FOTO: NBA.com

Pensando a Carmelo Anthony, la prima cosa che viene in mente è il suo mid-range purissimo, quella forma di tiro perfetta capace di farti credere che la palla potesse sempre entrare. E anche in numeri è sempre stato così: dopo l’anno da rookie, il 45-50% dei suoi tiri è sempre arrivato dalla media distanza, per rendere l’idea sempre oltre il 70esimo percentile nel ruolo in termini di frequenza – toccando il picco negli anni ai Knicks tra il 2013 e il 2017, tra 85esimo e massimo percentile per frequenza. Da lì, poi, ancora tanto mid-range, ma un aumento vertiginoso nelle triple tentate, toccando il picco a Houston nel 2018/19 e più tardi nell’ultima stagione con i Lakers.

Un progetto fallito, quello ai Rockets, nel giro di appena 10 partite, dopo le quali il general manager Daryl Morey ha annunciato che la squadra e il giocatore si sarebbero separati di comune accordo – nello specifico, con uno scambio a gennaio. Carmelo Anthony è tornato a parlare di cosa abbia portato al divorzio sulla propria piattaforma, 7PM in Brooklyn, e, che ci si creda o no, si è trattato del mid-range. Dopotutto, Morey è arcinoto per il proprio studio analitico sul gioco, incentrato quasi totalmente su tiri al ferro e alto volume di triple tentate, che porta quasi del tutto all’eliminazione del tiro dalla media distanza. Una rivoluzione che male si sposa con lo stile di gioco di Melo, e con quella generazione di ali sviluppatasi fra 2000 e 2010, della quale ha fatto parte anche Rudy Gay, ospite del podcast.

L’aneddoto raccontato da Carmelo Anthony spiega proprio le sue difficoltà a mettere da parte l’ego, in primis, dopo anni ad alto livello a giocare in una determinata maniera, ma in secondo luogo anche il blocco mentale derivante dal non potersi mettere in ritmo cercando i propri spot, il proprio “bread and butter”, come lo ha chiamato Gay:

Arrivo a Houston e quello che mi dicono è che potrei essere il pezzo mancante. Così, facciamo il mini-camp alle Bahamas ed è una cosa seria, io ero lì per vincere. Siamo tutti concentrati e succede quello che deve succedere.

Da lì, inizia la pre-season in Alabama contro Memphis. E nella mia testa penso: ‘Hey, è pre-season, è la prima, fatemi entrare in ritmo, mettere in moto le gambe, prendere i miei tiri, qualche fadeaway o turnaround…’. La loro risposta è: ‘Oh, tu pensavi…’. Sì, io pensavo! Perché era quello che stavamo facendo al mini-camp.

Comunque, mi sentivo davvero bene per iniziare quella stagione, ero pronto a giocare per un titolo. E così prendo palla, finta di tiro, un palleggio, due palleggi, arresto e tiro, bang! Ho pensato ‘sono pronto a giocare, sono pronto a iniziare questa stagione…’. E loro mi urlano: ‘Nooooo!’. Così rido mentre torno in difesa dicendo ‘colpa mia, colpa mia’.

– Carmelo Anthony su 7PM in Brooklyn

Già da questo punto, le cose sono andate precipitando da un punto di vista mentale per Melo, che ha cominciato a comprendere quanto il suo stile di gioco fosse inadatto a quello dei Rockets. Questi ultimi, dopotutto, hanno chiuso la stagione al primissimo posto per frequenza di triple tentate, il 48.6% dell’intera shot selection, e all’ultimissimo posto per tentativi dalla media distanza, solo il 18.1% della frequenza di squadra. Un impatto troppo grande sul gioco di Anthony, perché potesse sopravvivere – una questione ovviamente di ritmo, prima ancora che di talento, dato che le mani da pianista non gli impedivano certo di segnare da fuori:

Ed è lì, a quel punto, che l’ego è entrato in gioco, perché mi è venuto da pensare: ‘Volete togliermi tutto quello su cui ho costruito la mia carriera, il mio gioco, il motivo per cui la gente mi conosce e mi vuole nella sua squadra. Specialmente in questa squadra, dove sono quello che vi manca: vi manca uno che sappia giocare in post basso, che attiri raddoppi, che sappia segnare su più livelli con Chris Paul e James Harden.’. Era una situazione infernale.

Quando sono tornato ad allenarmi in quella settimana, hanno messo cose per iscritto alla lavagna per categorie, del tipo ‘tiri dal mid-range’ o ‘tiri a partita’: un certo numero di triple, diciamo 40 – se abbiamo 90 possessi, 40/50 triple – poi un certo numero di tiri liberi, un certo numero di transizioni etc. e poi il mid-range. Dodici tentativi o meno.

Così mi siedo lì e penso che Harden non tira dalla media, siamo solo io e Chris Paul. E così ho pensato che potessimo fare sei a testa. No! CP3 avrebbe avuto un maggior volume perché era più efficiente. Duh! Mentre a me hanno detto uno o due al massimo. Così, ho dovuto fare i conti con il mio ego.

Sia chiaro, non ho detto nulla, non ho discusso. Mi hanno detto che sarei uscito dalla panchina il giorno della partita, dietro a PJ Tucker. Mi avevano preso per giocare accanto a PJ, al posto di Trevor Ariza, non come sua riserva. Ero lì per giocare con quelli che erano i titolari, non ho mai pensato che sarei uscito dalla panchina.

E così si sono ritrovati a non saper gestire la questione a Houston. Ero sempre sorridente, rimanevo dopo l’allenamento e arrivavo presto, quindi pensate all’aspetto mentale: mi avevano portato lì per vincere un titolo, per quello che potevo fornire alla squadra, e poi mi hanno detto di non fornirlo. Volevano vincere un titolo facendomi giocare nel modo in cui mi vedevano loro.

Ora, io potevo fare quello che mi dicevano, ma non sarebbe stato efficace: non posso uscire dai blocchi e sparare 12 o 13 triple a partita senza prima mettermi in ritmo con i miei tiri. Questo è stato l’aspetto mentale che ha portato le cose a deragliare.

– Carmelo Anthony su 7PM in Brooklyn