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Questo contenuto è tratto da un articolo di William C. Rhoden per Andscape, tradotto in italiano da Marco Marchese per Around the Game.


“Fin quando pagherò le tasse, pagherò il prezzo di essere il capo.”

B.B. King

Di tanto in tanto, la classe dirigente lascia partire un colpo in modo da lanciare un messaggio alla classe operaia: non importa quanto denaro si possa guadagnare, né il livello o range di stipendio, rimarranno comunque degli impiegati. Quest’assunto si rivela ancor più vero nel mondo dello sport, in cui la proprietà miliardaria fa di tutto per compensare le lacune dei giocatori, anche arrivare ai ferri corti con le loro star, oppure trovarsi ad accettare una mossa meno conveniente per i giocatori, ma da cui la squadra trarrà grandi benefici. La blockbuster trade avvenuta sabato ha sottolineato proprio questa dinamica di potere, tra l’altro già nota: il centro/ala ed All-Star dei Los Angeles Lakers, Anthony Davis, è stato spedito ai Dallas Mavericks, che a loro volta hanno fatto percorrere la via inversa a Luka Doncic. Altri giocatori sono stati coinvolti, ma i protagonisti della trade sono stati proprio Davis e Doncic. Davis, 31 anni, probabilmente è stato sradicato dalla sua vita tranquilla ad LA, mentre Doncic, 25 anni, è stato strappato via dalla squadra con cui aveva esordito in NBA 5 anni fa, e dove si era sviluppato una sorta di culto nei suoi confronti. Questa mossa è stata sbalorditiva, soprattutto perché ci si aspettava una mossa dai Sacramento Kings per De’Aaron Fox – che poi l’hanno fatta domenica notte, nell’affare a tre squadre che ha portato Fox ai San Antonio Spurs, e Zach LaVine spedito a Sacramento – o da Jimmy Butler e il suo tentativo di fuga da Miami. La trade tra Doncic e Davis è saltata fuori dal nulla, e anche se le notizie fossero accurate, né AD, né lo sloveno avrebbero mai potuto sospettare una loro cessione. 

L’aspetto probabilmente più scioccante è che l’All-Star e ala dei Los Angeles Lakers, LeBron James – che in molti immaginavano seduto al tavolo delle trattative prendendo parte alle decisioni di squadra – era all’oscuro di tutto. Sembrerebbe dura da accettare, ma se fosse vero, rimarcherebbe l’assunto che i giocatori – anche le superstar più pagate – rimangono dei ben pagati pezzi di una scacchiera. Forse i Lakers hanno agito in questo modo poiché forti del fatto di aver favorito LeBron prendendo Bronny James al Draft, e quindi hanno ritenuto non necessario coinvolgerlo nella trattativa per Doncic. O forse perché Luka Doncic rimpiazzerà James in quanto emblema dei Lakers. 

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Badando al sodo, con Anthony Davis i Dallas Mavericks ottengono una risorsa dominante in difesa – quando in salute – che Doncic non era. Nonostante Davis sia stato propenso a subire infortuni nel corso dei suoi 13 anni di carriera NBA, l’anno scorso è sceso in campo per 76 volte, mentre quest’anno è stato presente in 42 delle 47 sfide totali dei Lakers. Davis è un giocatore che prende seriamente le cure e i trattamenti medici, mentre non si può dire lo stesso dello sloveno. Ciò che intriga del trasferimento di AD a Dallas è che proprio una settimana fa lo stesso Davis si era lamentato di dover giocare troppo da centro, e che fosse necessario inserire in roster un ulteriore lungo per permettergli di tornare a giocare nel ruolo di ala. I Lakers hanno risposto che avrebbe potuto continuare a giocare da ala a Dallas. Pedine su una scacchiera. 

Le dinamiche di potere non sono cosa nuova, ovviamente. I giocatori reagiscono alle trade affermando che “Fa parte del business.” Ma per un giocatore della levatura di Luka Doncic, la mossa di mercato deve averlo lasciato di sasso. E per quanto riguarda Davis, che aveva forzato la trade in uscita da New Orleans nel 2019, essere improvvisamente mandato via dal luogo in cui avrebbe voluto trascorrere l’intera carriera dev’esser stato altrettanto scioccante. Ai giocatori, di tanto in tanto, viene fatto ricordare chi comanda. Nel 2009 David Stern, NBA Commissioner che agiva per il bene dei proprietari delle franchigie, ha messo tutti in riga stabilendo la norma che riguardava il dress code per i giocatori infortunati seduti in panchina. Dal punto di vista di Stern, le cose erano sfuggite di mano con i giocatori che si mostravano in ogni possibile modo di vestire. Quindi la NBA, attenta all’immagine, ha imposto un dress code a tutti i giocatori, a prescindere da quanto sostanziosa fosse la loro paga o livello in campo. Tutti dovevano mostrarsi in maniera “professionale”. “Non si trattava di dover indossare la cravatta,” ha rivelato Stern durante un’intervista sostenuta nel corso di una seduta dal barbiere nel 2019.

“Il dress code era chiaro: indossate un paio di scarpe, un paio di jeans ed una t-shirt. Ciò che realmente stavamo facendo, durante il corso degli eventi, era dimostrare rispetto per il gioco del basket.”

David Stern

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Ricordando che il rispetto per il basket volesse dire lavoro duro e dedizione, ha affermato Stern, “Perché il lavoro duro e la dedizione erano lì, poi arriva un ragazzo a sedersi in panchina vestendo come se fosse in spiaggia, e toglie merito a ciò che sta accadendo attorno a lui”. Ci furono timide proteste, ma saggiamente i giocatori si sono uniformati alla regola. Anzi, alcuni hanno sfruttato il nuovo regolamento per influenzare i trend. La blockbuster trade di sabato è stata un altro esempio di esposizione di muscoli, un reminder ai giocatori che confondono potere e denaro. I proprietari delle franchigie possono fare ciò che vogliono. Per dirla utilizzando le inimitabili parole di King, “They’re paying the cost to be the boss” – Pagano in prezzo di essere il capo.