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Alla prima partita di stagione, scintille e rodaggio per entrambe le compagini.

Da un lato Phoenix fresca di alcuni nuovi innesti (primo tra tutti Bradley Beal, assente in questa prima gara), arrivati nella supertrade che ha portato Lillard alla corte di Giannis Antetokoumpo. Dall’altro Golden State che ha raccolto il richiamo del veterano Chris Paul, che a fine carriera tenta ancora di inseguire il suo sogno più grande; l’anello.

Non è chiaramente possibile fare previsioni con una sola partita giocata, ma si possono sicuramente cogliere alcuni aspetti ed eventualmente problematiche che potrebbero preoccupare non poco le due franchigie nella cavalcata lunga altre 81 partite.


Phoenix

L’innesto più interessante, oltre al già citato Beal, è quello del centro bosniaco Jusuf Nurkić. Arrivato da Portland, ha l’onere e l’onore di sostituire un lungo di estremo rispetto come Ayton, ormai giunto all’estremo punto di rottura con la Valley.

Le impressioni sono ottime, per linguaggio del corpo e il valore aggiunto offensivo; Nurkić chiude la partita con una doppia – doppia da 14 punti e altrettanti rimbalzi. Ma non è poi il dato statistico che salta all’occhio, utile solo a corroborare alcune impressioni di gioco vivo, quanto l’utilizzo nella motion offence del centro nell’arco dei 28 minuti in cui ha calcato il parquet. La tanto amata situazione di Spain P&R con la Bestia Bosniaca si arricchisce di un’aggressività che mancava in precedenza, date le grandi qualità di rollante e le dimensioni non indifferenti del centro; arma, lo Spain, destinata a diventare una sentenza quando, oltre a Nurkić, ci saranno, o ci sono, nomi del calibro di Booker e Beal ad interpretarla.

Ottimo anche nel ruolo di facilitatore, reso sicuramente più semplice dallo strapotere offensivo di alcuni compagni di squadra; stazionando spesso nella zona di short roll e servendo i compagni, anche con handoff come nella clip precedente, permette una fluidità di gioco che non ci si aspetterebbe in una squadra con così tanti nomi nuovi.

Resta però l’interrogativo della difesa, non tanto sul 1on1 o come rim protection, quanto e soprattutto nelle situazioni di cambio obbligato su P&R avversari, come nel caso della clip seguente.

È chiaro che non ci si trova costantemente a dover chiudere il miglior tiratore della storia del gioco, ma in una pallacanestro così estremizzata dove il 90% del backcourt della lega è assolutamente capace di punire un ritardo o una disattenzione, può diventare complicato per Coach Vogel far giocare minuti importanti, magari sul finale di partita o addirittura in ottica playoff, al giocatore nativo di Tuzla.

Ottime invece le prestazioni dei comprimari con minuti di qualità sia da Watanabe, che migliora costantemente nella lettura difensiva e nelle interpretazioni offensive, sia dallo stoico Okogie, mastino difensivo che mette in campo un’ intensità sempre costante, cercando spesso il rimbalzo offensivo e facendosi trovare pronto sugli scarichi del Playmaker designato Devin Booker; sua una delle triple che sul finale ha fatto atterrare su piattaforma vincente la squadra dell’Ariziona.

Golden State

Per la Dub Nation il discorso si complica, ma soggiace comunque ad una dimensione simile a quella dei Suns.

L’ arrivo del Point God, Chris Paul può porre determinate problematiche. Il quasi 38 enne arriva in una squadra che ha poco contatto con quella che è la sua interpretazione del gioco ed è possibile che il lavoro di adattamento del giocatore alla squadra, e viceversa, duri qualche mese. Probabile che questa previsione invecchi malissimo, senza alcun dubbio; ma risulta chiaro quanto Paul debba in qualche maniera rimodulare il suo gioco, senza però snaturarlo. Sembrerebbe infatti utile in alcuni frangenti smorzare il flusso dirompente della squadra di Coach Kerr, che ha e ha avuto in passato la tendenza a “straripare” senza poi riuscire a ricomporre gli argini.

L’estrema nota positiva è il terzo quarto di Golden State, con le rotazioni terremotate dal problema di falli per Steph; gli Warriors sono stati capaci di recuperare un punteggio che li vedeva sotto di 15, e portarsi all’apertura dell’ultimo quarto di gioco con 6 lunghezze sugli avversari; dilapidate poi negli ultimi 12 minuti.

Menzione d’onore per Kevon Looney, che migliora costantemente ed è ormai capacissimo di sfruttare quei piccoli e pochi spazi che una squadra così estrema gli concede, concludendo al ferro con autorevolezza e riequilibrando, nei limiti del “KERRpossibile”, il ritmo dentro fuori della squadra californiana.

Al netto delle analisi forse troppo premature, salta all’occhio una partita sibaritica del secondo violino offensivo Klay Thompson; che sembra addirittura nascondersi anche nei momenti di assenza della superstar, ossia quando ci si aspetterebbe un salto di qualità e una presa di responsabilità da parte del tiratore 4 volte campione NBA.

La stagione è lunga, lunghissima; e la NBA così come la pallacanestro in generale ci ha insegnato che la volubilità degli dei del basket è sempre ampia e marcata; questo non può che renderci speranzosi, nel poggiare la schiena sul divano, di essere smentiti e stupiti da quel che sarà la strada verso i playoff, in questa stagione 2023-2024 al suo primissimo vagito.