Jonathan Kuminga torna in campo dopo due mesi di assenza: come integrarlo nella nuova rotazione e nei nuovi schemi?

Sembra passata un’era geologica da quando Jonathan Kuminga, nel bel mezzo di una striscia di partite in cui stava prendendo sempre di più le redini dell’attacco dei Golden State Warriors, subì l’infortunio alla caviglia. A roster c’era ancora Dennis Schroder, e i Dubs perdevano due partite ogni tre precipitando in classifica.

Oggi, invece, gli Warriors sono reduci da 12 vittorie nelle ultime 14 partite, forti di uno Stephen Curry apparentemente rinato nella sua forma migliore, di un esercito di role player funzionali e, ovviamente, dell’inserimento di Jimmy Butler.

In questo scenario, qualcuno potrebbe pensare che l’aggiunta di Kuminga, prevista per domani notte, possa rendere Golden State imbattibile. Ma una squadra di pallacanestro non è una semplice somma di ‘overall’ su NBA 2K. Cambiare i meccanismi di una squadra che sta funzionando così bene non è mai semplice, e c’è sempre il rischio di inceppare l’intero sistema.

Dovrà essere bravo Steve Kerr, dovrà essere bravo lo stesso Kuminga.

Butler – Kuminga: non un ‘fit’ naturale

Uno dei primi pensieri di tutti quanti alla notizia dell’arrivo di Butler nella Baia è stato sulla scarsa compatibilità con Kuminga. Al punto che, anche su questi canali, ci si aspettava una cessione della settima scelta assoluta al draft 2021.

A Kuminga, così come a Butler, piace operare spalle a canestro, tirare dalla media distanza, attaccare il ferro e guadagnarsi tiri liberi. Kuminga, così come Butler, non ha tra i suoi punti di forza il tiro da tre punti. Non sono proprio considerabili doppioni in campo, ma la loro convivenza potrebbe effettivamente creare diversi equivoci tattici rilevanti. Specialmente perché Kuminga, al contrario di Butler, non è così abile nel muoversi all’interno della motion di Golden State per creare spazi per i suoi compagni.

Oltre a questo, va considerato che il ritorno del 22enne coincide con il periodo di massimo splendore di diversi role player esaltati dal matrimonio delle qualità di Curry e Butler. Basti pensare a Gui Santos, stesso ruolo di Kuminga, che a inizio stagione non era nemmeno nella rotazione e oggi gioca dai 15 ai 20 minuti portando fisicità, presenza costante a rimbalzo e qualche canestro dalla distanza; o a Moses Moody, che dopo tre anni di purgatorio ha finalmente trovato spazio dimostrandosi il sostituto perfetto di Andrew Wiggins.

Ma un giocatore con il talento di Kuminga non può rimanere a guardare dalla panchina. Quindi va trovata una soluzione.

Il possibile adattamento

Se c’è un allenatore che può sbloccare l’esplosività di Kuminga in un contesto con poche spaziature, quello è proprio Steve Kerr. E se c’è un giocatore in grado di creare spazi dove apparentemente non dovrebbero esserci, quello è proprio Stephen Curry. Ma il tutto dipende dalla mentalità con cui Kuminga tornerà in campo.

Per rendere perfetto il puzzle, Kuminga deve accettare di non poter essere una stella da 25 punti a partita, di non avere a disposizione dieci isolamenti a partita, e di doversi muovere nel modo giusto senza palla. Dovrebbe copiare tutto ciò che faceva Andre Iguodala e incollarlo sul parquet. I mezzi di certo non gli mancano.

Gli schemi di Kerr, la gravity di Curry e il playmaking di Butler e Green possono garantirgli canestri facili e posizioni profonde in post contro difensori più piccoli. La percentuale di conversione delle triple aperte sarà sicuramente un fattore, ma non quello principale. Kuminga dovrà soprattutto imparare a fare le piccole cose: difendere come un ossesso e diventare un vero fattore a rimbalzo.

D’altro canto, non è da escludere che una piccola voce dentro di lui dica: “Ma chi me lo fa fare?”. Ha già vinto un anello, ha 22 anni e vuole dimostrare al mondo di essere una stella. Non è nella situazione in cui era Iguodala dieci anni fa. Il suo contratto è in scadenza e sa benissimo che, in caso di offerte alte, il suo futuro sarà altrove. Perché sacrificarsi?

Verosimilmente Kuminga questa domanda se la farà, e il destino della stagione di Golden State potrebbe dipendere dalla risposta. Nel caso non riuscisse ad adattarsi, Kerr non avrebbe grandi problemi a dargli poco spazio: non fa mai prigionieri, specie nella gestione delle serie Playoff. Ma non converrebbe a nessuna delle due parti.