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La prima della nazionale italiana in FIBA World Cup ha oscillato pericolosamente fra “il buongiorno non si vede dal mattino” e “chi ben comincia è a metà dell’opera”. Senza scendere nella paremiologia (studio dei proverbi) spiccia, il cammino di ItalBasket è iniziato male, se si guarda ai primissimi minuti del primo quarto, ma anche bene, essendo arrivata una vittoria non scontata, visto l’andamento della gara. L’Angola ha pressato altissimo fin da subito, non lasciando organizzare l’attacco a metà campo degli azzurri, che ci hanno messo un po’ a scardinare i meccanismi fatti di continui blitz e pressione a tutto campo.

Solo dopo una buona metà di primo quarto, e ancora meglio dal secondo, i ragazzi di coach Pozzecco hanno iniziato a capire il giochino, sfruttando continui ribaltamenti sul lato debole e qualche penetra e scarica soprattutto di Simone Fontecchio, generando buoni tiri. Tutti buoni segni, direte, no? E, invece, no. L’espressione “polveri bagnate” rende bene l’idea: 1/6 da fuori per Fontecchio, 1/5 per Datome (molto sulle gambe, anche in difesa, dove ha spesso faticato sui tagli degli atleti avversari), Severini e Ricci, 1/4 per Spissu, per un 5/31 di squadra da far venire i brividi. Ma questi tiri non usciranno sempre.

Giocare contro una difesa di questo tipo, che toglie continuamente ritmo all’attacco, forzando palle perse (11 per l’Italia) e sporcando tanti palloni spendibili per il funzionamento dei set, non concede di giocare le classiche azioni a metà campo che siamo abituati a vedere, ma necessita di una presa di responsabilità da parte dei creator primari. In questo Fontecchio, come dicevamo, è stato enorme, al di là delle triple sbagliate dai compagni. E lo è stato non solo in fase di creation per gli altri, ma anche per sé stesso, creandosi buoni tiri al ferro molto spesso una volta attaccato il closeout – come dimostra anche il 7 su 8 da due.

Chi, sotto questo aspetto, è stato bravissimo, è Stefano Tonut, in grado di tenere il palleggio fronte a canestro – questione da non sottovalutare, dato che Pajola e Spagnolo non ci sono riusciti affatto – e di esercitare la rim pressure necessaria a mettere in difficoltà la difesa dell’Angola, alla quale vanno riconosciuti molti meriti.

Childe Dundão è probabilmente il nome che si troverà scritto sulla prossima canotta che il sottoscritto ordinerà, mentre Bruno Fernando si è confermato un solido giocatore quando gli viene richiesto di “fare il suo”, e non di eccedere, come costretto a fare nella propria nazionale. La grinta dei ragazzi di Jose Claros Canals non è pareggiabile, e risulta ancora più impressionante vederla applicata sui 40 minuti in questo modo: non sono mancati in attacco alcuni set piuttosto organizzati, al di là della pessima esecuzione, prevalentemente basati sui blocchi “horns” e sulla semi-transizione, con alcune uscite complesse in cui si passava da un double drag per il portatore a degli “stagger” lontano dalla palla (QUI il glossario dei termini). Tutti precetti necessari per una squadra dalla creation limitata e applicati coraggiosamente per tutto l’arco della gara.

Proprio per questo, l’Italia deve essere contenta di essere riuscita a strappare una vittoria in un esordio non facile e atipico, senza soffrire nel finale e trovando il modo di restare unita nonostante tutte le difficoltà. In poche parole: calma, la World Cup è appena iniziata, e vincere fa sempre bene – soprattutto in una giornata tragica al tiro difficilmente (si spera) replicabile.