L’arrivo di Vinsanity ai Toronto Raptors ha segnato una svolta epocale per il basket e gli atleti canadesi.

Questo contenuto è tratto da un articolo di Manny Rao per Raptors Republic, tradotto in italiano da Marco Marchese per Around the Game.
Il “ripple effect” è qualcosa di cui si potrebbe parlare per ore ed ore. A chiunque non sia chiaro di cosa si tratti, si parla di “ripple effect” quando le azioni di un singolo individuo influenzano, a catena, gli eventi di altri.
Ciò che Team Canada ha dimostrato negli ultimi anni è un processo iniziato molto tempo fa, ancor prima che alcuni membri del roster nascessero. Conosciamo bene la storia: nel 1998 Vince Carter fu scelto dai Golden State Warriors al Draft e immediatamente girato ai Toronto Raptors. È stata già raccontata molte volte questa storia, ma per comprendere a fondo l’ampiezza dell’impatto di Vince sul basket canadese e sul Canada, bisogna ripercorrerne alcuni momenti.
L’hockey è stato per lunghissimo tempo lo sport nazionale canadese. Nel 1946 la prima franchigia di basket canadese ha disputato una partita ufficiale al Maple Leaf Gardens, i Toronto Huskies, contro i New York Knickerbockers. L’avventura degli Huskies fu breve: una sola stagione.
Il fatto che la moderna franchigia di Toronto abbia preso il nome da una pellicola del grande schermo è di per sè molto significativo. Da quel momento, comunque, il processo di crescita e sviluppo del basket canadese ha preso slancio in modo deciso e concreto. Nell’Expansion Draft del 1995 i Toronto Raptors hanno fatto la loro prima scelta, ovvero BJ Armstrong, che però si è categoricamente rifiutato di giocare per i Raptors (non scendendo in campo effettivamente neppure una volta).
Ma con la trade successiva al Draft del 1998 e l’acquisizione di Vince Carter, il basket del Canada ha ricevuto un’enorme (e necessaria) scossa. Appena prima di poterlo selezionare, avendo osservato il suo workout, il GM dei Raps di allora, Glen Grunwald, lo ha definito “il miglior workout in assoluto in termini di atletismo.”

Dando un’occhiata ai giocatori di oggi del Senior National Team canadese, l’effetto-Carter è molto evidente.
Quando Vinsanity fu selezionato al Draft, solo 3 giocatori canadesi militavano in franchigie NBA: Bill Wellington, Rick Fox e Steve Nash. Alla fine della scorsa stagione, invece, il numero è lievitato a 20 (tra cui RJ Barrett, Chris Boucher, Shai Gilgeous-Alexander, Trey Lyles, Jamal Murray e Andrew Wiggins). Un dato rilevante è che tutti questi ragazzi sono nati tra il 1991 ed il 2000. Quindi, chi più chi meno, hanno tutti vissuto sulla propria pelle quella frenesia generatasi attorno a Air Canada e di riflesso ai Raptors, nel periodo in cui la franchigia si è messa sulla rampa di lancio.
I fan sono letteralmente impazziti dopo il famoso Dunk Contest del 2000, e un nuovo brand ha iniziato a espandersi. Sia Toronto che il Canada in generale avevano storicamente amato e visto solo l’hockey, e poco, pochissimo basket. D’un tratto, saltò fuori Vince Carter.
Who wants to be Like Mike, when we have Vince?
I primi ad essere attratti sono stati, ovviamente, i più piccoli: tutti cercavano di imitare le giocare di Vinsanity, nei playground, in palestra, a scuola. Con gli occhi di un bambino era il giocatore perfetto. La sua “anomala” abilità nel salto, unita alla sua tecnica e alla sua coordinazione, lo hanno reso una calamita per chiunque avesse messo gli occhi anche solo per un istante sul rettangolo di gioco. Era davvero il Michael Jordan dei Raptors.
Qualunque fosse il discorso, Carter era la cosa più sensazionale che il basket canadese avesse mai visto.
Nel documentario The Carter Effect molti cestisti canadesi lo hanno definito “un profeta” e hanno ammesso di aver iniziato e proseguito a giocare a basket solo per imitare le gesta di Air Canada. L’uomo e idolo che ha regalato loro il sogno di diventare un giorno dei giocatori professionisti della NBA.
Anche Drake ha detto di lui “girls have to want to be with you, and guys have to want to be with you… Vince had that.” Kardinal Offishall ha parlato di un Carter “leading the charge in loving T.O.”
I grandi sponsor storicamente investivano sulle squadre di hockey, vista anche la quantità di realtà competitive presenti nel Grande e Bianco Nord. Ma tutto è cambiato dopo la vittoria al Dunk Contest del 2000, che ha garantito a Vince parecchi contratti e sponsor.
I benefici di tutto ciò, però, non furono solo a favore di Carter. Anzi. “Dare” e “restituire” alla gente di Toronto è sempre stato qualcosa di prioritario e speciale per lui, come ha spesso sottolineato e dimostrato. Ad esempio, ha costruito a sue spese un campo da basket a Etobicoke (periferia di Toronto) e lì ha parlato pubblicamente a centinaia di persone prima dell’inaugurazione. C’è stato, poi, il Vince Carter Charity All-Star Game, evento che ha raccolto centinaia di migliaia di dollari in favore della Vince Carter Embassy of Hope Foundation e della Raptors Foundation.

Tra i vari giocatori che hanno raccontato il “ripple effect” di Carter su di loro, c’è Tristan Thompson. “Vince è il motivo per cui mi sono innamorato del basket. Mi ha reso fiero di essere canadese.”
“Sono fiero già solo per il fatto di indossare la maglia dei Raptors, giocare per e di fronte la città di Toronto e tutto il Canada, di fronte a gente che so per certo abbia visto giocare uno come Vince, abbia vissuto la mia stessa esperienza. Ricordo quando da bambino, tornando a casa, mi fermavo a tirare in un piccolo canestro e cercavo di emulare le giocate di Vince, imitare le sue favolose schiacciate ed ogni altro movimento gli avessi visto fare in campo. Nemmeno potevamo immaginare quanti giovani giocatori stava ispirando in quel momento. Da allora, ci sono sempre più giocatori canadesi a giocare in NBA.”
– Corey Joseph
“Quando ci troviamo a scendere in campo, guardo la marea di tifosi alle transenne alla ricerca di un nostro autografo: ricordo bene quando anche io ero disperatamente alla ricerca di quello di Vince. È incredibile pensare quanti ragazzi abbia ispirato.”
– Kelly Olynyk
La ragione del suo addio ai Toronto Raptors è ancora motivo di discussione: c’è chi sostiene che volesse restare, mentre altri affermano che sia stato lui per primo a gettare la spugna. In ogni caso, il basket canadese non sarebbe al livello che ha raggiunto adesso se Vince Carter non avesse mai indossato i colori viola, rosso e nero.
Ecco cos’è il “ripple effect” di Vince.