Un poster passato alla storia. Una vendetta sportiva covata per 5 giorni.
Dietro a un fotogramma si nascondono uomini, parole, storie. Come quella della redenzione, parziale, di Shawn Kemp. E della sua indimenticabile vendetta ai danni di Alton Lister.
Lister nasce a Dallas il 1° ottobre 1958. 240 libbre distribuite su 7 piedi, il prodotto di Arizona State viene scelto alla numero 21 dai Milwaukee Bucks nel Draft del 1981. 17 anni di onestissima carriera NBA, una nomination per il non ancora Michael Jordan Trophy al terzo anno nella Lega, 1.5 stoppate di media a partita, 5 figli e un attuale incarico come assistente per i TNT Tropan Giga nel campionato filippino.
La sua #53, vestita sin dai tempi del college fino al termine della carriera, potrà ricordarvi qualcosa. Non per il gregariato esercitato nelle varie franchigie per cui ha lavorato sporco tra gli ’80 e i ’90. Potreste ricordarvelo steso a terra, con la canotta blu e la scritta Warriors sul petto, soggetto a una delle più iconiche rivincite mai viste su un parquet NBA.
Perché la Storia, si sul dire, la scrivono i vincitori. Ai vinti, nel migliore dei casi, il silenzio e l’anonimato.
Gara 2 del primo turno Playoffs 1992. Dopo una Gara 1 da 28+16, Shawn Kemp trova finalmente opposizione. Se si parla di fermare The Reign Man si parla di farlo fisicamente, sacrificando il proprio corpo, predisponendosi a gomitate e spinte ogni singolo possesso. Gara 2 è una masterclass difensiva tipica dei primi anni ’90: Kemp viene limitato a 5/14 e, nonostante i 19 rimbalzi, non è un fattore. Anzi: è un fattore negativo per i Sonics. Il secondo tempo di Golden State è un 61-41 che non lascia adito a repliche. La ragione principale ha un nome e un cognome: Alton Lister. L’agente speciale con un’unica missione: far uscire Kemp dalla partita.
Non si tratta di adottare schemi o rotazioni particolari, aiuti o cambi ad hoc. No. Si tratta di impedirgli di passarti sopra. Kemp ha la dinamite nelle gambe, pronta ad esplodere ogniqualvolta si accenda la miccia. Non farlo saltare. Con le buone e, tutto sommato volentieri, con le cattive.
Gary Payton penetra dalla guardia sinistra e vede il taglio backdoor dal lato debole di Kemp. Il #40 riceve in corsa, alla stregua di un treno lanciato. Se stacca i piedi da terra sono due punti, possibilmente con ferro violentato e boato sugli spalti. Non è corretto dire che il nativo di Elkhart salti o si libri in aria: è più la partenza di un razzo da Cape Canaveral. Kemp salta. Schiacciata da highlights? No: Alton Lister è nel pitturato con un unico, semplice obiettivo.
Va oltre il gioco sporco. È una porcata in piena regola. Quando il Sonic è in volo Lister si disinteressa completamente della palla a spicchi, ammesso e non concesso si fosse mai interessato, e spinge a due mani il petto di Kemp. Tutta l’energia delle 240 libbre sprigionata unicamente nelle braccia, diretta verso il petto dell’avversario. Lo scaraventa a terra. Kemp si rialza senza mostrare di aver particolarmente gradito il movimento del marcatore diretto, esponendo accoratamente il proprio disappunto. Si scherza: sono pur sempre i 90s, il rissone da saloon è d’ordinanza. E sono pur sempre i 90s: nessuna espulsione, men che meno una squalifica.
Riportata la situazione a una gestibile tensione, i grigi optano per un doppio tecnico. E basta. Si continua. Kemp esce completamente dalla partita, per la gioia finale della Alameda County Coliseum Arena di Oakland. Il fattore campo è nelle mani di Seattle, ma almeno la serie è in parità.
Cinque giorni dopo e una vittoria in Gara 3 di Seattle nel mezzo, il 30 aprile 1992 va in scena il secondo e decisivo atto del duello. Tutti coloro che si sono imbattuti tangenzialmente nel basket americano, che siano nipotini o nonni, l’hanno vista almeno una volta. Spesso si sobbalza dalla sedia, guardando l’esplosione e la liberazione del freak atletico di Kemp, estrapolata dal contesto. Non si ricorda il pregresso, non si approfondiscono gli antefatti. Ma se lo si fa, il momento si trasforma da iconico a leggendario.
Quattro minuti nel secondo quarto, SuperSonics sotto di uno. Šarūnas Marčiulionis si prende un comodo jumper dal gomito mancino, secondo ferro e palla in aria. Non c’è nessuno nei pressi del tabellone, a parte Shawn Kemp. Non avrebbe bisogno di muovere un dito per raccogliere il rimbalzo, nessuna maglia blu è in grado di contrastarlo, però è Shawn Kemp. E nel dubbio, salta. Come se fosse rimasto in memoria il caricamento del tasto su NBA2K, lo fa in maniera insensata. Cattura il rimbalzo, apre in ala destra e si avvia verso la metà campo avversaria.
Nell’attacco successivo, l’isolamento di Ricky Pierce non porta a nessun vantaggio. Il #22 è spalle a canestro, raddoppiato dalla difesa di Golden State, in un vicolo cieco. Trova modo di liberarsi del pallone sparando una fucilata che attraversa l’area. Ha visto Kemp completamente libero dalla parte opposta del campo, appena dentro la linea del tiro da tre.
In 14 anni di NBA Kemp ha tentato 119 triple, è chiaro che non fosse una minaccia da quella distanza. La difesa lo sa bene, e se avesse reali chilometri di spazio tra lui e il canestro, glieli lascerebbe tutti.
Kemp raggiunge con tutta la sua elasticità il missile di Pierce, estendendo il braccio sinistro. Non passa nemmeno nell’anticamera del cervello l’idea di tirare. The Reign Man mette palla per terra, completamente libero. Un palleggio, tanto gli basta per accumulare abbastanza potenziale da trasformare in cinetica. Raccoglie il palleggio. Un passo. Il secondo. Stacca. Levita. Incontrastabile.
Alton Lister aveva seguito il movimento di Pierce con lo sguardo. Osserva la ricezione di Kemp al limite dello smile, senza darci troppa attenzione. Errore madornale. Una frazione di secondo di troppo. Ancor prima che possa modificare la postura per ottenere uno sfondamento, viene abbattuto da Kemp. Deflagrato. Steso.
Il Coliseum in delirio, la trance agonistica di Kemp sfocia nel poster più celebre della storia dell’NBA. Le braccia puntate a Lister, a mostrare a tutti i presenti e i telespettatori che fine meritasse di fare chiunque lo avesse provocato, chiunque avesse provato a mettere in discussione la sua prepotenza fisica e atletica.
48-47 Seattle e timeout Golden State a 5:42 dalla pausa lunga. La partita e la serie, in sostanza, finiscono qui. Per la fredda cronaca, alla fine per Kemp saranno 21+20, ma la Storia è stata già scritta.
Nel momento del Reign Man, Alton Lister si è trovato dalla parte sbagliata della storia. Quella che non viene ricordata, nel peggiore dei casi connotata negativamente. Quella sulla quale si abbattono tuoni, fulmini, tempesta. Con la Seattle di The Reign Man, esisterebbero alternative?