FOTO: Twitter / USA Basketball

Gli Stati Uniti, purtroppo, hanno impartito all’Italia una lezione di pallacanestro pesantissima. Il cammino della squadra azzurra in questa FIBA World Cup 2023 è stato incredibile, ma contro il muro erto da Team USA non c’è stato modo di passare. Prima di parlare della gara, è lecita una premessa a riguardo: la batosta subita dagli Azzurri è fin troppo pesante per quello che si è visto dopo le due fasi a gironi, ma non toglie nulla al percorso compiuto dal Pozzecco, dal suo staff e dal gruppo intero. Sconfitta che non toglie nulla nemmeno alla carriera in nazionale di Luigi Datome, all’ultima presenza “competitiva” con questa maglia e purtroppo apparso stizzito dopo l’esultanza di Mikal Bridges – ripetiamo, esultanza, non provocazione, dal momento che questo tipo di gesto è parte del gioco per gli statunitensi e non ha la minima intenzione denigratoria. Il capitano di ItalBasket lascerà la nazionale con un po’ di amarezza dopo le prossime gare, valide per il piazzamento del quinto all’ottavo posto, ma non sarà certo un blowout a intaccare il valore del giocatore e delle sue prestazioni, tra cui quella leggendaria contro la Serbia. Semplicemente, quando scendono in campo così, c’è poco da fare contro gli Stati Uniti.

Le speranze italiane sono infatti andate progressivamente scemando già a partire dal primo quarto, con l’ingresso delle riserve statunitensi, che hanno collezionato 57 punti totali, dopo un avvio così così da parte del quintetto titolare. L’impatto di Tyrese Haliburton e Austin Reaves – 30 punti in due – si è fatto sentire da subito, così come quello di (ironia della sorte) Paolo Banchero, non a caso il giocatore con più minuti in campo dei suoi, quasi 25. Con il giocatore degli Orlando Magic ad agire da small ball-5, gli Stati Uniti hanno iniziato a cambiare su tutti i blocchi, strategia che finora ha sempre pagato e che oggi si è confermata: nei minuti con il Rookie of the Year, +27 di plus/minus, dato migliore in assoluto fra gli americani, condito da un tabellino ricco, con 8 punti, 5 rimbalzi, 2 assist, 1 stoppata e 2 palle rubate. E questa giocata in contropiede:

In generale, resta un mistero il perché lo staff di Team USA si ostini a mantenere una copertura classica nei primi minuti, pur essendo dotata di giocatori fenomenali nella difesa sulla palla e capace di cambiare su tutto e tutti. Un esempio minore è Anthony Edwards, che ha tantissimi blackout lontano dalla palla ma che è uno dei migliori difensori point-of-attack di tutta la NBA; uno superiore, invece, è quello di Jaren Jackson Jr., spesso coinvolto in una drop coverage sul pick&roll o comunque tenuto molto basso nel pitturato, casi da cui l’Italia ha anche tratto qualcosa di buono all’inizio. Il Defensive Player of the Year è certamente un ottimo rim protector, che può beneficiare delle regole FIBA sui secondi difensivi e sfruttare la profondità per esporre meno la squadra a rimbalzo, ma è anche abilissimo sui cambi, sui quali può essere ancora più efficace con queste distanze e con giocatori meno attrezzati nel creare vantaggio rispetto alla media NBA.

L’attacco dell’Italia, comunque, ha continuato a generare buoni tiri nei primi minuti, ma il 2 su 19 da tre punti ha condannato la formazione allenata da Gianmarco Pozzecco. Tra errori e palle perse, la transizione degli americani ha aperto uno strappo già dal primo tempo, culminato in un esito disastroso a fine gara, con 25 punti concessi da turnover e 30 da contropiede da parte degli Azzurri. La gara si è definitivamente chiusa nel terzo quarto, quando le percentuali statunitensi si sono alzate (47% da tre, 61% da due nel finale) e Mikal Bridges è salito in cattedra: per lui 24 punti con 8 su 11 al tiro, scoring leader di un Team USA andato integralmente a tabellino, eccezion fatta per Cameron Johnson.

Commovente la prestazione di Simone Fontecchio, unico capace di tenere il ritmo anche quando la partita era ormai sfuggita di mano, e buon primo tempo di due pilastri di questa World Cup come Nicolò Melli e Stefano Tonut, prima del tracollo finale. Le chance di giocarsela per almeno un tempo sarebbero state maggiori con qualche canestro in più da tre punti, ma nulla avrebbero tolto all’esito finale. Gli Stati Uniti hanno preso fiducia, sfruttando le debolezze azzurre nel creare vantaggio a metà campo per bloccare l’attacco avversario e alimentare la transizione, motore di Team USA che ha sbloccato anche le letture a difesa schierata, con continue triple open in angolo e un’ottima qualità dei tiri. In poche parole, ubi maior, minor cessat, una legge crudele e non sempre esatta, ma che in queste circostanze resta difficile da non considerare.