FOTO: Celtics Blog

Questo contenuto è tratto da un articolo di Sam LaFrance per , tradotto in italiano da Edoardo Viglione per Around the Game.


Il 23 giugno del 2013 i Boston Celtics decisero di scambiare il loro coach Doc Rivers ai Los Angeles Clippers e fu proprio lui, pochi mesi più tardi, ad affermare che non volle proseguire sulla panchina biancoverde in quanto non voleva affrontare nuovamente un rebuilding:


”La verità è questa, non volevo passare nuovamente attraverso un rebuild. Ne avevo già affrontato uno ad Orlando e un altro a Boston, non volevo essere protagonista di un altro. Per un coach è brutale scendere in campo ogni sera e giocare per perdere.”

Doc Rivers ad Adrian Wojnarowski nell’Autunno del 2013

Che benedizione che è stata la mancanza di interesse di Doc Rivers nel guidare Boston attraverso il rebuilding. Ogni tifoso Celtics gli sarà comunque grato per il titolo del 2008, anche se ora allena una rivale come i Milwaukee Bucks, ma le cose comunque non stanno andando benissimo. La benedizione è arrivata nei giorni successivi, quando un giovane Brad Stevens lasciò il suo ruolo di head coach alla Butler University e accettò di prendere il posto vacante lasciato da Rivers. La sua nomina come capo allenatore, infatti, è stata una delle scelte più giuste e incredibili degli ultimi anni. In otto anni Stevens ha guidato la squadra per ben sette volte ai Playoffs e tre volte alle Eastern Conference Finals. In tutte e tre i casi i Celtics sembravano aver raggiunto un risultato molto più alto rispetto a quanto ci si aspettasse. Stevens ha sempre saputo come ottenere il massimo dai suoi giocatori e come capitalizzare nel miglior modo possibile il potenziale e il talento di quelle squadre. È importante sottolineare, inoltre, che ha avuto un ruolo centrale nello sviluppo di Jayson Tatum e di Jaylen Brown aiutandoli a diventare le star che sono oggi. Si è fidato di loro sin dall’inizio, ha dato loro importanza durante i Playoffs e più volte li ha scelti come leader in campo. Gli infortuni di Kyrie Irving e Gordon Hayward nel 2017/18 hanno caricato di responsabilità Tatum e Brown che sotto Stevens sono migliorati e in quella stagione sono arrivati ad una sola vittoria dalle Finals.

Due stagioni più tardi nella bolla di Orlando il duo si è presentato in modo differente. Stevens li ha messi al centro del nuovo core e loro si sentivano a loro agio nonostante la grande pressione, ma sono riusciti a vincere due round prima di cadere nuovamente alle finali di Conference contro i Miami Heat. Questa capacità di massimizzare il potenziale a disposizione è qualcosa che Stevens è riuscito a trasferire anche nel ruolo di President of Baskteball Operations che ha assunto nell’offseason del 2021 quando come head coach è stato nominato Ime Udoka. Dopo l’eliminazione rimediata lo scorso anno sempre contro Miami alle Eastern Conference Finals ha dovuto compiere una mossa coraggiosa scambiando Marcus Smart, il leader emotivo della squadra, per arrivare a Kristaps Porzingis. Nella sua prima stagione a Boston il lettone è stato incredibile, portando una presenza versatile su entrambi i lati del parquet insieme a una grandissima attitudine. Mesi dopo, per rispondere alla trade con la quale i Bucks hanno preso Lillard, ha risposto scambiando Malcom Brogdon, Robert Williams e due prime scelte a Portland in cambio di Jrue Holiday e anche lui, proprio come Porzingis, si è sposato sin da subito benissimo con i Boston Celtics grazie alla sua grande alla leadership e alla sua capacità di adattarsi al sistema offensivo di Mazzulla.

L’occhio e l’attenzione di Brad Stevens per il fit e per il talento hanno pochi rivali. Probabilmente nessun tifoso Celtics potrebbe ammirare una squadra da più di 60 vittorie se non fosse stato per lui e in un certo senso anche per Doc Rivers. Se l’attuale coach dei Bucks fosse stato interessato a intraprendere un rebuilding probabilmente Boston non avrebbe mai trovato quello che oggi è il principale artefice, assieme a Danny Ainge, della grandissima squadra che i Celtics hanno costruito.