La storia del processo per stupro a Marv Albert, oscura macchia sulla carriera di un’autentica superstar del telecronismo NBA.

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La voce si spegne. Ammutolisce.

La voce che per anni ha narrato le gesta degli eroi della pallacanestro americana – diventando leggendaria – viene sommersa da un’accusa infamante. Improvvisamente pare destinata a essere ricordata solo come quella di un uomo vile, spregevole. Colpevole di uno dei reati più disgustosi: la violenza sessuale.

La voce di Marvin Philip Aufrichtig, meglio conosciuto come Marv Albert, sembra morire in un’aula di tribunale.


Sembra. Perché, in realtà, non accade.

Il motivo? Per capirlo partiamo dalle origini.

Il mito di Albert nasce nell’epoca dei primi grandi commentatori radiofonici e televisivi. Il suo sogno, fin da bambino, è raccontare al mondo intero la NBA da uno schermo in bianco e nero dove le immagini – diremmo noi oggi – sono sgranate, un po’ opache.

Albert è determinato, intelligente: entra ben presto a far parte dei cantori del basket d’oltreoceano. Oggi è considerato uno dei migliori di sempre. Una vera e propria leggenda. Tanto da ricevere la medaglia d’argento nella classifica dei telecronisti NBA all-time secondo Bleacher Report, dietro solamente a Marty Glickman.

Glickman – prima campione nel team di atletica leggera americano alle famose olimpiadi del ’36 a Berlino, poi una carriera spesa tra radio e piccolo schermo – è il padre di tutti i commentatori NBA, nonché mentore dello stesso Albert.

Mentre negli anni ’50 Marty segue e racconta tutte le partite in diretta nazionale che passano dal vecchio Madison Square Garden, un giovanissimo Marv, proveniente da Brooklyn, fa il raccattapalle per i Knicks.

Ma il suo vero idolo non veste nessuna canotta: è sempre seduto in giacca e cravatta, due grandi cuffie e microfono ad incorniciarne il volto: è, per l’appunto, Glickman.

Con la spavalderia tipica degli adolescenti, Marv durante una partita casalinga dei Knicks prende coraggio e gli consegna delle cassette con le sue telecronache registrate dal salotto di casa Aufrichtig. È la sua occasione.

Uno qualunque avrebbe potuto buttarle via con noncuranza. Marty Glickman no. Le ascolta, le analizza e, infine, le critica.

Capisce che il ragazzo ha davvero talento. E da quel giorno lo fa sedere spesso accanto a sé mentre lavora. A bordo campo.

Nella 17esima stagione della National Basket Association, incorsa storicamente tra il ’62 e il ’63, WCBS Radio compra il pacchetto completo per trasmettere radiofonicamente tutte le partite dei Knicks, in uno dei tanti momenti bui della franchigia.

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Tra le 59 sconfitte della stagione, ce n’è una che segna – in un certo senso – la storia del basket stelle e striscie: quella del 27 gennaio 1963, a Boston, contro i grandi Celtics di Bill Russel.

Quella volta, infatti, tutti i tifosi attaccati nervosamente alla radiolina trovano una voce inattesa e sconosciuta: è quella del ventunenne Marv Albert, chiamato a sostituire all’ultimo Glickman assente per un impegno oltreoceano, nel vecchio continente.

All’inizio il cambiamento viene metabolizzato a singhiozzo dai radioascoltatori più affezionati, tant’è che girano le prime critiche: «È la brutta copia di Marty». Poi però, dopo un periodo di assestamento, la voce di Albert inizia a suonare sempre più familiare.

Nel mentre la stagione termina, così come il contratto con WCBS Radio.

Albert sta per mollare tutto, ma prima dell’inizio della stagione 1967/68 una chiamata gli assegna il ruolo di radiocronista speciale dei Knicks. La squadra di New York ritrova finalmente una “casa radiofonica” stabile: WHN, emittente della Grande Mela, ricompra i diritti delle partite.

