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Dopo quello che è successo ieri sera, Danny Ocean avrà chiesto a Sam Presti informazioni per un corso privato di educazione al furto. La trade che ha portato Alex Caruso agli Oklahoma City Thunder non si può nemmeno definire tale, trascende il concetto di scambio, è l’equivalente di portare a rottamare una Suzuki Vitara del 2006 e ricevere in cambio in regalo le chiavi di una Lamborghini – similitudine che fa riferimento a fatti realmente accaduti per una metà, vi lascio indovinare quale. Non tanto per sminuire Josh Giddey, che comunque di difetti ha dimostrato di averne svariati, ma per quella che è la contropartita ottenuta dai Chicago Bulls non solo da parte di una delle dirigenze dotate di un Draft capital futuro senza eguali nell’intera Lega, ma anche dopo le offerte ricevute alle ultime due trade deadline. Prima di commentare, per chi se lo fosse perso, ecco di cosa parliamo:

Bulls, perché?

Chicago si sta ricostruendo totalmente. Del roster ereditato da Artūras Karnišovas restano solo Coby White e Zach LaVine, per adesso, il secondo dei quali a forte rischio partenza; così come non è certa la permanenza di DeMar DeRozan, che potrebbe firmare un’estensione da circa $130 milioni per tre anni entro il 30 giugno, ma ancora in fase di negoziazione. Detto questo, c’è modo e modo di ricostruire. Come anticipato: punto numero uno, se da te arriva Sam Presti – impugnando la sua pletora di pick, al primo o secondo giro che sia – avanzando richieste per uno dei tuoi migliori asset a disposizione, per quanto sia in scadenza a fine 2025 e fuori dalla timeline che ti sei prefissato, non esiste accettare uno scambio senza uscirne quantomeno con un paio di scelte al secondo giro. Stiamo parlando di Alex Caruso, All-Defensive Team da 2 stagioni consecutive e, al di là di futili premi, uno dei migliori difensori perimetrali della Lega, nonché tiratore affidabilissimo da tre punti – 40.8% su 4.7 triple tentate a partita nel 2023/24 – con discreta esperienza anche in ambito Playoffs, fra cui va menzionato il ruolo nel titolo 2020 dei Lakers. E questo ci porta al secondo punto: si parla di un giocatore che farebbe da titolare o sesto uomo in qualunque, ma proprio qualunque contender, e per il quale erano state fatte svariate offerte molto appetibili alle passate trade deadline. Questo perché Caruso, se esiste una definizione simile, è una “pedina da deadline”, cioè il classico giocatore per cui, a stagione in corso, arriva l’offerta da parte di una squadra competitiva che ha disperatamente bisogno di un 3&D di livello, o perché si è scoperta meglio del previsto e vuole accelerare la timeline, o perché si è scoperta peggio del previsto ma è in una championship window ed è disposta a sacrificare di tutto pur di alzare il proprio floor. Il massimo comune divisore per queste due realtà così differenti è uno: la predisposizione a sacrificare asset futuri. Questo è quello che è successo alla deadline 2023 e si è ripetuto a quella del 2024, secondo svariati report, periodi in cui i Bulls hanno rifiutato svariate offerte, comprendenti first-round pick – anche multiple – altine (si parla di top-10 al Draft) o potenzialmente tali, come quella dei Golden State Warriors, il cui interesse è arcinoto da due anni. Rifiutare asset da squadre di questo tipo, o disposte a dare tanto o comunque in fase calante (inversamente proporzionale alla posizione della pick), per un pacchetto con il solo Josh Giddey è davvero senza alcun tipo di senso. Anche perché, è giusto metterlo in chiaro, l’australiano entrava in questa offseason con valore negativo, tra Playoffs disastrosi e questioni extra-campo risolte, ma non dimenticate dalla crudele massa dei social – che influenzano l’immagine e, di conseguenza, la percezione da parte dei fan.

