FOTO: NBA.com

Questo contenuto è tratto da un articolo di Dr Rajpal Brar per 3CB Performance, tradotto in italiano da Marco Marchese per Around the Game.


Quando si parla di Anthony Davis, spesso viene usato con leggerezza il termine “soft” dai tifosi dei Los Angeles Lakers, dai media o da chiunque altro si trovi coinvolto in una discussione il cui argomento è il numero 3 dei Lakers. Tuttavia, con una semplice retrospettiva sui suoi problemi fisici, è possibile appurare che questa etichetta gli venga attribuita in maniera non del tutto onesta, o quantomeno consapevole.

Ripercorriamo la sua esperienza a LA.

Durante la sua prima Preseason in giallo-viola, ha sofferto una fastidiosa lesione parziale (seppur lieve) al legamento del pollice della mano, che tuttavia AD ha ignorato per farsi trovare al top della forma ai nastri di partenza; successivamente ha subito un infortunio al gomito, anch’esso ignorato dall’ala ex-NOLA fino allo stop forzato a causa dello scoppio della pandemia.

La sosta ai box causa Covid ha giovato al fisico di Davis, che ho potuto finalmente resettarsi e riprendersi al meglio dai vari acciacchi che lo avevano limitato sin dal primo momento in giallo-viola. Durante la bubble, però, AD ha dovuto giocare sopra un infortunio non lieve al tallone d’Achille e all’articolazione della caviglia (cosa che è stata resa nota da LeBron James dopo la vittoria dell’anello).

Se non si fosse trattato dei Playoffs, probabilmente Davis sarebbe stato out per almeno 3 settimane per recuperare da quell’infortunio, invece è sceso in campo dopo soli 3 giorni. AD ha davvero gettato il cuore oltre l’ostacolo per condurre i Lakers, insieme a LeBron, a vincere l’anello nella bubble di Orlando. 

Dopo un’offseason 2020 molto breve, poi, Davis ha iniziato la stagione 2020/21 convivendo con una tenosinovite al tallone (un’infiammazione dei tessuti legamentosi); aver sottovalutato questo fastidio ha condotto il lungo dei Lakers ad uno stop forzato e successivamente ad un ulteriore infortunio incorso nella stessa zona (e, quindi, probabilmente causato dall’eccessivo stress a cui è stata sottoposta, unita all’affrettato ritorno in campo); il tutto è culminato con l’infortunio dopo pochi minuti dall’inizio della partita di Playoffs contro i Suns, che lo ha costretto a fermarsi.

Nel corso della stagione appena terminata, invece, Davis ha subito una lesione di secondo grado al legamento collaterale mediale, dovuta ad un contatto di gioco fortuito, da cui ha recuperato in linea con le timeline medie. Infine, nella parte finale della RS, ha subito una forte distorsione alla caviglia: ha fatto di tutto per tornare in campo per il rush finale e cercare di portare i suoi ai Playoffs, senza riuscirci.

Ma Anthony Davis ha speso davvero tutto se stesso, rischiando di aggravare ulteriormente le sue condizioni fisiche in più occasioni, per dare maggiori chances di vittoria alla sua squadra. “Soft” non è l’aggettivo adatto per definirlo.

Il fatto che Davis si infortuni così frequentemente, ovviamente, è motivo di preoccupazione per i Lakers; ma le cause di questi infortuni risiedono nella sua struttura fisica e nel suo modo di stare in campo. AD è un giocatore che espone il proprio corpo a stress e contatti in situazioni dinamiche, in entrambe le metà campo; la sua combinazione di potenza, atletismo, velocità e talento spesso lo porta ad essere coinvolto in situazioni potenzialmente rischiose.

L’aspetto principale per la gestione di Anthony Davis da parte dello staff medico, e soprattutto del futuro coach dei giallo-viola, sarà la valutazione sul suo carico di lavoro. Limitare il suo impiego e preservare la sua integrità durante la prossima Regular Season, senza perdere d’occhio gli obiettivi stagionali di squadra, dovrà necessarimante essere una priorità per i Lakers.