Anche la fortuna lo assiste: sta iniziando l’era newyorkese di Willis Reed e Walt Frazier, che sarà trasmessa ai posteri come ancor più esaltante proprio grazie alla sua voce.

La sua carriera sboccia definitivamente.

Non c’è da meravigliarsi: in fondo parliamo di un fuoriclasse assoluto.

È uno dei pochi radiocronisti (prima) e telecronisti (poi) che riesce ad emettere dalla propria bocca parole di esclusiva fattura, per arrangiarle poi magicamente in tecnicismi e periodi vari tali da risultare una meravigliosa melodia.

L’obiettivo? Raccontare bellezza, emozioni, storie della pallacanestro.

Albert è completamente diverso dalla maggior parte dei commentatori, a partire dal suo accento di Brooklyn, al contempo paradossalmente elegante e provinciale.

Diverso è anche il suo modo di essere coinvolgente, senza mai alzare eccessivamente il tono di voce. Così come la sua genialità, che l’ha portato a creare quasi un’intera enciclopedia di locuzioni cestistiche, tra cui i celebri «On fire!», «From downtown!» e il suo marchio di fabbrica «Yesss!» dopo un gran canestro.

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La voce di Marv va aldilà delle mura del Madison. Comincia a narrare – attraverso NBC Sports – le prodezze di tutto il basket statunitense, fino ad arrivare a commentare 10 NBA Finals consecutive. Dal 1990 al 2002.

I conti, però, non tornano, perchè nel computo generale della sua carriera mancano due anni. Cos’è successo?

Abbiamo parlato di una voce destinata a spegnersi, come la fiamma di una candela soccombe al soffiar di una brezza. E questo sibilo proviene dalla capitale.

È il febbraio 1997, e ci troviamo a Washington D.C.

Marv è al MCI Center – attuale Capital One Arena dei Wizards – come al solito con cuffie e microfono indosso. Dopo aver concluso la trasmissione con le ultime domande ai protagonisti dello scontro tra Bulls e Bullets, corre nella sua lussuosissima stanza d’albergo a Pentagon City.

Un calice di champagne millesimato in mano, del caviale sul tavolo, è in attesa di una “cara vecchia amica” di nome Vanessa Perharch.

Lei entra, lui la corteggia, ma Vanessa indietreggia.

Albert esce allo scoperto. Le chiede esplicitamente di fare sesso orale.

La donna 42enne rifiuta e il telecronista, preso alla sprovvista, rincara la dose attaccandola per non aver portato un altro uomo con sé, per farlo “come piace a lui”, e poi le salta al collo e alla schiena. In un momento di libido irrefrenabile l’azzanna e la morsica, come fosse un vampiro.

La Perharch, sconvolta, fugge dall’albergo e denuncia senza pensarci su due volte il commentatore più famoso dello sport americano. Il caso, ovviamente, finisce in tribunale.

La risonanza mediatica del caso desta più di una semplice preoccupazione in Marv, che vede potenzialmente distrutta da una macchia infame indelebile non soltanto la sua apprezzata carriera, ma la propria intera esistenza.

Come d’usanza in casi simili, Albert in aula sceglie a sua difesa un maestro in materia: l’avvocato Roy Black. Lo stesso che anni prima aveva difeso William Kennedy Smith, salvandolo da un’accusa di molestie sessuali che rischiava di marchiare di ignominia l’intera famiglia Kennedy.

Il piano di Marv e Roy davanti ai giudici è negare tutto quanto l’accaduto; ancora, ancora e ancora.

Con l’avanzare dei giorni il caso diventa sempre più controverso e la situazione di Albert complicata.

L’avvocato Black tenta dunque di ribaltare la situazione. Mostra alla corte una registrazione nella quale si sente la voce di Vanessa che tenta di corrompere a suon di dollari un tassista per farlo testimoniare a suo favore.

