FOTO: NBA.com

Recentemente un ragazzo che si è avvicinato da poco all’NBA mi ha chiesto perché Andre Miller sia stato uno dei giocatori più amati degli anni 2000 – e lo è stato certamente, uno dei più amati; magari non uno dei più popolari, ma uno di quelli per cui l’apprezzamento diventava ammirazione. Mi sono reso conto che è complicato dare una risposta di senso del tutto compiuto.

Se volessi chiedere ai numeri di presentare Andre Miller, potrei parlare dell’unico giocatore di sempre con 16.000+ punti, 8.000+ assist e 1.500+ palle rubate a non essere mai stato convocato per un All-Star Game. Del resto, come detto da Miller stesso, l’All-Star Game “è praticamente un concorso di popolarità”, poco adatto a un giocatore appariscente… il giusto, come lui.

“In NBA ci sono giocatori spettacolari e giocatori super-atletici; e poi ci sono quelli a cui piacer scendere in campo e giocare a basket. Io appartengo alla seconda categoria.”

Non è attraverso questi numeri, pur parlando di una carriera da 17 stagioni e 1.372 partite giocate, che si può raccontare Andre Miller, il suo genio, la sua diversità. E come abbia stregato il cuore di ogni suo compagno di squadra e di tanti che lo hanno visto giocare.

190 centimetri di altezza, un atletismo sotto la media e tutt’altro che una “ossessione” per la propria forma fisica, come dimostrano alcuni suoi commenti in merito alle sue abitudini durante l’offseason:

“Se si chiama offseason, è perché si è off. A me piace entrare in forma durante il training camp. E la mia dieta non è per niente sana, mangio hamburger e salsicce come se fosse sempre il 4 luglio. Al massimo digiuno per tenere sotto controllo il peso.”

Non è volando al ferro, insomma, che Miller si è fatto largo in NBA. E neanche tirando da fuori, come ci si potrebbe aspettare da uno del suo ruolo e dalla sua taglia: 21.7% in carriera, senza mai raggiungere le 1.5 triple tentate a partita, e una meccanica di tiro decisamente rivedibile; su cui “Dre”, però, non era granché interessato a lavorare: “mi spingerebbe a tirare di più… ma non è il mio compito”.

Miller non ha seguito l’evoluzione del gioco durante le sue 17 annate nella lega, ma ha trovato un modo – tutto suo – di non “subire” la propria diversità. Anzi, di rendere gli altri “diversi”, riuscendo a imporre dei momenti di partita in cui tutti, in campo, erano dentro al suo, di gioco. Era un eccellente passatore e trattatore di palla (per buona parte delle sue stagioni è stato tra il 90esimo e il 95esimo percentile nel rapporto Usage/Turnover), con una sensibilità di tocco speciale, ma a renderlo unico è stata la sua interpretazione del gioco. E quelle giocate… à la Andre Miller, che è difficile definire diversamente.

Maestro del post basso, malgrado una stazza ridotta e una verticalità praticamente nulla, per anni ha dominato vicino a canestro i pari-ruolo della Lega. E non solo. Il sapiente uso del corpo e la capacità di cambiare mano e tempo del rilascio, anche nel traffico, gli hanno consentito di essere un finisher efficiente al ferro; da lì arrivava il 40% abbondante delle sue conclusioni, che ha convertito nella stragrande maggioranza delle sue stagioni con almeno il 60% (dati: Cleaning the Glass). Alla sua velocità, con i suoi tempi, ma… arrivava. Anche in età avanzata, a fine carriera.

Ve lo potrebbe confermare Draymond Green, che al suo esordio nei Playoffs – nel 2013, da rookie – è stato letteralmente bruciato da un 37enne Andre Miller nell’ultimo e decisivo possesso di Gara 1 del primo turno tra Nuggets e Warriors:

Dovendo scegliere un’istantanea per raccontare Andre Miller (anche se lasciare fuori questa non è semplice), però, prendo quei 2 punti che più di una volta ha rubato dirigendosi verso l’arbitro con la palla in mano, fingendo di chiamare timeout e andando invece ad appoggiare dei comodi layup, sfruttando la distrazione della difesa. Una giocata che mi verrebbe da definire “da playground”, per lo stile… ma al campetto non esistono né arbitri, né timeout. Sono giocate à la Andre Miller. Punto.

Il fascino romantico di Andre Miller risiede proprio nella sua diversità, e in “quel qualcosa” che nel suo gioco percepisci, ma che quasi non riesci a descrivere. Perché nessuno, nell’NBA moderna, ha interpretato il basket come “Professor Dre”. “Quando ti rendi conto che manca qualcosa in campo, quel qualcosa è quello che faceva Andre Miller”, ha detto Andre Iguodala dopo la sua partenza da Philadelphia.

Già, “quel qualcosa”. Lo amavate per questo, no?