Giorgia Bernardini, insieme ad altre quattro autrici, ha scritto Fondamentali, un libro che racconta storie di donne che fanno sport. Una scrittura libera da regole e costrizioni.

La libertà di poter creare un canone, di poter scegliere i propri fondamentali, e iniziare un percorso nuovo. Fondamentali. Storie di atlete che hanno cambiato il gioco nasce così, dalle possibilità che lo sport femminile offre, e dalla consapevolezza che non è un percorso lineare, ma ci sono sempre ostacoli e concetti da riprendere, sistemare, rivedere. Un lavorio costante che va sempre affinato. Giorgia Bernardini ha curato, per 66thand2nd, il lavoro di cinque autrici che hanno deciso di parlare di sport partendo da queste idee. Alessia Tuselli, Tiziana Scalabrin, Elena Marinelli, Olga Campofreda, oltre alla stessa Bernardini, hanno deciso di raccontare lo sport secondo quelli che sono i loro fondamentali.
«Ce li siamo inventati» ci ha raccontato Bernardini riguardo alla genesi del libro. «Lo sport femminile è uno spazio di grande libertà, anche perché c’è sempre una prima volta. Non essendoci un canone, possiamo crearlo noi. Quando ci siamo trovate per discutere del libro, la nostra idea era fare qualcosa che ancora non c’era, e che ci avrebbe entusiasmato».
«Noi cinque – continua – ci siamo trovate a scrivere nello stesso spazio, su Ultimo Uomo, e abbiamo scoperto di vedere lo sport femminile attraverso le stesse lenti. Però ci siamo anche accorte che riuscire a parlare di quello che volevamo era complicato. Ogni spazio ha le sue regole, che siano linguistiche o legate a determinati argomenti. Non è semplice proporre a una rivista un pezzo sul ciclo mestruale, o sugli oggetti dello sport. Il saggio di Elena Marinelli, Icone (incentrato sulla figura di Marta, una delle calciatrici più forti di sempre e fresca vincitrice della NWSL con le Orlando Pride, ndr), parla proprio di quello».
Quando parliamo di sport femminile, parliamo di un mondo in rapida evoluzione. Bernardini nel 2020 ha creato una newsletter, Zarina, per avere uno spazio personale dove parlare di sport in libertà, ma anche perché di articoli che parlassero dell’argomento se ne trovavano pochi. Quattro anni dopo le cose sono cambiate tantissimo. Solo la WNBA, per esempio, ha avuto un exploit incredibile nell’ultimo anno, e il futuro promette benissimo, con tre nuove squadre (Golden State, Toronto e Portland) in arrivo nei prossimi due anni. «Di recente mi è capitato di scrivere di palestra per una rivista femminile come D di Repubblica» racconta Bernardini. «Quattro anni fa sarebbe stato impossibile. Un po’ perché non avrei avuto il curriculum, un po’ perché D non avrebbe ospitato un pezzo sulla palestra».
«Ma purtroppo non è un percorso lineare» avverte. «Lavorare in questo campo significa non dare nulla per acquisito. Credi di lavorare in una direzione, e poi scoppia un caso come quello di Imane Khelif e ti accorgi che c’è ancora molto lavoro da fare».
Il primo saggio di Fondamentali, Corpo, racconta il percorso di Caster Semenya, la campionessa olimpionica sudafricana che è stata alle prese con lunghe e umilianti vicende processuali volte a stabilire se una donna poteva gareggiare con le altre donne, vicende che le hanno condizionato pesantemente la carriera. L’autrice, Alessia Tuselli, che in appena quindici pagine ha spiegato il caso nel dettaglio e con grande accuratezza, ha indirettamente fatto molta chiarezza sul caso della pugile algerina e sulle avvilenti accuse a lei rivolte per ignoranza o malafede (o entrambe le cose). «C’è una densità e una complessità in quelle pagine che può riuscire così solo se studi quell’argomento per anni» spiega Bernardini. Il libro è uscito a febbraio, quindi le autrici non potevano sapere che di lì a qualche mese sarebbe uscito un caso per molti versi simile a quello di Semenya: «Abbiamo lavorato con la sfera di cristallo, cercando di individuare dei temi su cui c’era bisogno di ragionare nell’immediato futuro».
Polemiche simili sono tornate in auge poche settimane fa, quando la BBC ha nominato Barbra Banda, giocatrice zambiana compagna di squadra di Marta a Orlando, calciatrice dell’anno. Sempre ricordando che si tratta di singoli casi diversi tra loro (così come tra i casi di Caster Semenya e Imane Khelif ci sono differenze), la reazione di parte dell’opinione pubblica è invece sempre la stessa. «Proteggere le donne», in questi casi, è solo una banderuola utilizzata per poter essere sessisti e transfobici senza il coraggio di farlo apertamente. (In breve: Barbra Banda è una donna. Un articolo di Facta News spiega bene la vicenda e le menzogne che sono state dette a riguardo.)
