. Ma Zarba non è della nostra idea. “Ci sono mancati. Ci è mancata la loro energia e il loro supporto. Senza di loro perdi intensità”.
Non dovrebbe essere bellissimo per un arbitro poter fare il proprio lavoro senza essere insultato ogni momento? “No, senza di loro tutto perde energia, e anche per noi è peggio”, ha ribadito Zarba.
Di contro, tutto quel silenzio permette agli arbitri di sentire quello che si dicono i giocatori e che normalmente rimane coperto dal rumore dei tifosi:
“È una delle cose più divertenti per noi arbitri. Sentiamo tutto, specialmente dalle panchine. Ci è voluto un po’ di tempo per abituarsi. Un conto è sentire il rumore della folla, un conto sono le parole dei giocatori e degli allenatori: parlano tra di loro, parlano con gli avversari, parlano con noi. A volte si lamentano e altre scherzano. Bisogna adattarsi ed evitare di diventare troppo fiscali.”
Zarba è d’accordo sul fatto che l’assenza dei tifosi non abbia condizionato il livello delle prestazioni dei giocatori. “Le 22 squadre che sono venute qui non ci sono certo capitate in vacanza. Vogliono vincere. Per tutti è stata una novità e sapevamo di avere gli occhi del mondo addosso. Ognuno di noi sapeva che ci fossero milioni di persone a guardarci, e questo è stato sufficiente a mantenere alto il livello di intensità”.
Quando l’NBA ha proposto di riprendere la stagione nella bolla, alcuni si sono preoccupati che questo potesse spostare l’attenzione dalle proteste al gioco. Ma questo non è accaduto, anzi.
“Tutti siamo consapevoli dell’occasione che questo evento ci offre per esprimere un’opinione ed un pensiero su quello che sta succedendo. Stare in silenzio vuol dire sostenere l’ingiustizia e la disuguaglianza.”
In una Lega come l’NBA, immagini come quella di George Floyd che viene soffocato, di Breonna Taylor uccisa a sangue freddo. o del proiettile che ha ammazzato Ahmaud Arbery, sono troppo potenti per essere dimenticate con una partita di basket.