FOTO: Bright Side of the Sun

“Non ho mai subito uno sweep in vita mia, che io sia dannato qualora dovesse succedere” – ecco, ci auguriamo che Bradley Beal stia bene, dopo queste dichiarazioni diventate subito meme. Per i Phoenix Suns, infatti, il primo turno è finito con un 4 a 0 secco a favore dei Minnesota Timberwolves, uscendo a testa bassa di fronte al pubblico di casa. E figuratevi se non ne è nato subito un polverone mediatico, cavolata di Beal a parte. Shams Charania se ne è uscito un istante dopo la fine di Gara 4 con un articolo che era lì, pronto fra le bozze, lo immaginiamo con le orecchie tese verso il suono familiare della sirena finale muovendo i muscoli delle gambe spasmodicamente, seduto di fronte al proprio PC, in attesa di cliccare sul tasto “publish” di qualunque editor di testo si serva The Athletic, attendendo che la vena del collo carica di emozione si sgonfiasse di pari passo con il gonfiarsi delle interazioni social. Da buon rapace, l’attenzione verte ovviamente sulla figura di coach Frank Vogel, che da questa serie esce paradossalmente peggio di un Chris Finch finito in ospedale per la caduta rovinosa di Conley sul suo ginocchio a pochi minuti dalla fine di Gara 4. Nel caso dell’ex allenatore dei Lakers, nessun infortunio surreale a bordo campo, non lo ha travolto nessuno della propria squadra, solo un mare di insulti profuso dai tweet di qualche tifoso Suns o stan account di Booker/KD con la bava alla bocca. Charania parla di una sfuriata dell’allenatore dopo una sconfitta del 9 aprile contro i Clippers, di urla che si sentono fuori dallo spogliatoio ma ignorate dai giocatori, che pensano sia una recita. La pantomima sarebbe proseguita il giorno successivo, e le inconfutabili fonti di The Athletic parlano di giocatori che alzano gli occhi al cielo, addirittura di qualcuno che trattiene le risate per i gesti forzati di Vogel, incapace di incutere qualunque senso di urgenza o di ottenere un minimo di credibilità secondo la ricostruzione. Ma la parte migliore di questo capolavoro, uscito con un tempismo studiato al dettaglio, deve arrivare: “Durant, Booker e Beal non hanno prodotto al loro meglio in questi Playoffs come blocco unico, e fonti nello spogliatoio credono che nemmeno uno dei tre sia emerso come un leader necessario sul parquet. MA la responsabilità si ferma all’head coach, e per la seconda offseason di fila, le fonti rivelano che Phoenix guarderà con attenzione a un cambio totale di allenatore o, come minimo, discuterà aggiustamenti riguardo allo staff.”. Ah, il potere di un’avversativa inserita al momento giusto, per distogliere l’attenzione dal problema più vivo del momento e trasferirla verso un elemento che possa giustificarlo. Sembra quasi ci si debba vergognare ad ammetterlo ma, se non vi fosse capitato di seguire almeno una gara, i “Big Three” dei Suns hanno giocato davvero una bruttissima serie. Il tentativo di nasconderlo dietro il rapporto con l’head coach è comprensibile, affidandosi alle fonti di Charania in buonafede si parla di: un Devin Booker che chiede di non svuotare la panchina e restare in campo in Gara 2 per provare a riprenderla alla disperata, per poi uscire per falli nel minuto successivo; un Bradley Beal che dibatte in maniera accesa, come spesso capita, con l’head coach; un Kevin Durant insoddisfatto del proprio utilizzo e triste perché si sente solo in angolo quando i compagni giocano pick&roll e non lo invitano a giocare, ma che si trattiene dal parlarne apertamente con il coaching staff, rendendo impossibile la comunicazione. Non ci stiamo inventando niente, è tutto su The Athletic. Ma a questo punto, anche ipotizzando che un cambio di allenatore possa essere benefico, sorge spontanea una domanda: non è che in realtà i Phoenix Suns, sia tecnicamente che psicologicamente, sono e saranno esattamente questi?

Il doppio tweet di Keith Smith sulla situazione contrattuale serve solo a mettere un paletto: non c’è grosso margine di miglioramento. I Phoenix Suns vivono e muoiono sull’isola dei “Big Three”, possono provare a diventare più profondi con qualche scelta azzeccata già dal prossimo Draft, ma hanno pochi asset a disposizione che possano valorizzare questa finestra precisa, avviata con l’All-In che ha smantellato il vecchio nucleo. Stando così le cose, viene da sé che si debba costruire il sistema perfetto per le stelle e un contesto – tecnico, tattico, mentale – ideale. Ecco, probabilmente non c’è modo di raggiungere questi tre aspetti tutti allo stesso tempo o, meglio, di conciliare la dicotomia fra ideale e reale. In primis, siamo tutti d’accordo che serve un allenatore che si faccia rispettare, introducendo le proprie idee di gioco, ma allo stesso tempo facendo sentire valorizzati tutti i vari KD, Booker e Beal del caso. Non facile da trovare, ma poniamo che esista. Bisognerebbe giocare una pallacanestro di flusso, quella vista negli esordi dell’ex Wizards e di Durant, per esempio, in cui c’era un costante movimento senza palla di tutte e tre le stelle, playmaking diffuso per innescare ricezioni dinamiche, action precise nei primi secondi dell’azione per muovere da subito la difesa. Prendiamo, per questo nucleo, la prima dell’ex Washington, che tanto avevamo elogiato QUI per quello che sembrava destinato a diventare l’elemento mancante dell’attacco di Phoenix, capace di sfruttare la gravity degli altri due senza palla e di fungere da playmaker – secondario o primario che sia – sfruttando le spaziature attorno. Notate come nelle seguenti clip ci sia sempre una collaborazione precisa sul lato forte (Chicago action, pick&roll) coordinata a un blocco di contenimento sul lato debole, o comunque spaziature ideali (anche senza Booker) attaccate dinamicamente, con il ricevitore sempre in movimento.


