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Questo contenuto è tratto da un articolo di Mac Pham per The Lead SM, tradotto in italiano da Marco Marchese per Around the Game.


La quantità di talento a disposizione delle franchigie NBA non è mai stata grande quanto quella odierna. Negli scorsi anni, anche i più recenti, infortuni e assenze improvvise all’All-Star Game hanno reso necessaria la convocazione dei sostituti, che tuttavia sono spesso stati snobbati al momento dell’annuncio dei quintetti o dei roster. Ben diversa è la storia riguardante la stagione in corso e il venturo All-Star Game 2024 di Indianapolis: coloro che sono stati chiamati a sostituire gli infortunati probabilmente avrebbero meritato di far parte sin dall’inizio del gruppo di eletti. Le principali ragioni si fondano sul fatto che l’intera lega NBA sia colma di giocatori di talento e acclamati dai propri tifosi. E, visto l’elevato numero di giocatori dal rendimento elevato, l’aggiunta di alcuni slot nel roster di entrambe le rappresentative All-Star potrebbe comunque lasciar fuori qualcuno. I cestisti attualmente in attività in NBA, dotati di talento fuori dalla norma, sono evidentemente in gran numero, alzando il livello generale dell’intero campionato cestistico. Questo tema è stato affrontato da JJ Redick durante il suo podcast The Old Man & The Three. Dall’alto della sua lunga carriera in NBA, durata ben 16 stagioni, Redick ha spiegato le ragioni per cui i vertici NBA dovrebbero prendere in considerazione l’ipotesi di aumentare il numero di giocatori convocabili all’All-Star Game.


“Quando si pensa ai più grandi giocatori di ogni era, nel determinare il loro valore si fa spesso riferimento al loro numero di presenze all’All-Star Game. Giocarci è molto importante per ogni cestista NBA, poiché è un credito a loro favore che ne aumenta il valore, sia a livello sportivo che economico. Permette loro e ai loro brand di fare il vero e proprio salto di qualità, inserendoli di fatto nella storia e negli almanacchi sportivi. E non è importante solo per i giocatori, ma anche per le loro squadre, fan base e città, perché permette loro di entrare nella storia della NBA. Per i giocatori è davvero difficile riuscire a partecipare ad un All-Star Game e raggiungere lo status di All-Star.

Andando indietro negli anni fino al primo All-Star Game, datato 1951, ecco i nomi e le statistiche di alcuni Hall of Famer che ne hanno fatto parte. ‘The Man with the long grey beard’, Jim Pollard, conta quattro presenze da All-Star in sette stagioni disputate, non avendo mai raggiunto il 40% al tiro e una media di 15.5 punti in tutta la sua carriera. Andy Phillip, o ‘Handy Andy’, cinque volte All-Star, con a referto una sola annata con percentuali superiori al 40% al tiro. La leggenda dei New York Knicks, Dick McGuire, ha partecipato ben sette volte all’All-Star Game: ha una percentuale al tiro del 38% in carriera, senz’aver mai raggiunto la doppia cifra di media per punti segnati, con un career-high inerente agli assist di 7.6. Periodo e stile di gioco diversi, questo è certo. Non sto sostenendo che non debbano stare nella Hall of Fame, perché lo meritano. Erano delle superstar in confronto al resto della lega.

Fino al 1960, e in generale al resto degli anni 60′, le percentuali medie al tiro dell’intera lega non superavano il 40%, ma bisogna comunque ricordare e valorizzare traguardi e progressi raggiunti dai giocatori nella loro era. Il motivo per cui ho citato Pollard, Phillip o McGuire è che erano All-Star. Oggi è possibile che giocatori con medie da 22 punti, 6 assist e 4 rimbalzi, con percentuali superiori al 50% da due e del 40% dall’arco rimangano fuori dall’All-Star Game. E sarebbe un vero peccato, oltre che un’ingiustizia. Lo status di All-Star è uno dei fattori più determinanti per entrare nella cerchia ristretta della Hall of Fame, per questo credo fermamente che la NBA dovrebbe considerare l’allargamento dei roster All-Star: il numero di giocatori ed il loro talento sono aumentati a dismisura, probabilmente è giunto il momento di aumentare anche le opportunità di diventare una stella.”

JJ Reddick

Al giorno d’oggi solo il 4% dell’intera lega viene nominata per disputare l’All-Star Game. La matematica non è un’opinione, ma una scienza esatta, ed essa indica chiaramente che ci sia una carenza di slot All-Star, e una loro aggiunta non implicherebbe certo che “chiunque può diventare All-Star”. Il limite massimo di giocatori in NBA è di 450. Se ipoteticamente potesse espandersi fino a 1000, avrebbe ancora senso concedere solo a 24 di essi la possibilità di partecipare alla partita delle stelle? Chiaramente no. Renderebbe lo status di All-Star davvero troppo elitario. Il bacino di talento si è espanso, perciò avrebbe senso aumentare il numero di componenti dei roster.  

