FOTO: Bleacher Report

Non sono state uscite molto brillanti per Joel Embiid quelle ad Abu Dhabi, e c’è da dire che anche l’ultima vittoria di Team USA contro South Sudan ha fatto molto chiacchierare. La rappresentativa allenata da Royal Ivey e “costruita” nel tempo da Luol Deng è un avversario di tutto rispetto, ma da un roster così stellare come quello statunitense ci si aspetta di più di una vittoria punto a punto a pochi secondi dal termine, con un paio di errori sfortunati nell’ultimo possesso avversario. Come ha detto LeBron James, autore del game winner, esultando: “Mi piace più vincere queste partite che i blowout, almeno veniamo messi alla prova. Amo essere messo alla prova, baby!” – tutto bello, senza dubbio, ma stavolta si è arrivati davvero vicini alla sconfitta. E, per quanto senza un valore ufficiale, non è difficile capire l’eco che si sarebbe portata dietro una sconfitta di Team USA. Sempre usando parole altrui, “quando qualcuno gioca contro di noi, per loro è la partita della vita, dobbiamo aspettarci gare del genere” ha dichiarato Steve Kerr, e questo proprio perché la nazionale statunitense gode di uno status che la pone al centro del mirino, figlio di materiale umano e di un bacino da cui attingere impareggiabile. Secondo Embiid, però, proprio il blasone che accompagna le grandi stelle di Team USA potrebbe mascherare quello che è il loro valore effettivo:

“Si guarda al talento degli Stati Uniti ma, voglio dire, ce n’è altrettanto anche nelle altre nazionali. E per quanto riguarda il talento di questa squadra, bisogna anche capire che molti di questi giocatori sono anche più vecchi adesso. Il LeBron attuale non è il LeBron di un paio di anni fa, e questa è una grande differenza. Perciò il suo nome può anche esserci, ma ciascuno ne parlerà e tutti lo possono vedere con i loro stessi occhi, il LeBron atletico e dominante visto fino a un paio di anni fa non è lo stesso di adesso. Perciò credo che le persone si facciano ingannare dai nomi che leggono sulla carta, questi si sono certamente costruiti nel corso della loro carriera ma ora sono vecchi, perciò non sono quelli che erano soliti essere prima.”

– Joel Embiid su New York Times, ‘The Interview’ – host: David Marchese, Lulu Garcia-Navarro

Sia chiaro, la nazionale allenata da coach Steve Kerr parte favoritissima, ha vinto comodamente contro Australia (con un calo mentale verso la fine) e soprattutto Serbia, e il valore del roster – nonostante l’età dei leader – è comunque superiore a quello di tutte le altre nazionali in termini di abilità individuali e specialmente profondità. Per ogni Kevin Durant (35), Stephen Curry (36), LeBron James (39) o Jrue Holiday (34) ci sono altrettanti Bam Adebayo (27), Devin Booker (27), Jayson Tatum (26), Anthony Edwards (22) e Tyrese Haliburton (24), lo stesso Embiid ha 30 anni ed è ancora nel suo prime, reduce da un MVP nella stagione 2022/23, perciò le alternative non dovrebbero mancare. Ciò che sarà davvero importante è il livello di concentrazione sui 40 minuti: le nazionali presenti ai Giochi Olimpici vantano tutti roster ben assemblati e ricchi sia di giocatori attualmente in NBA sia che dalla Lega americana sono passati sia che si sono costruiti carriere eccellenti oltreoceano ai massimi livelli. Perciò non sarà minimamente una passeggiata, sebbene una “sbarellata” contro il South Sudan in un’amichevole non sia forse il modo migliore di capire il tipo di intensità che verrà impiegato per provare a raggiungere l’oro a Parigi. E comunque, come ha detto anche Anthony Edwards, la chiave per vincere in una partita così difficile si è rivelata una sola: “LeBron James” – a dimostrazione che quei nomi possono sì valere un po’ meno, ma non abbastanza da essere usati come una giustificazione per un eventuale fallimento.