Questa non è una difesa Playoffs e soprattutto non è quella dei Timberwolves, ma è la teorizzazione di determinati aspetti di fondo che è mancata. Situazioni simili si sono viste anche nel corso della serie appena persa, semplicemente non con continuità, perché spesso non replicate per giocare sterili isolamenti, hand-off o pick&roll prevedibili e ricezioni in post stagnanti, facendo circolare poco la palla. La difesa di Minnesota è eccezionale, ma non inattaccabile: soprattutto tirando dento uno poco mobile come Towns, costretto a stare molto più sul perimetro con l’arrivo di Gobert, le soluzioni si trovano, solo che Phoenix non lo ha fatto con continuità o con i tempi giusti. Questi due canestri in Gara 4 di Nurkic sono molto significativi, dato che il bosniaco è stato un minus clamoroso per tutta la serie soprattutto nella metà campo offensiva, battezzato fino alla morte e incapace spesso di chiudere anche su ricezioni solitamente favorevoli per lui.

Questo è senza dubbio un problema di coaching, che sia per assenza di capacità comunicative che portino a essere creduto e stimato dai giocatori o per scelta tattica, ma non crediate che sia così semplice. Soprattutto per quanto riguarda Durant, già sotto Monty Williams lo abbiamo visto iniziare bene, per poi accettare spesso ricezioni spalle a canestro e isolamenti nei passati Playoffs contro i Denver Nuggets, la squadra meno indicata per questo genere di soluzioni. Anche ai Nets, sotto Nash, il 2022 è stato indicativo di come non giocare una serie contro i Boston Celtics, reiterando gli stessi errori e attaccando in maniera sconnessa, priva di struttura. Non è giusto trarre conclusioni, perché non siamo a contatto con l’ambiente, ma sembra un pattern ricorrente quello di sacrificare una qualunque idea di gioco – se non nei 48 minuti, quantomeno nel clutch time e nei momenti disperati – per far spazio a un tipo di pallacanestro che “piaccia” a KD, ma che non porti da nessuna parte. Anche perché la serie dell’ex Brooklyn è stata buona, migliore di quella degli altri due, ma non necessariamente entusiasmante, numeri ricchi ad alta efficienza ma ritmo offensivo di squadra morto, aspetto pagato dai Phoenix Suns.

E per Devin Booker e Bradley Beal vale lo stesso discorso. Quest’ultimo, quantomeno, ha provato a redimersi con una Gara 4 da 49 punti (che pur non giustifica l’atteggiamento passivo e lamentoso delle prime 3), ma l’ex Wizards è stato disastroso: 16.5 di media con 4.5 assist e 3.3 palle perse a partita, giocando una elimination game da 9 punti con 4/13 dal campo, 6 palle perse e 6 falli. Un gently reminder che si parla di un giocatore da $50.2 milioni nel 2024/25, a parte i numeri apparso molto meno esplosivo, tendenza e timore concretizzatosi dopo l’infortunio patito a Washington, per quanto molto concentrato – l’impegno, soprattutto sulla metà campo difensiva e in termini di adattamento palla in mano, non si può mettere in dubbio. Il solo problema è che, di nuovo, sono $50 milioni di cap per una produzione da terzo violino di una squadra uscita al primo turno, e non siamo sicuri che fisicamente la parabola possa essere ascendente da qui in avanti, anzi.

Quello che si cerca di dire è che quell’allenatore ideale potrebbe anche esistere, ma il suo impatto reale su questi Phoenix Suns potrebbe non essere troppo diverso da quello di qualunque predecessore. Ostracizzare Frank Vogel magari si rivelerà utile, ma non è un bel biglietto da visita da presentare all’eventuale sostituto, specialmente considerando il trend di KD e la storia uscita su The Athletic. Il cap è intasato, le scelte al Draft sono poche e la possibilità di fare una qualunque mossa è inesistente, persino smantellare i “Big Three” non sarebbe sostenibile e comunque complicato dal nuovo CBA. Qua non si parla di una semplice delusione, ma di un disastro, un fallimento su tutta la linea dal punto di vista gestionale, al quale è necessario rimediare immediatamente a partire dalla prossima stagione. Anche se non si capisce come. Per quanto il pezzo di Charania possa distogliere l’attenzione dal campo e indirizzarla su un capro espiatorio, sono ormai tre anni che vediamo questo Durant ai Playoffs, molti di più quelli a insegnare che, in ambienti del genere, le dinamiche passano sempre dalle decisioni dei giocatori e mai dalle scelta manageriali o tattiche. Perché si tratta di un investimento troppo costoso al quale rinunciare e che, dunque, va preservato offrendo assoluta fiducia. Solo che questi Phoenix Suns, dopo lo sweep al primo turno, di fiducia non ne meritano. E nella NBA del 2024, così, non si vince.