Numeri alla mano, De’Aaron Fox ha una media di 27.3 punti, 4.0 rimbalzi e 5.3 assist a partita. Trae Young, invece, ha la stessa media punti di Fox, in aggiunta a 10.9 assist che lo rendono il secondo dell’intera NBA. Si trovano all’ottavo e nono posto per media realizzativa, eppure non sono entrati a far parte del roster All-Star. Suona strano che Young, e probabilmente anche Fox, come la scorsa stagione, ne entrino a far parte solo per via d’infortuni incorsi a loro colleghi. 

Non c’è motivo per cui debbano farne parte soltanto come sostituti. Un altro esempio riguarda Devin Booker: nel 2017 e 2018 non ha partecipato all’All-Star Game, pur avendo messo a referto rispettivamente 24.9 e 26.6 punti di media. Nei due anni successivi è invece riuscito a diventare All-Star solo come sostituto, pur mantenendo medie realizzative in linea col passato – con 26.6 e 25.6 punti. Soltanto nel 2022 è riuscito ad ottenere il diritto di far parte di uno dei quintetti All-Star. Anche nel suo caso non c’erano validi motivo per selezionarlo solo da sostituto di giocatori infortunati. Fox, Young e Booker hanno dimostrato di meritare lo status di All-Star e solo dieci anni fa – considerando i numeri da loro messi a referto – non ci sarebbe stato il minimo dubbio su una loro partecipazione. 

Inoltre, ci sono giocatori che solitamente aumentano il ritmo solo a stagione in corso, che tuttavia meriterebbero di far parte del roster All-Star. Ad esempio, giocatori del calibro di Jimmy Butler, Brandon Ingram o Jamal Murray, che per varie ragioni scaldano i motori per più tempo rispetto ai colleghi. Nonostante ciò, nel leggere i loro nomi il quesito sorge spontaneo: com’è possibile che non sia stato convocato? Di certo è arduo affermare che non lo meritino. Ed è per questo che l’attuale numero di elementi nei roster All-Star non rispecchi le reali condizioni in NBA, e che necessita di un aumento. 

Osservando in particolare il caso di Ingram, si può notare che abbia fatto la sua prima ed unica apparizione all’All-Star Game nel 2020. Ciò non vuol dire che non abbia reso a livelli All-Star sin d’allora: è rimasto un giocatore efficace in fase realizzativa, mettendo a referto rispettivamente 23.8, 22.7 e 24.7 punti nei 3 anni successivi, oltre ai 21.4 della stagione in corso. Un’ulteriore prova del fatto che gli spot All-Star siano divenuti pochi. Sono solo 24 e il gap tra il giocatore n°24 ed il 50° della lega NBA è davvero ai minimi storici. Dando un’occhiata alle Point e Shooting Guard della sola Western Conference è possibile notare che ci siano almeno 8 possibili concorrenti per soli 6 posti: Stephen Curry, Luka Doncic, Shai Gilgeous-Alexander, De’Aaron Fox e Jamal Murray per quanto riguarda le PG, con Devin Booker, Anthony Edwards e Desmond Bane completare il numero di contendenti.

Ci sono due spot in quintetto, due in second unit ed altri due da wild card. Inoltre, Ja Morant è attualmente alle prese con un season-ending injury, ma di certo avrebbe fatto parte di questa cerchia. La Western Conference ha inoltre vari All-Star sul tramonto della loro carriera, come James Harden (ultima volta All-Star nel 2022), Chris Paul (anche lui nel 2022), Russell Westbrook (per lui ultima chiamata nel 2020) o Klay Thompson (per lui, addirittura, l’ultima partecipazione risale al 2019). Ad Ovest ci sono inoltre giocatori del calibro di Fred VanVleet o Mike Conley, entrambi con una presenza All-Star in carriera e solidi veterani che stanno ben performando nelle loro attuali squadre.

CJ McCollum è certamente il miglior giocatore a non aver mai preso parte ad un All-Star Game. Dal 2015 al 2022, ha messo a referto almeno 20 punti a stagione, record per un giocatore mai stato All-Star così a lungo – per ben 8 anni. La NBA ha incrementato il numero di giocatori dagli anni 60′. Il talento dei giocatori in attività non è mai stato tanto puro e diffuso nella storia della lega. Forse è giunto il momento che Adam Silver e il resto dei vertici NBA espandano i roster All-Star, dando opportunità di crescere a giocatori, squadre e tifosi.