L’era della “small ball” è finita, così come tutte le tendenze della storia NBA, sconfitta dalla continua evoluzione del gioco. I lunghi sono tornati a dominare, punendo pesantemente accoppiamenti favorevoli sia in difesa che in attacco, cannibalizzando il pitturato. Non solo attraverso i centri con tonnellate di talento stile Nikola Jokic e Joel Embiid: nel 2024, se vuoi vincere il titolo, devi avere un 4 di alto livello.

Nel 2018 tre delle quattro ali grandi titolari delle squadre arrivate alle Conference Finals erano di fatto adattate: PJ Tucker (Rockets), Kevin Durant (Warriors) e Marcus Morris (Celtics). Uguale tre anni dopo, nella fase finale dei Playoffs 2021: Marcus Morris (Clippers), Jae Crowder (Suns) e John Collins (Hawks).

La small ball, resa vincente dai Golden State Warriors di Kerr e poi estremizzata dai Rockets di D’Antoni per provare a fermare il loro dominio, ha lasciato il posto alla necessità di costruire un roster con un front court ‘grosso’ e forte nel pitturato e soprattutto a rimbalzo.


I Minnesota Timberwolves, battendo i Nuggets campioni in carica, hanno riportato in alto il concetto del doppio lungo, quasi scomparso del tutto negli anni passati.

L’impiego di un lungo vero e proprio nel ruolo di ala grande non è certo una novità; basti pensare, per fare tre esempi celebri senza andare troppo indietro con il tempo, a Rasheed Wallace nei Pistons, Kevin Garnett nei Celtics 2008 e Tim Duncan negli Spurs. Quel tipo di impostazione è stata però via via scartata dalla seconda parte degli anni ’10 per due motivi in particolare: la difficoltà dei lunghi a tenere il palleggio dei piccoli sul perimetro e, soprattutto, le scarse spaziature in attacco.

Oggi giocare con le ‘twin towers’ è nuovamente possibile, grazie alla presenza dei 4 moderni, capaci di muovere lateralmente i piedi e segnare con una certa costanza dal perimetro. Il manifesto di questo concetto porta il nome di Karl-Anthony Towns, in grado di marcare in post Nikola Jokic e contemporaneamente mantenere la più alta percentuale da 3 punti in questi Playoffs. E la coppia con Rudy Gobert, che aveva fatto storcere (comprensibilmente) il naso a moltissimi due anni fa, si è rivelata l’unica maniera possibile per battere questi Nuggets in una serie al meglio delle sette partite.

Towns non è l’unico a rispondere ai requisiti dell’ala grande moderna. Anche prendendo in considerazione solamente le squadre rimaste in corsa, c’è il suo compagno Naz Reid, c’è Al Horford e la coppia con Kristaps Porzingis ai Celtics e c’è Maxi Kleber, attualmente infortunato ma molto importante negli equilibri dei Mavericks.

Come amano dire dall’altra parte dell’oceano, la NBA è una “copycat league”, e questo nuovo-vecchio modo di costruire le squadre da titolo potrebbe presto spargersi a macchia d’olio, scatenando una feroce gara tra General Manager per assicurarsi il prototipo perfetto di 4, che sia un Towns o un Aaron Gordon, che pur non essendo un lungo naturale ha dimostrato di saper cibarsi del pitturato degli avversari.

Ciò che è certo è che l’NBA non è più una lega per “piccoli”.