FOTO: Detroit Bad Boys

Ebbene sì, aggiungete un nome agli eroi per una notte NBA. Non che Malachi Flynn sia il più sconosciuto degli sconosciuti, nella seconda parte gli dedicheremo un piccolo approfondimento, ma semplicemente non è la prima volta che succede qualcosa di simile a fine stagione, anzi. Il suo “cinquantello” tondo tondo (18/25 FG, 5/9 3PT), però, è speciale, molto speciale, perché si tratta del giocatore con la media punti in carriera più bassa di sempre (entrando nella partita) a spararne 50+. Prima di commentare, ecco la lista:

Tra i tanti nomi riportati nel tweet di Tim MacMahon (ESPN) spicca quello di Corey Brewer, che ricordiamo con una lacrimuccia in tutta la sua iconicità, anch’esso datato non casualmente 11 aprile con la maglia di una Minnesota già esclusa dalla corsa Playoffs. E se nella stagione 2013/14 dobbiamo rimanere, menzioniamo anche Terrence Ross con 51 punti, quando le aspettative sull’allora sophomore erano un po’ più alte di quanto poi effettivamente dimostrato in carriera. Ma nessuno di questi è un “fuoriclasse” del calibro di Malachi Flynn, il quale ha addirittura alzato di 0.1 la propria media punti in carriera dopo la prestazione, e che – a pensarci bene – rispetto a Brewer e Tracy Murray ha quasi la metà dei punti di media. Purtroppo o per fortuna, la regular season di marzo e aprile regala queste perle quando si parla di squadre in fase di tanking: senza allontanarsi troppo da Detroit, si ricordino i 51 punti di Saddiq Bey nel marzo 2022, quando la squadra aveva un record di 19 vittorie e 51 sconfitte; ma anche i 50 di Kevin Porter Jr. nell’aprile 2021 contro i Bucks, con i Rockets a 16 vittorie e 47 sconfitte; o ancora i 51 punti di un 39enne Jamal Crawford con la canotta dei Suns, scorer purissimo senza alcun dubbio, ma arrivati nell’ultima gara stagionale di una Phoenix da 19-63, in una sconfitta di 11 punti. E potremmo continuare all’infinito. Questa non è nemmeno una questione di pigrizia difensiva (problema pur esistente in NBA in regular season), ma di contesto: squadre che non lottano per nulla, che non hanno niente da perdere e soprattutto niente da vincere, hanno rotazioni completamente imprevedibili e, in una serata nella quale un role player dalla panchina ha la mano calda, viene tenuto in campo o cavalcato anche più del dovuto, senza che l’altra squadra – soprattutto se in pieno controllo o disinteressata alla partita – se ne curi troppo. Gli Hawks, per esempio, gli hanno concesso 17 punti nel primo tempo che hanno riportato a contatto Detroit, ma i 33 del secondo sono partiti quando Atlanta era già sopra di 15, in una fase in cui è stato mantenuto il +20 con facilità. Difficilmente avremmo visto qualcosa di simile con il punteggio ancora in situazione di parità nel terzo quarto – un rischio, certo, visto che poi i Pistons hanno anche toccato il +5, ma figlio della consapevolezza della superiorità schiacciante da parte degli avversari e del conseguente calo di concentrazione. Una notte, insomma, che Malachi Flynn ricorderà giustamente a lungo, ma che non entrerà proprio negli annali della pallacanestro NBA. (PS Almeno per quanto riguarda gli occasionali, per noi è già leggenda.)


Chi è Malachi Flynn?

Scelta numero #29 al Draft 2020 e una stagione da rookie nella media con la canotta dei Toronto Raptors, nella quale emergono le sue buonissime doti da tiratore capace di muoversi senza palla, capace di gestire sporadicamente possessi come playmaker, o comunque di iniziare l’azione. Parliamo comunque di un buon giocatore a livello collegiale, vincitore del Mountain West Conference Men’s Basketball Player of the Year e consensus second team All-American nel 2020 con la canotta dei San Diego State Aztecs, dopo aver militato a Washington State fra 2016 e 2018; e soprattutto di un buon rookie in G League con i Raptors 905, dove ha fatto registrare nel 2020/21 oltre 20 punti e 5.5 assist di media in 6 apparizioni, tirando con il 40.9% su 7.3 tentativi da 3 punti a partita e segnando 35 punti (con 8 assist) contro i Santa Cruz Warriors, fino a essere richiamato in NBA. Al suo anno da rookie con Toronto è appartenuto, fino a oggi, anche il suo career-high di 27 punti, messi a referto a maggio 2021 (sempre fine stagione) contro i Pacers, dopo averne sparati 26 nella partita precedente contro Dallas. Da lì in poi, niente di che. Malachi Flynn arriva comunque in NBA a 22 anni, si capisce subito che non ci sono grossi margini di miglioramento e la carriera ideale sembra quella di un role player in uscita dalla panchina per qualunque squadra cha abbia un minimo di ambizioni, procurando un po’ di scoring, playmaking secondario e pericolosità al tiro. Per questo si pensava potesse trovare un po’ di spazio a New York, dopo essere arrivato in compagnia di OG Anunoby a fine dicembre, a seguito dei tanti infortuni che di lì a poco hanno colpito la squadra allenata da coach Tom Thibodeau. Effetto contrario, invece, essendo stato scambiato alla trade deadline (in mezzo a un pacchetto in cui non era proprio il pezzo pregiato) dai Knicks per allungare la panchina, aggiungendo Bojan Bogdanovic e Alec Burks dai Detroit Pistons. Questa la sua nuova casa e soprattutto il suo contesto ideale. A Motown trova infatti più spazio, non lottando la squadra per niente, immersa in un concetto di “garbage time” prolungato che non si riduce alla singola partita, ma a questo intero finale di stagione. Non a caso, il suo “cinquantello” arriva nel bel mezzo di una sconfitta da 8 punti subita per mano degli Atlanta Hawks.