Tre vincitori, tre sconfitti, una squadra rimandata a giudizio

È finita la settimana di mercato più assurda degli ultimi 20 anni. Si è mosso Luka Doncic, si è mosso Anthony Davis, si è mosso Jimmy Butler. Diverse squadre hanno rovesciato il proprio assetto dall’oggi al domani, altre hanno solamente sfiorato la rivoluzione. C’è anche chi ha ricoperto il ruolo di spettatore non pagante, e chi intelligentemente ha messo a segno un solo colpo mirato.

In tutto questo caos, abbiamo scelto sette protagoniste da analizzare: tre vincitori della trade deadline, tre vinti e una franchigia rimandata a giudizio.

I tre vincitori della trade deadline

  • Los Angeles Lakers

Dopo anni di decisioni piuttosto discutibili, Rob Pelinka si è trovato nelle mani un vero e proprio diamante quasi regalato da Nico Harrison. Ha dovuto sì sacrificare Anthony Davis e il giovane Max Christie, ma ottenendo la garanzia di poter competere perennemente nei prossimi anni, LeBron James o non LeBron James.

A pensarlo poco più di una settimana fa saremmo tutti scoppiati a ridere, invece è realtà: Luka Doncic sarà la base su cui si ergerà la prossima era dei Lakers.

I vantaggi nell’immediato sono tutti ancora da decifrare. Ma nel frattempo i Lakers sono in lotta per il terzo posto della Western Conference, e godono di un James ancora in splendida forma.

Nel giro di qualche giorno, tra campo ed extra-campo, sono diventati al contempo una mina vagante per il presente ed una presenza fissa ai Playoffs nelle stagioni a venire. E viste le premesse, l’importanza del valore creato supera di gran lunga le preoccupazioni per il mancato arrivo di Mark Williams.

  • San Antonio Spurs

La decisione degli Spurs di cogliere l’attimo e acquistare De’Aaron Fox è stata ottima per due ragioni. Innanzitutto permette alla squadra di Popovich di aggiungere fin da subito un realizzatore di alto livello e complementare alle caratteristiche di Victor Wembanyama. E in secondo luogo la trade ha bruciato solo una minima parte degli asset a disposizione del front office di San Antonio.

Gli Spurs hanno, sulla carta, sei scelte al primo giro del draft da poter utilizzare. Il contratto da 10 milioni di Chris Paul scadrà a giugno, e Devin Vassell potrebbe rivelarsi una pedina di scambio piuttosto interessante.

Che San Antonio funzioni fin da subito sul campo o meno, insomma, il futuro sorride. C’è Wembanyama, c’è Fox, e presto potrebbe arrivare un altro giocatore di quella caratura. Tra l’ingordigia e il braccino corto, gli Spurs hanno scelto la via di mezzo migliore.

  • Cleveland Cavaliers

Forti di una stagione straordinaria da 42 vittorie in 52 partite, i Cavaliers non avevano certo bisogno di stravolgere la rosa. L’errore comune in questi casi è però quello di pensare che in fondo vada bene così, tralasciando le opportunità offerte dalla trade deadline. I Cavs non lo hanno commesso.

Caris LeVert stava giocando più che bene per il ruolo che si era ritagliato, ma in carriera non è mai stato troppo affidabile come tiratore da tre punti. Cleveland ha quindi sfruttato il valore raggiunto negli ultimi mesi e lo ha scambiato per De’Andre Hunter.

Arriva un’ala forte in difesa, in grado di mettere palla per terra, che da anni flirta con il 40% di conversione dal perimetro. Hunter sembra perfetto per completare il quintetto migliore a disposizione di Kenny Atkinson.

I tre sconfitti della trade deadline

  • Dallas Mavericks

Parlare dei Mavericks in questi giorni è come sparare sulla croce rossa. I dubbi sulla professionalità di Doncic erano leciti, specie considerando l’estensione contrattuale in arrivo, ma la reazione è stata oltremodo esagerata. Nico Harrison ha commesso una vera e propria follia, appoggiato da una nuova proprietà a cui sembra interessare meno il lato sportivo rispetto al buon vecchio Mark Cuban.

Ma ciò che è ancora più grave è che dopo tale follia, giustificata con la promessa di fare all-in sul presente con Irving e Davis, i Mavs non hanno fatto altre mosse, se non il discutibile arrivo di Caleb Martin per Quentin Grimes.

Il tutto sarebbe (in parte) giustificabile se Dallas ad oggi si presentasse come favorita al titolo, ma è ben lontana da quello status. Il passato di Irving ci dice che non ha mai avuto grande successo quando gli sono stati consegnate nelle mani le chiavi di un attacco, e Davis non è certo un attaccante abbastanza completo da sopperire alle mancanze di chi gravita intorno a lui. La difesa, quella sì, migliorerà, ma deve pur sempre fare i conti con la flebile resistenza perimetrale di Kyrie e di un Klay Thompson ormai 35enne.

