
Questo articolo, scritto da Kelly L. Carter per The Undefeated e tradotto in italiano da Davide Corna per Around the Game, è stato pubblicato in data 10 marzo 2020.
Stephon Marbury ha sorpreso anche se stesso.
Vedere la prima proiezione del documentario “A Kid from Coney Island”, riguardante la sua vita, in arrivo a breve in alcuni cinema selezionati, non è stato esattamente come Stephon si aspettava. Ha rivissuto la sua vita. Sapeva cosa stava per arrivare; conosceva gli alti e bassi, i momenti positivi e quelli negativi, e quelli da censurare; ciò da cui sarebbe dovuto fuggire via e ciò che invece avrebbe dovuto vivere a pieno. Ma assistere a tutto questo in una volta sola? Beh, anche lui ne è uscito con una maggior comprensione di chi è davvero Stephon Marbury, dopo aver visto la storia della sua vita sviluppata su 89 minuti.
“Non sono perfetto”, ha detto Marbury a The Undefeated. “Ho detto e fatto cose, ma non ho mai fatto del male agli altri; ne ho fatto a me stesso. Questa è la mia storia.”
Il documentario “A Kid from Coney Island” ripercorre la carriera delll’oggi 43enne Marbury, che ha giocato in NBA dal 1996 al 2009, e racconta i pregi e i difetti dell’ex point guard, due volte All-Star.
È cresciuto nei quartieri popolari di Coney Island, New York, e negli ultimi anni si è trasferito in Cina, dove ha giocato nella Chinese Basketball Association, partecipando anche sei volte all’All-Star Game cinese.
Il film è un ritratto intimo della sua vita. Per realizzarlo, Marbury ha dovuto esporre il suo lato vulnerabile.
“Sono passato dal guadagnare 20 milioni di dollari all’anno, a zero. È un po’ come vedere qualcuno che trascina dei sacchi nella neve. Alla fine, raggiungono l’edifico e li accogli dicendo – Ehi, vi ho visto faticare trascinando quei sacchi, ma alla fine ce l’avete fatta! È un momento di quel tipo”.
E non si tratta di un progetto gestito da novellini, anzi. Il film è diretto da Coodie Simmons e Chike Ozah, un duo che si è fatto le ossa creando video per Kanye West (Jesus Walks), Erykah Badu (Window Seat), oltre al film Benji nel 2012, per la serie di documentari “30 for 30” di ESPN. “A Kid from Coney Island” è prodotto dal premio oscar Forest Whitaker e da Nina Yang Bongiovi, e i produttori esecutivi sono l’agente sportivo Rich Kleiman e la star NBA Kevin Durant.

“Sono cresciuto a New York, abbiamo la stessa età, e io sono stato un fan del basket dal momento in cui sono nato”, ha detto Kleiman. “Lui per me era come un supereroe. Ho seguito la sua storia anche emotivamente, e ho gioito quando l’ho visto rimettere insieme la sua vita e fare quello ha fatto oltreoceano, in Cina.
Ma non sembrava che la gente avesse abbandonato la vecchia impressione che aveva di lui, e avesse capito cos’era diventato. Abbiamo pensato che dovevamo avere una parte attiva in questa storia.
Per quanto riguarda Kevin, invece, credo che il suo punto di vista fosse puramente cestistico. Aveva un grande rispetto per il suo modo di giocare, la sua etica del lavoro e la sua passione per questo sport, e sapeva anche che la sua storia meritava di essere raccontata. Quindi avevamo motivazioni simili, con alcune differenze, ma entrambi sapevamo che si trattava di qualcosa di cui volevamo far parte”.
Durant e Kleiman, suo manager, hanno co-fondato l’agenzia di investimenti Thirty Five Ventures. Entrare in contatto con loro, e soprattutto con Durant, è stato fondamentale per Marbury.
“Ho adorato questo ragazzo sin da quando era un freshman in Texas”, ha dichiarato. “Quindi è stato bello sapere che era interessato a lavorare con me… Si possono vedere gli stessi temi nelle nostre vite, come il fatto che abbiamo ben chiaro cosa abbiamo davanti e cosa vogliamo ottenere. Non mi interessa ciò che sta facendo nei media, che la sua agenzia stia andando bene o male. Per farla breve, ho scelto la persona con cui lavorare, non l’azienda. Ho scelto lui, Kevin Durant. Mi sono detto – questa è una schiacciata facile facile. Ci sto.
“La gente non realizza che non giocherai a basket per sempre. Come diceva mia madre: ‘Puoi anche avere tutti i soldi del mondo… ma se non sei felice, non significherà nulla, perché non avrai sentimenti dentro di te, figliolo, e devi avere dei sentimenti dentro di te in questa vita, da essere umano, perché non starai su questa terra per molto’. Bisogna davvero capire questo concetto, quando arriva da tua madre e da una persona adulta. Non starai su questa terra molto. Già questo sta a significare che devi assolutamente avere un certo legame, e io rivedo nel legame che ho con mia madre lo stesso rapporto che ha Kevin Durant con la sua”.

FOTO: Basket USA
Raccontare la storia di Marbury in forma di documentario è stata una scelta intelligente, nonostante molti episodi della sua carriera e della sua vita siano stati raccontati sulle prime pagine dei giornali. Il materiale d’archivio del documentario e le interviste dei rapper Fat Joe e Cam’ron, del presentatore ESPN Stephen A. Smith e dell’ex star NBA Chauncey Billups, sono davveron strabilianti, combinati con la storia che si sviluppa lungo il film.
E Marbury vuole che ogni spettatore possa imparare qualcosa.
“Bisogna essere consapevoli di avere il controllo di se stessi e di ciò che facciamo nella vita. Tutti hanno un legame con Dio o con qualunque entità a cui rivolgono le preghiere. Io prego Gesù, mio Signore e salvatore, e questo mi dà equilibrio.
Ho giocato a basket perché era qualcosa che amavo. Amavo allenarmi per diventare migliore, per essere più continuo; e gli spettatori vedranno che questo approccio può riguardare il basket, ma più in generale la vita.
I miei momenti positivi, e quelli negativi… Poterli vedere rappresentati sullo schermo può aiutare le persone a diventare più forti. Possono fare uso della mia storia. Potranno avere una piattaforma da cui partire, qualcosa come ‘Ehi, ho adorato quel film… l’ho visto e mi sono detto che devo credere di più in me stesso, invece di affidarmi agli altri’. Non tutti vogliono vederti star bene, e bisogna capire che la gente vuole vederti andare avanti, indietro, di lato… Ma quello che conta è solo ciò che vuoi tu. Tutto qui.”