Ecco una presentazione delle Final Four che avranno inizio questa sera – e che vedranno protagonista anche Paolo Banchero.

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È il 17 Marzo 2022, le sessantotto squadre collegiali uscite “vincitrici” dal Selection Sunday sono pronte a iniziare la 83esima edizione della March Madness, il torneo collegiale e il raduno per i prospetti del prossimo Draft più grandi e noti al mondo. Dopo un folle percorso fra run insperate e upset sconcertati – come quelli dei campioni uscenti di Baylor di Jeremy Sochan e Kendall Brown, o dei favoritissimi Zags di Chet Holmgren, fino alla Auburn di Jabari Smith e Purdue di Jaden Ivey (solo per citarne alcuni) – eccoci finalmente arrivati al 3 Aprile, giorno di inizio delle Final Four.

A uscirne vivi da questo lungo cammino sono i 4 campioni delle 4 Region: i primi sono i Villanova Wildcats, secondo seed della South Region, guidati dallo storico e Hall of Famer Jay Wright, che dovranno vedersela con il roccioso e solidissimo primo seed della Midwest Region, Kansas, in una sfida dagli aspettati tatticismi. Dall’altro lato del bracket una sfida che sa già di storia: per la prima volta alla Madness ci sarà lo scontro fra la UNC (University of North Carolina) di un clamoroso Brady Manek, vincitrice della Eastern Region, e la rivale storica Duke del “nostro” Paolo Banchero, campioni uscenti della Western Region.

Ma vediamo adesso di focalizzarci sulle quattro squadre che prenderanno parte non solo a una delle tappe fondamentali per arrivare preparati al NBA Draft 2022, ma anche a un weekend da seguire per tutti gli appassionati, e non, del basket collegiale, che terminerà con la finale nella notte tra lunedì e martedì.



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Villanova Wildcats

Partendo probabilmente dai meno conosciuti (dato che nessuno degli attuali giocatori si dichiarerà eleggibile probabilmente in questo Draft, nonché squadra reduce da uno scivolone avvenuto durante le prime partite di stagione), i Wildcats partivano da secondo, e non favorito, seed della South Region. Lo storico college che ha visto uscire tanti giocatori ancora presenti nelle file NBA (Donte DiVincenzo e Jalen Brunson, per dirne un paio) e il suo storico coach Jay Wright si apprestano a tornare alle Final Four dopo l’ultima apparizione del 2018.

Ciò che quest’anno ha reso Villanova parte di una “rimonta” nel mese di marzo è stato, ancora, il fatto di essere una delle migliori difese del torneo, la migliore delle quattro rimaste. Capaci di mantenere gli avversari al 37.3% dal campo durante la competizione e addirittura al 21.3% da tre punti, hanno prestato fede a quello che avevamo visto durante la Regular Season, con i numeri delle squadre affrontate che si aggiravano attorno al 40% di Field Goal% e al 30% da dietro l’arco.

Ad aggiungere acqua al mulino di Jay Wright è uno stile offensivo rodato, intelligente e ormai noto dello stile del coach, con attenzione massima sui turnover (8.5 per partita), frutto della grandissima fluidità dell’attacco che prevede una gran circolazione e un pace molto basso e moderato, il tutto per arrivare a utilizzare molto il tiro da tre, che li rende una squadra molto influenzabile dalle percentuali.

Proprio su questo, la partita nel turno delle Elite 8 contro Houston è il simbolo di ciò che Villanova è e ha dimostrato di essere durante il torneo: in quella che è stata una battaglia tra due delle difese migliori della nazione, con una gara a basso punteggio terminata 44-50, l’attacco dei Wildcats si è rivelato comunque capace, nonostante palesemente sottotono, di andare 15 volte in lunetta convertendo con il 100%.

Il roster a disposizione di Wright è sicuramente un passo indietro a quello di scorse annate, ma prevede una serie di giovani esperti e ormai formati alla competizione. Su tutti, il nome da prendere in considerazione è quello di Collin Gillespie, mattatore offensivo dei Wildcats e sicuramente una delle guardie più talentuose della NCAA 2022.

Gillespie è uno scorer su tre livelli: miglior tiratore dall’arco della squadra con un 40.9% su 7.1 tentativi da fuori a partita (13.1 3PTA x 100 possessi), ha la capacità di andare in lunetta con un notevole gioco in post e un Free Throw Rate del 27.5% (5.8 liberi tentati x 100 possessi), il tutto con una True Shooting del 60% e 15.9 punti per partita. Ha ripagato con gli interessi l’assenza al torneo 2021, con un exploit avuto contro Ohio State.