Anche le modalità con cui è stata completata l’operazione lasciano a desiderare. I Mavs hanno ceduto uno degli asset migliori in NBA senza nemmeno provare a scatenare un’asta che gli avrebbe fatto comodo, portando avanti il tutto in gran segreto. E la sola squadra con cui hanno trattato è una diretta avversaria nella Western Conference. Una disasterclass senza precedenti.

  • Phoenix Suns

I Suns escono vinti dalla sessione di mercato invernale non tanto per le ultime scelte fatte quanto per la situazione in cui si sono volontariamente cacciati.

Non hanno spazio salariale, hanno pochissime scelte al draft nei prossimi anni e sono noni ad Ovest, con chance di lottare per il titolo tendenti allo zero. La scommessa Bradley Beal è stata una sconfitta su tutta la linea che ha dato il colpo di grazia finale sul fallimentare progetto di all-in. Oggi Beal non garantisce un contributo sufficientemente positivo in campo ed è quasi impossibile da scaricare sul mercato. E proprio a causa di questo i tentativi per Jimmy Butler sono stati un buco nell’acqua.

Il front office si è ormai reso conto della condizione desolante dell’attuale roster, e ha provato a cedere Kevin Durant agli Warriors per iniziare a costruire un pezzo di futuro. La fumata nera della trade ha peggiorato ulteriormente le cose, aggiungendo al calcolo una superstar che sa di essere stata messa sul mercato dalla propria dirigenza.

Il reset totale, però, sembra solo rimandato a luglio.

  • Sacramento Kings

Si, è vero, è arrivato Zach LaVine, reduce da buoni mesi ai Chicago Bulls e in grado di dare moltissimo in termini di realizzazione. Sono arrivati anche Jonas Valanciunas e Jake LaRavia, altri pezzi del puzzle potenzialmente interessanti.

Ma riportando le lancette a due anni fa, non vi sareste aspettati di meglio dai Kings? Erano una squadra giovane, in crescita, con due stelle atipiche ma convincenti e asset da sfruttare.

Oggi, invece, non sono che la reincarnazione dei Chicago Bulls di due anni fa, con gli stessi pregi e gli stessi difetti. Perché dovrebbero poter ottenere risultati diversi?

L’arrivo in Free Agency di DeMar DeRozan sarebbe dovuto essere la dimostrazione dell’ambizione dei Kings a fare il decisivo salto in avanti. Si è invece rivelato l’inizio della fine.

Due anni fa i Kings erano una squadra che si divertiva e divertiva. Nel frattempo hanno salutato sia il coach che il giocatore più forte. Ed è rimasta una grande incognita sul futuro.

Rimandati a giudizio

  • Golden State Warriors

Gli ultimi giorni di mercato condotti dagli Warriors sono stati all’insegna della panic mode. Hanno fatto un tentativo per qualsiasi stella, per provare ad accontentare uno Stephen Curry stanco di giocare in un attacco con troppo poco talento.

L’affondo definitivo era stato pianificato per Durant, per cui Golden State era disposta a cedere sia Wiggins che Kuminga. Una volta recapitato il rifiuto di KD, le opzioni sul tavolo erano limitate, così come il tempo rimasto a disposizione. Mike Dunleavy si è così buttato a capofitto sull’affare Jimmy Butler, la migliore opzione rimasta.

Le condizioni di Butler sono tutte da valutare, così come il suo inserimento nella filosofia offensiva degli Warriors, ma non si può negare sia un upgrade significativo rispetto ad Andrew Wiggins. Ciò che perplime, semmai, è l’assenza di scambi complementari. Jonathan Kuminga, le cui caratteristiche mal si sposano con quelle di Butler, è rimasto sorprendentemente in rosa, nonostante la scadenza del contratto a fine anno.

Per dare un senso alla stagione attuale, alla squadra di Kerr sembra mancare un lungo e soprattutto una guardia che possa portare sia difesa che tiro da fuori. Dopo più di metà stagione, è chiaro che né Buddy Hield né Brandin Podziemski possono ricoprire quel ruolo con efficacia.

Dunleavy ha provato a rassicurare l’ambiente spiegando di aver salvato gli asset (Kuminga + diverse prime scelte future a disposizione) per l’estate, nel caso di liberasse qualche altra superstar. Una volta concessa l’onerosa estensione contrattuale a Butler, posticipando ulteriormente il processo di rebuilding, il suo ragionamento ha senso. Ma tra un anno Curry spegnerà 38 candeline.