Il Maestro delle aule crede di aver fatto una grande mossa, riuscendo così a screditare l’accusatrice trasformandola da vittima in un’avida escort in cerca di soldi da spillare al suo più celebre cliente. Una di quelle storie a tinte grigie non infrequenti su tabloid e giornali scandalistici.

Eppure, nonostante la sicurezza presupposta dal tiro mancino appena giocato, ecco un colpo di scena: la prova, dicono i giurati, non può essere accettata in tribunale per questioni procedurali.

A gettare ulteriori ombre sulla vicenda si prodiga proprio il taxista Walter Brodie, che fuori dalle aule racconterà effettivamente che la signora Perharch voleva che mentisse davanti al Pubblico Ministero.

Come dirà in seguito a Fox News Channel la giurata Kerri Nelson, il processo assume connotati contraddittori: se da una parte non c’erano prove abbastanza schiaccianti per condannare Albert e la registrazione del tassista aveva sollevato dubbi sulle vere intenzioni della vittima, dall’altra sia lei personalmente che l’opinione pubblica erano particolarmente “scioccati che Albert avesse patteggiato”. Sicuro della propria innocenza, cosa poteva esserci dietro questa scelta di correre ai ripari?

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A incastrare definitivamente il commentatore NBA ci si mette una nuova testimonianza: giunge in tribunale un’elegante signora, che si scopre essere la dirigente della catena di alberghi Hyatt.

La donna dichiara al giudice di aver subito le stesse violenze anni prima.

Era stata assegnata come assistente di Marv a Dallas, durante il commento di una partita di football – contesto differente dal consueto campo cestistico, ma che il suo smisurato talento gli consentiva di fronteggiare in maniera brillante

Una volta in hotel era stata invitata in camera del telecronista per discutere di lavoro.

Dopo essere entrata nella stanza le era apparsa davanti agli occhi un’immagine piuttosto squallida: Marv Albert nudo, vestito ridicolamente solo di reggicalze, calze femminili di nylon e slip da donna, che non potevano nascondere – testuali parole – “il suo grosso ed evidente stato d’eccitazione”.

«Cercai di tenere un atteggiamento professionale, ma lui mi saltò addosso. Cominciò a strofinarsi contro di me e poi a mordermi sul collo, spalle e schiena. Mi ribellai, e nella concitazione mi ritrovai il suo parrucchino tra le mani».

Dopo questa nuova e scabrosa dichiarazione ad Albert non rimane che patteggiare.

Il 25 settembre 1997 il telecronista si dichiara colpevole di un reato minore. Evita dunque 5 anni di carcere e, come prevede il diritto statunitense, viene sospesa la sentenza, con una messa in prova per dodici mesi (suspended sentence).

La sua immagine precipita. NBC Sports ovviamente lo licenzia e il grande re del microfono sembra finito.

La voce di Marv Albert pare morire. Ma non muore.

Si ferma per meno di due anni, a causa del processo.

Ma il mondo della televisione, quello dei soldi, non quello della morale e dell’etica, lo accoglie subito a braccia aperte, scagliando una pietra sul suo passato più recente.

La famosissima emittente TNT lo assume nel ‘99 e lo fa tornare nella pallacanestro narrata.

E ancora nel 2021, all’alba degli ottant’anni, ogni settimana si trovava a bordo campo a raccontare l’epopea della NBA.

Certo, ha lasciato il suo ruolo alla fine della stagione 2020/21. Però, presumibilmente, sarebbe dovuto succedere 23 anni fa.

Un uomo dal talento sopraffino, ma appannato da un’ombra oscura, quasi vampiresca, è quindi il protagonista dell’ennesimo episodio d’ipocrisia puritana degli Stati Uniti.

Da Bill Clinton con Monica Lewinsky, fino a Mike Tyson con Miss America, passando per gli scandali sessuali della famiglia Kennedy.

Sono tanti i casi in cui le celebrità sono state accusate di abusare il proprio potere per ottenere favori sessuali.

Ma la fama, la forza economica e le lobby riescono, spesso, a cancellare ogni macchia e caduta morale.