Nel corso della sua carriera di bordocampista, il compianto Craig Sager ha sfoggiato completi di ogni sorta. Autentica istituzione dei campi NBA, è divenuto un vero e proprio maestro quanto a domande impossibili e outfit provocatori. Che spesso hanno richiamato l’attenzione dei suoi intervistati, dando origine a gag indimenticabili.

“C’è voluto grande agonismo per vincere questa partita…”
“Beh, prima di tutto è stato molto divertente. Certo, abbiamo lavorato duro in questi due giorni… ma prima di tutto è stato molto divertente. Grazie.”
Solita domanda. Solita risposta. Un teatro delle parti più volte visto a bordo di qualsiasi campo della Lega.
Non fosse che il bordocampista della TNT stesse indossando un appariscente completo nero scintillante coi bordi argentati e una camicia bianca singolarmente sobria, volta a risaltare una cravatta a strisce nere e blu. E che Steve Nash, prelevandolo con un gesto elegante dal taschino del suo proprietario, si fosse appena soffiato rumorosamente il naso con il fazzolettino di seta a pois. Riponendolo, una volta finito, nuovamente al suo posto.
Il clima disteso dell’All Star Game sembrava calzare su misura per quella che pareva essere una gag concordata dietro le quinte. Di certezza, tuttavia, ce n’era una sola: che con Craig Sager, i suoi completi e il suo microfono qualunque cosa sarebbe stata possibile. E avrebbe sorpreso solo in parte.
Quadri. Quadretti. Righe: oblique, verticali, orizzontali. Fiori e trame a intreccio. Greche tipiche della cultura artistica azteca. Una griglia delle Finali NCAA da completare sulla cravatta esibita in occasione della March Madness. E poi Pois: piccoli, medi e grandi. Una giacca che riproduceva visivamente la sensazione di una pelliccia. Un paio di scarpe in pelle di serpente dalle cui punte spuntavano teste di rettile. Fazzoletti di seta d’ogni tipo. Abbinamenti di ogni colore. La riga dei pantaloni chirurgicamente perfetta, quella dei capelli sempre dallo stesso lato.
Non pareva mai avesse raggiunto l’apice. Quel che più rendeva il compianto Craig Sager un personaggio singolare, però, non era tanto il turchese della sua giacca versione Acquaman, o il beige cowboy che prediligeva nelle sue trasferte in Texas. Era il suo portamento, ineccepibilmente professionale. La naturale serietà con la quale, a detta di molti, travestiva il suo volto – pur conducendo le sue interviste “conciato” così.
Del resto lo spettacolo della NBA necessitava che anche la stampa si calasse nella parte. E trovarsi di fronte l’arcobaleno nelle sue molteplici declinazioni suscitava a giocatori, allenatori e manager quel giusto senso di scanzonata serietà.
Persino David Stern abdicò. In occasione di una partita delle stelle gli intimò di cambiarsi la giacca, trovandola del tutto fuori luogo e ridicola. Ma quando, all’All Star Weekend 2002, fu ripreso direttamente dalla sua dolce consorte per essersi preso gioco del suo outfit si rassegnò alla libertà espressiva di Craig.
“Con quel «David, finiscila. Adoro quelle giacche» conquistai ufficialmente il consenso della moglie del commissioner. E tutto cambiò. Fu davvero un momento indimenticabile”.
Non potè, tuttavia, sempre confidare sulla sensibilità e sul gusto di una donna.
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CRAIG SAGER VS. KEVIN GARNETT
L’intervista è finita. Sempre le solite domande. Sempre le solite risposte.
“Grazie molte. Buona fortuna per il prosieguo della vostra stagione.”
“Hey senti. Lo so che tra pochissimo dobbiamo chiudere la diretta, ma ho bisogno di 10-15 secondi in più per dirti una cosa. Non sono mai riuscito a prenderti sul serio, a capire le tue giacche. Però stasera voglio davvero che tu capisca chiaramente una cosa. Quando arrivi a casa, prendi questo completo e… brucialo.”
Gli occhi di Kevin Garnett si soffermano sulle cinquanta sfumature di rosso rosato che impregnano il vestito di Sager. Quelli di Craig accompagnano l’abbozzo di sorriso divertito che fa capolino sul suo volto. Un’espressione a metà tra lo sciocco e il perfido.
“Non vogliamo più vederlo. Lo so che di solito non ti ripresenti mai due volte vestito allo stesso modo. Non ti ho mai rivisto con lo stesso outfit. Ma devi prendere questa roba, e non mi interessa che sia Versace o di qualche altro brand. Lo prendi e lo bruci.”
Craig abbassa il capo, ostentando una sorta di miscuglio tra confusione e voglia di capire, rimirando la sua giacca color rosa salmone. Il tutto dando alla scena un tocco di paradossale.
“C’è qualche parte che posso tenere o no?”
“NO! NIENTE! Quindi, quando te lo toglierai tu dovrai avere il culo nudo all’aria. E questo…” – indicando il vestito sotto gli occhi di Sager, ormai esploso in una fragorosa risata – “… questo lo dovrai bruciare. Ok?”
Il tono di voce di Garnett, ormai partito per la tangente nel suo comizio anti-outfit baldanzosi, non si era mai scostato neppure per un secondo dalla risoluta serietà con la quale aveva iniziato.
“E le tue scarpe? È sempre molto bello vedertele addosso ma… bruciale. Non farti troppe domande. Bruciale, così come tutto il campionario di calze rosse che avrai a casa e che la gente non può vedere. Pure questo fazzoletto, il perizoma color lime… tutto. Via, bruciare. Ok?”
Sager aggrotta fronte e sopracciglio.
“Una svendita, magari?”
Il secondo di silenzio che succede alla provocazione è un momento di pura poesia. La tensione è squarciabile con la capocchia di uno spillo; la temperatura del sangue di The Big Ticket oramai a livelli lavici. Gli occhi iniettati di sangue, è profondamente indeciso se saltargli al collo o meno.
“BRUCIALO! Benzina, cherosene… scegline uno. Ok?”
Un saluto in camera a Kenny Smith ed Ernie Johnson, un “my man” a Webber e – puff! – KG scompare senza lasciare prigionieri. Sager, perseverando nella sua comica espressione tra il tonto e il divertito, lancia dietro la schiena del 6 di Boston un poco convinto “Grazie per il consiglio”.
Altri cinque minuti e in tutta probabilità gli esiti di quell’intervista sarebbero corrisposti con un omicidio.