Roster che però dovrà fare a meno del “secondo violino” a nome Justin Moore, dichiarato out for the season dagli stessi Cats per un infortunio al tendine d’Achille, e non solo: le defezioni costringeranno coach Wright a una rotazione a sei composta dai soli Gillespie, Samuels, Arcidiacono, Dixon, Daniels e Slater.

Saranno assenze pesantissime ma, nonostante ciò, occhio a dare per morti i Wildcats, vera mina vagante delle Final Four.


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Kansas Jayhawks

Per quanto si sapesse che Kansas fosse una squadra dalle mille risorse, mai ci saremmo aspettati che a questo punto del torneo sarebbero stati i candidati numero uno a strappare il primo biglietto per la finale. Dopo un percorso tutt’altro che facile nel torneo, più nello specifico a seguito delle gare contro Creighton e, soprattutto, Providence, che hanno messo in seria difficoltà i ragazzi di Bill Self, i Jayhawks si ritrovano un accoppiamento (almeno sulla carta) molto favorevole per queste Final Four.

Il pace basso e i ritmi lenti avversari, in contrapposizione alla qualità in transizione di Kansas vista in stagione, potrebbero giocare un ruolo fondamentale nella partita, e la gran vittoria con Miami nelle Elite 8 è un chiaro segnale.

Nonostante i Jayhawks fossero oggettivamente la favorita a passare il turno (Kansas è entrato nella March Madness con il primo seed, Miami il decimo), la squadra di Self è riuscita a cavarsela solo grazie ad un clamoroso parziale di 47-15 nel secondo tempo. A cosa è dovuto tutto ciò? Oltre alla spettacolare e nota difesa di Kansas, con due specialisti clamorosi quali Agbaji e, soprattutto, Christian Braun, è emerso anche un attacco decisamente più fluido e di squadra rispetto a quello proposto fino a quel momento nel torneo, che ha visto il “risveglio” proprio del già citato Ochai Agbaji.

Ochai è sicuramente entrato al torneo come un prospetto pronto a giocarsi un posto nel primo giro del prossimo Draft, grazie alle sue qualità difensive e alle percentuali che lo rendono uno dei migliori tiratori della classe, con un ottimo 39.7% su 6.5 tentativi da tre punti. Se nelle prime tre partite del torneo è sembrato faticare tantissimo a causa della poca qualità offensiva offerta dalla squadra, chiudendo con due 5/14 in back-to-back contro Texas e Creighton e un 2/8 contro Providence, si è poi ripreso grazie ai 18 punti a referto contro Miami, di cui 14 nel secondo tempo. Insomma, se c’era un momento giusto per tornare quello della Regular Season, ha azzeccato alla grande.


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University of North Carolina

Passiamo ora alla seconda, forse più interessante, sfida. Infatti, se da un lato il risultato potrebbe incredibilmente essere già scritto, qui il discorso cambia.

Dopo una prima fase del torneo fatta di partite gestite alla perfezione e di upset, come quello con Baylor (primo seed) e UCLA (quarto seed), i ragazzi di UNC entrano alle Final Four con il seed più basso, addirittura l’ottavo della East Region. Nonostante ciò, ad oggi, la squadra di Coach Davis è probabilmente la migliore nella metà campo offensiva. A permetterlo è stato fino ad ora un trio dominante nelle prime quattro partite del torneo, composto da Caleb Love, Brady Manek e Armando Bacot, che ha dimostrato di garantire scoring di qualsiasi tipo a Davis, regalando (soprattuto nei primi tempi) dei parziali infiniti. In particolar modo, nell’upset contro Baylor.

In una partita praticamente già chiusa nel primo tempo, UNC ha messo in luce gioie e dolori di un roster del genere. A fine primo tempo, il tabellino recitava un secco 42-29 e un pazzesco Brady Manek da 19 punti. Nella seconda frazione, probabilmente complice una mentalità che non ha proprio aiutato i Tar Heels per tutto il corso della stagione, un Jeremy Sochan scatenato aveva portato Baylor a rimontarla fino all’OT, dove si sono dovuti arrendere solo ai colpi di Manek e RJ Davis.

E ancora, nel successivo turno di Sweet 16 contro UCLA, è toccato a Caleb Love prendersi la scena con una prestazione da 30 punti con un 6/13 da tre punti, in una serata in cui realmente sembrava incontrastabile sia dall’arco che al ferro (partita chiusa con un 6-14).

