Jimmy Butler ha usato ogni tipo di trucco da veterano per la vittoria contro Houston.

Questo contenuto è tratto da un articolo di Joseph Dycus per The Mercury News, tradotto in italiano da Marco Barone per Around the Game.
Con i quintetti a “doppio lungo” in voga, i rimbalzi offensivi considerati il bene più prezioso e i contatti difensivi che attirerebbero una bandierina dagli arbitri della NFL, la serie di primo turno tra Warriors e Rockets è un ritorno a tempi ormai lontani. I Dubs hanno sconfitto i texani con una vittoria brutta e cattiva per 95-85, in una Gara 1 che non ha visto un basket fluido, ma abbondare i falli non fischiati. “Sembrava di essere nel 1997, una partita NBA completamente diversa da quella a cui siamo abituati”, ha detto l’allenatore dei Warriors Steve Kerr.
In quella stagione le squadre dell’NBA segnarono una media di 96.9 punti a partita, quindi l’osservazione di Kerr è fondata. In quel tipo di ambiente, con spaziature preistoriche e un ritmo incalzante, Jimmy Butler, nativo di Houston, si è trovato a suo agio in più di un modo. In 42 minuti, ha segnato 25 punti – di cui sei negli ultimi due minuti – insieme a sette rimbalzi, sei assist e cinque rubate. Questo tipo di produzione grezza è attesa da un uomo conosciuto come “Jimmy Buckets”, che ha avuto una media di oltre 24 punti a partita da post-season killer per i Miami Heat. Ma il suo impatto è andato al di là del semplice dato statistico.
Con la corazzata di atleti giganteschi e saltellanti dei Rockets concentrati a fermare Curry – cosa che non è riuscita particolarmente bene – Butler ha avuto il compito di tenere a galla l’attacco di Golden State. “Uno dei miei ruoli principali qui è quello di ottenere il rimbalzo e poi rallentare il gioco, far girare la palla e assicurarmi che tutti si trovino nei loro posti” – ha detto Butler – “Credo che tutti siano d’accordo”.
Nel finale, però, Butler ha smesso di far girare la palla e ha aumentato la sua aggressività. A 1:43 dalla fine di una partita in cui i Rockets hanno raccolto ben 22 rimbalzi offensivi, ha messo a segno forse il più grande possesso offensivo della serata, quando si è lanciato per un put-back nel traffico. Protagonista di una serie che privilegerà le abilità della vecchia scuola, il gioco metodico di Butler si basa sui fondamentali, sulla forza e sulla capacità di trovare fessure in spazi ristretti.
A un minuto dalla fine, con i Warriors in vantaggio di nove punti, Butler ha sbattuto la porta in faccia ai Rockets, prendendo di mira Alperen Sengun prima di inchiodare un midrange jumper da 6 metri in un possesso di isolamento decisamente in stile anni ’90. “L’ultimo tiro sopra Sengun è quello che vogliamo” – ha detto Draymond Green – “Dobbiamo fare un lavoro ancora migliore per assicurarci che riceva la palla”.
I Warriors hanno fatto giocare Butler almeno 40 minuti in ognuna delle ultime tre partite: la sconfitta nella finale di regular season contro i Clippers, la vittoria al play-in contro i Grizzlies e la vittoria in gara 1 a Houston. Le statistiche dimostrano il perché. Il rating offensivo dei Warriors aumenta di 7.5 con lui in campo rispetto a quando non c’è, lo stesso margine che c’è tra i Chicago Bulls, ventesimi, e Cleveland Cavaliers, primi. Non sarà facile ottenere statistiche offensive elevate contro i Rockets, che dovranno riorganizzarsi per Gara 2, dopo che i Warriors si sono aggiudicati il vantaggio di giocare in casa.
Ma Butler ha mostrato abbastanza durante le sue 10 settimane con la squadra per provare che si può contare su di lui per produrre in una serie Playoffs. “È solo la continuazione di quello che è stato da quando è entrato in squadra da febbraio.” – ha detto Curry – “Ha un talento per i grandi momenti, anche se non è lui a rifinire la giocata”.