I discorsi pro-Giddey sono relativi al playmaking, certamente sopra la media e capace di fornire garanzie in attesa di capire se Lonzo Ball potrà mai davvero tornare con continuità su un parquet NBA, e allo stipendio, oltre $1 milione inferiore a quello di Caruso ma che richiede un’estensione secondo le tempistiche del rookie contract – più in linea col nuovo progetto di Chicago. Per il resto, fine. Il “potenziale da All-Star” a cui accenna Wojnarowski lo ha visto soltanto lui, in questa Lega non esiste che un giocatore incapace di creare vantaggio, tirando sotto la media e in maniera estremamente riluttante, senza una specifica skill da scorer di alcun tipo, possa diventare una stella. A malapena un role player, anzi, in base a quanto visto nei passati Playoffs. Inoltre, un commento a parte, il playmaking dipende moltissimo dal contesto circostante e dal proprio apporto fornito al sistema: essere una minaccia nulla sul perimetro e un finisher mediocre fa sì che la difesa ti ignori e si riducano gli spazi in cui operare, e allo stesso tempo le tue doti inesistenti da scorer non permettono che tu possa essere utilizzato con continuità e concretezza per attaccare il vantaggio creato da altri. In poche parole, contro difese Playoffs, a meno che non diventi un tiratore credibile o un iso scorer di livello, Josh Giddey sarà inutile anche come playmaker. Vedremo come si ambienterà a Chicago, ma questi elementi sono una parte essenziale del suo development che ancora non si è vista – e si trovava nel miglior contesto possibile in termini di crescita e sviluppo dei giovani.

In poche parole, i Bulls rischiano davvero di aver sacrificato uno dei propri migliori asset – il migliore in termini di rapporto fra rendimento e contratto, di conseguenza come appetibilità League-wide – per un giocatore che, qualora non dovesse trovare la propria dimensione offensiva, tra qualche anno potrebbe addirittura trovarsi fuori dalla Lega.

I Thunder sono da titolo?

Probabilmente manca ancora un’ultima mossa, magari in termini di taglia o spacing dinamico, ma siamo lì. L’aggiunta di Caruso è benefica sia per le spaziature offensive limitate dei Thunder, sia per una difesa già di altissimo livello. Nel primo caso, non parliamo di un giocatore capace di tirare in pull-up con continuità o di crearsi un tiro in isolamento, 172 dei suoi 253 canestri stagionali sono assistiti, ma di uno specialista non battezzabile in catch&shoot – a differenza di Lu Dort o dello stesso Giddey – situazione dalla quale tira con il 40.6% in stagione (3.9 delle 4.7 triple di media tentate è sugli scarichi). Il tutto, potendo mettere palla a terra e agendo da playmaker secondario. Ma ciò che fa davvero paura è il suo inserimento nel sistema difensivo di OKC.

Caruso conosce già Oklahoma e coach Mark Daigneault, che lo ha allenato per un anno nella squadra di G League affiliata ai Thunder (Oklahoma City Blue), e ha dichiarato già in passato di apprezzarne i principi. Adesso, uno dei migliori PoA della Lega andrà a fare coppia con Lu Dort, specialista difensivo del suo livello, in un roster che tra gli esterni vanta già Shai Gilgeous-Alexander, dotato di taglia infinita e abile anche in aiuto secondario al ferro, Cason Wallace, Jalen Williams e Aaron Wiggins. E Chet Holmgren, borderline DPOY materiale, nel front court. Se già questa squadra ha messo in difficoltà un back court offensivo clamoroso come quello di Dallas, immaginatevi cosa potrebbe fare adesso con un difensore perimetrale capace di passare su ogni blocco su e lontano dalla palla, sempre attivo sulle gambe e atleticamente sottovalutato.

Il paragone fatto da Woj con la presa di Iguodala da parte di Golden State forse non è azzeccatissimo, ma certamente è una trade che sposta tanto. Anche pro futuro. Alex Caruso ha 30 anni, a 6 mesi dall’ufficializzazione dello scambio sarà eleggibile per un’estensione fino a $80 milioni in 4 anni, così come a una rinegoziazione contrattuale, tutte e due opzioni che permetterebbero ai Thunder di trattenerlo a lungo termine e sotto un contratto potenzialmente team friendly. Una delle squadre più promettenti della NBA è arrivata al role player da sogno, nonché fit perfetto, senza sacrificare nemmeno uno dei propri asset di valore e cedendo quello che era forse l’elemento più negativo rimasto a roster: se non è un furto con scasso questo…