Last but not least, la clamorosa prestazione di Armando Bacot contro la favola di Saint Peters, un 20+22 che lo ha portato ad essere il terzo giocatore alltime capace di realizzare una partita da 20+20 nel torneo.

Come arriva però UNC alla sfida con Duke? Forse un pò “sorpresa”. Le squadre che i ragazzi di Davis hanno dovuto affrontare sono quanto di più lontano si possa trovare rispetto alla squadra di Paolo Banchero. La poca versatilità difensiva dei Tar Heels, mista a una inferiorità abbastanza palese, potrebbero portare UNC a un tracollo nella decisiva gara di New Orleans. Ma attenzione al tipo di partita che verrà a crearsi: conoscendo i ragazzi Coach K, si prevede una gara punto-a-punto, in cui le difese lasceranno il dominio agli attacchi, e su questo Manek e soci non partono sicuramente svantaggiati (nonostante Duke sia una corazzata).

In più, per chi non ricordasse, erano stati proprio i rivali di UNC a rovinare la festa di Coach K nell’ultima partita di regular season. Chissà che non riescano a ripetersi anche in quella che potrebbe essere la sua ultima partita in carriera…


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Duke Blue Devils

Ed eccoci qui, è il momento di parlare dei favoritissimi alla vittoria finale del torneo. Coach K è sicuramente arrivato a un appuntamento con la storia, manca solamente l’ultimo piccolissimo ostacolo a nome UNC e potrà giocarsi il tutto per tutto nella sfida finale di una delle più lunghe carriere del basket collegiale.

Duke è fin da subito sembrata una squadra solidissima e con tante opzioni da sfruttare. Infatti, se pensate che i Blue Devils siano decisi solo a cavalcare l’onda Banchero, vi sbagliate di grosso.

Verissimo, Paolo Banchero sta giocando ottimamente il torneo con dei numeri che dicono 18.5 punti , 7 rimbalzi, 3.8 assist con una True Shooting del 62%, con unica nota negativa la partita di Elite 8 contro Arkansas, in cui ha portato una brutta efficienza, giocando male e rispolverando (quello che sembrava) un vecchio problema, ossia quello della shot selection. E questo si ricollega ottimamente a ciò che è Duke: una squadra che, quando Banchero non brilla, vince comunque.

Perchè questo? Per una difesa che, seppur non brillantissima, ha concesso 69.8 punti di media in questa Madness agli attacchi avversari con il 42% dal campo, e soprattutto una versatilità offensiva che vede vicino a Banchero uno dei prospetti che inizialmente sembrava potesse essere nel discorso per la prima scelta assoluta: AJ Griffin.

Nonostante AJ sia limitato dagli infortuni, le sue doti offensive sono innegabili e hanno spesso “salvato” Paolo e Duke dal peggio, con la possibilità che garantisce di allargare il campo e di utilizzare la sua self creation come arma primaria in certe situazioni.

Questo si è potuto vedere soprattutto nei 18 punti segnati contro Arkansas, frutto di una prestazione al tiro tornata ad essere quella di metà regular season e che lo rende tutt’oggi uno dei migliori tiratori della classe.

Tutto ciò fa sì che Duke sia capace anche di prestazioni fenomenali come quella contro una, se non la migliore (insieme a Houston), difesa di tutto il torneo: quella di Texas Tech. Unica vera squadra che si pensava potesse mettere in difficoltà i Blue Devils, è stata superata grazie ad una prestazione clamorosa di Banchero, probabilmente la sua migliore dell’anno (Gonzaga permettendo). Prestazione che, insieme ai tanti nomi che formano questa profondissima Duke, permette di porre la squadra allenata da coach K come favorita.

Riguardo la profondità è importante sottolineare la presenza e l’apporto di altri due importantissimi nomi: il primo è ovviamente Mark Williams, centro che già pre-Madness aveva fatto parlare di sè per quanto riguarda il Draft 2022, e che intriga molto nel matchup previsto con Bacot per sabato; il secondo, più inaspettato, è Jeremy Roach.

Partito in sordina come prospetto da valutare per il Draft, ha innalzato completamente il suo livello nelle quattro partite che hanno portato Duke fino a qui, diventando uno scorer da 12.8 punti a partita e un difensore da non sottovalutare nella nota zona 2-3 di Coach K.

Tutto ciò ci spinge a pensare ai Blue Devils come favoritissima, ed è giusto farlo: una corazzata che, se portasse ancora e per l’ultima volta Coach K sul tetto della NCAA, avrebbe rispettato le aspettative di moltissimi. Aspettative che però, allo stesso tempo, si spera non possano giocare un brutto scherzo già questo sabato a Banchero e compagni.