Il percorso delle autrici, prima di arrivare alla genesi di Fondamentali, è anch’esso un percorso di libertà: «Noi ci siamo formate su testi che non hanno a che fare con lo sport. Noi tutte abbiamo guardato tanto sport, l’abbiamo praticato, abbiamo letto tantissimo di sport, però abbiamo letto anche tante cose che hanno a che fare con il mondo delle donne. Il nostro in parte è un lavoro di intermediazione, perché volevamo facilitare per altre persone il lavoro che abbiamo fatto noi. Un esempio è proprio il saggio di Alessia Tuselli su Semenya».
Una cosa che non si può fare a meno di notare quando si comincia ad avvicinarsi allo sport femminile, in tutte le sue espressioni, è la quantità di storie umane incredibili in cui ci si imbatte. Solo rimanendo nell’universo della WNBA, mi vengono subito in mente casi come quelli di Brittney Griner, costretta a trascorrere un anno della sua vita nelle carceri russe (ne avevamo parlato qui); o come quello di Maya Moore, una delle giocatrici più forti di tutti i tempi che, dopo aver creato una dinastia con le Minnesota Lynx, con cui ha vinto quattro anelli, si è ritirata molto presto per concentrarsi, tra le altre cose, sulla battaglia contro le ingiustizie del sistema giudiziario americano. Per anni è stata a fianco del futuro marito Jonathan Irons, condannato ingiustamente nel 1996 a 50 anni di carcere, e uscito solo nel 2020 dopo una lunga battaglia legale.
Ma oltre a queste storie pazzesche, ci sono molte vicende più ordinarie che spesso sfuggono dai radar, e che danno l’idea di quello che vivono quasi tutte le atlete. Sempre rimanendo negli Stati Uniti, il momento più importante nella vita di una sportiva è l’avvicinarsi del draft, il bivio che le separa da una carriera da professioniste. Se escludiamo le giocatrici già affermate nel college, come Caitlin Clark, Cameron Brink, e presto Paige Bueckers o JuJu Watkins, che hanno già un ingresso garantito nella WNBA, per quasi tutte le altre si tratta di sperare. Abbiamo già raccontato la storia di Kate Martin, la capitana delle Iowa Hawkeyes che, con le speranze di iniziare una carriera nel basket ridotte al lumicino, il giorno del draft del 2024 era andata soprattutto per supportare la compagna di squadra Clark, prevedibilmente star della serata, e si è ritrovata (quasi) per caso selezionata dalle campionesse in carica, le Las Vegas Aces, ed è ora destinata a un ruolo centrale nelle neonate Golden State Valkyries. Ma di storie come quella di Martin ce ne sono tantissime.
«Lo sport femminile è costellato di sliding doors» spiega Bernardini. «Quando cresci sapendo che il tuo sport difficilmente ti porterà ad avere una carriera professionistica, e tantomeno a guadagnare molti soldi, questo ti spinge a sviluppare una personalità forte e una consapevolezza di te e del mondo che ti circonda. Per me è impensabile che nello sport maschile ci saranno mai sportive come Megan Rapinoe o Sara Gama, con una capacità intellettuale così profonda per capire quali sono le dinamiche sportive e dove arrivano fuori dal campo».
«Un esempio è come vengono gestite nello sport tematiche come l’omosessualità. Le donne sono molto più padrone della propria identità. Non perché per le donne ci sia meno in gioco; questo lo si pensa più che altro per sgravare gli uomini dalle loro responsabilità. Semplicemente, c’è una consapevolezza maggiore sul fatto che tutto quello che facciamo, a qualsiasi livello, deve essere combattuto».
«Di recente – racconta – ho avuto il piacere di intervistare Cecilia Zandalasini», il talento italiano più cristallino di questa generazione che, dopo essere arrivata a un passo dal suo secondo anello WNBA con le Minnesota Lynx, è diventata una nuova giocatrice delle Golden State Valkyries. «La conoscevo e la apprezzavo già, ma sono rimasta colpita dalla sua capacità di non parlare politichese e di non usare mai frasi fatte». Zandalasini, che in Italia (durante l’offseason americana) giocava alla Virtus Bologna e si stava costruendo un futuro lì, si è vista cancellare di punto in bianco la propria squadra, e adesso sta giocando l’Euro Cup, la seconda competizione europea, al Galatasaray.
Questo è un altro aspetto che rende le esperienze umane delle cestiste, ma non solo loro, più uniche delle altre. Zandalasini è solo un esempio tra tanti di giocatrici che, nonostante siano molto forti, sono costrette a dividersi tra un continente e l’altro senza praticamente mai fermarsi. Una volta finita gara 5 delle WNBA Finals, Zandalasini non ha avuto nemmeno il tempo per smaltire la delusione del titolo sfumato a pochi secondi dal termine perché ha dovuto prendere il primo volo per Istanbul e cominciare subito una nuova stagione con una nuova squadra.
Rivalità
Con Bernardini abbiamo fatto anche il punto sulla WNBA e sulla storica stagione da poco finita. Il campionato americano ha visto arrivare un talento straordinario, che si è portato con sé un carico di visibilità enorme. Con Caitlin Clark la lega ha battuto ogni record di spettatori e spettatrici, ma ha generato sui media tante discussioni, a volte tossiche. Si è parlato molto della presunta gelosia delle altre giocatrici, che avrebbero accolto male la rookie. Per l’autrice parlare di gelosia non è un tabù, ma è proprio il sale dello sport. «Negare che esista la gelosia e la rivalità significa negare la storia dello sport. Non c’è nulla di male nella gelosia, anzi. Io sono d’accordo con le parole di Diana Taurasi, che prima dell’inizio della stagione è stata cauta su Clark e ha detto: “Aspettiamo. Un conto è giocare contro giocatrici di 18 anni, un conto è giocare contro le professioniste”. Taurasi, a 42 anni, sta finendo la sua parabola nel momento più alto della storia del campionato. È chiaro che dentro di sé avrà pensato: “Sarebbe bello avere 20 anni ora”».
«Un bel libro di Stefano Pili, Roberto Baggio. Avevo solo un pensiero (sempre di 66thand2nd, ndr) descrive la parabola di Baggio, come si è scontrata con quella di Del Piero, e come si sono oscurate a vicenda. Il vecchio e il nuovo si danno e si tolgono contemporaneamente, da sempre».
«Tutte queste dinamiche, invece che essere state affrontate in questa maniera, sono state raccontate male» spiega Bernardini. «Anche lo sport maschile spesso viene raccontato in maniera tossica, ma quando si parla di sport femminile, si ricasca sempre negli stessi stereotipi, e questa è una delle cose su cui ci battiamo di più. Mettere una rivalità sportiva sul piano dell’antipatia personale significa toglierle potenza. E questa è la sensazione che si ha quando si leggono titoli come “Le regine, le amiche, le farfalle”».
«Sempre lo stesso libro – continua – descrive la parabola di Baggio alla fine, come un cerchio che si apre e si chiude. Su Clark, secondo me, si sono puntati troppo i riflettori. Non sono contento del peso mediatico che le è stato dato. Questo desiderio smanioso di avere una nuova star della WNBA può andare a detrimento della lega e della giocatrice stessa. Credo sia giusto essere più cauti, anche perché siamo solo all’inizio della sua carriera».
La rivalità che i media hanno cercato di gonfiare di più è stata quella tra Clark e Angel Reese. Una rivalità, o meglio una narrazione, che può avere più senso a livello sociologico che sportivo, secondo Bernardini. «A livello tecnico non c’è paragone. Da una parte abbiamo una giocatrice con un’eleganza e una visione di gioco fuori dal comune, forse mai vista prima, dall’altra abbiamo una giocatrice con una gran voglia di vincere e fare canestro. Ma a livello tecnico non sono lontanamente comparabili. Su quello che le due giocatrici rappresentano, la lettura della spaccatura tra i fan e le fan ci può stare. Angel Reese parla della sua carriera come una storia di riscatto. Viene da una famiglia povera, e lo scopo della sua carriera è quello di comprarsi una casa in California, una borsa di Gucci, e vivere agiatamente. Ed è molto diversa dalla storia di Clark, figlia di una famiglia piccolo borghese di atleti universitari, vestita da Prada. Prada non vestirebbe mai Reese. Non perché è nera, ma semplicemente perché porta in campo una serie di valori diversi da quelli della borghesia».
Infine, abbiamo provato a ragionare sul nostro panorama per vedere se è possibile portare un po’ della luce che sta illuminando il basket, e in generale lo sport femminile americano, qui da noi. Ma allo stato attuale sembra difficile. «Siamo a distanza siderale. Noi non abbiamo figure come quella di Geno Auriemma, che a ogni ciclo sforna talenti generazionali come Sue Bird, Diana Taurasi, Maya Moore, e adesso Paige Bueckers. Lui, Dawn Staley, e adesso Cheryl Reeve: solo i migliori e le migliori vanno ad allenare Team USA, così come succede anche nel calcio. Emma Hayes, l’attuale selezionatrice della nazionale, è stata presa dopo aver allenato il Chelsea, e dopo aver cambiato il calcio femminile inglese. Noi, a capo della nazionale di basket, abbiamo Andrea Capobianco, che è al terzo ciclo, saldo al comando, senza aver mai vinto niente».
«Lo sport femminile è uno spazio di grande libertà perché c’è sempre una prima volta». Domenica 8 dicembre è stata la volta del primo derby femminile di Milano a San Siro. Nonostante sia stata una decisione un po’ improvvisa, e nonostante ci sarebbe voluto più tempo per organizzarla meglio, rimane sempre una prima volta, con la consapevolezza che, chi vorrà scriverne, potrà farlo con libertà e seguendo il proprio canone.