La seconda metà della stagione oltre il Brooklyn Bridge: il pieno recupero di Durant, la “calming influence” di Harden, i malumori di Irving e l’inserimento di Griffin.


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Per il momento, tutto come previsto. I Brooklyn Nets hanno vinto 10 delle loro ultime 11 partite – prima dell’All-Star Break – e sono tornati in campo questa notte contro i Boston Celtics.

Steve Nash per almeno un’altra settimana dovrà fare a meno di Kevin Durant: il due volte MVP delle Finals è fermo da metà febbraio per uno strappo al bicipite femorale. Al suo posto, continueranno a trovare spazio Landry Shamet e il veteranissimo Uncle Jeff Green.


La “calming influence” di James Harden

L’infortunio al prodotto dei Texas Longhorns non è stato un problema nell’immediato, ma guardando all’ovvia e più grande immagine generale, i Nets potranno soddisfare l’esigenza principale, ovvero quella del pieno recupero del #35. Questo anche e soprattutto grazie all’impatto mostruoso di James Harden. E’ ancora impressionante ripensare a come sia il primo ed unico nella storia della Lega ad aver esordito per la propria squadra con una tripla doppia da 30 punti (per l’esattezza 32-12-14) contro gli Orlando Magic il 16 gennaio.

Ma oltre ai numeri, l’ex Rockets sta avendo, come ha detto Mike Mazzeo di Forbes, una “calming influence” su Kyrie Irving.

Torneremo più avanti sulle paturnie del campione 2016, ma intanto è palese sia ad un rapido eye-test sia guardando le raw-stats come il #11 stia beneficiando della presenza di un ball-handler primario come Harden: nelle 18 partite giocate insieme dai due, l’ex Boston ha tirato sopra al 50% dal campo in 12 occasioni, con risultati anche migliori dall’arco. Clamoroso anche per ciò che ci si aspetterebbe da una powerhouse come quella dei Nets.

Il problema di Steve Nash

Sì, suona un po’ da diva. Ma è anche vero che se vinci due MVP durante il prime di Kobe Bryant, tanto da essere considerato il preferito degli allenatori, ti meriti di guidare quella che probabilmente è la squadra più forte, in una cornice quantomeno invidiabile.

Eppure, anche tutto ciò premesso, avere a che fare con Kyrie in veste di head coach richiede forse un’altra delle qualità del canadese, ovvero la sua laurea in sociologia.

Quando gli è stato chiesto cosa avesse fatto durante il break, Irving ha ben pensato di rispondere: “minding my own business, like everyone should”. A questo giro, difficile dargli torto. Tuttavia, ci sono degli aggiornamenti riguardo alla sua misteriosa sparizione di gennaio, sempre secondo quanto riportato da Mike Mazzeo:

“All’inizio, la sua assenza per motivi personali è stata una sorpresa per Nash. Lui dice di avergli scritto, ma senza ricevere risposta, per quanto Kyrie avesse informato i suoi compagni. Nash, che si è costruito nello spogliatoio la reputazione di uno diretto, che basa i suoi rapporti sull’onestà, è rimasto male della mancanza di comunicazione.”

Tutto ciò va ad aggiungersi all’uscita fatta durante il podcast di Durant: “A volte quasi mi sento come se non avessimo un allenatore”. Arrivarono le scuse, ma i Nets devono sperare che la salvia lo tenga buono. A Boston ne sanno qualcosa.

L’ultima aggiunta: Blake Griffin

Un altro veterano, fondamentale vista l’insolita costruzione di Brooklyn e per il suo ambiente in spogliatoio. Un giocatore affamato, che ha lasciato a Detroit 13 milioni pur di tornare a giocare in quei Playoffs dai quali è uscito in maniera così beffarda quando volava con DeAndre Jordan (compagno di una vita ora ritrovato) sui lob di Chris Paul.

Eppure – e questo sia testimonianza di quanto è presa sul serio la normativa sul tampering – il suo più grande recruiter pare sia stato KD, fondamentale per battere la concorrenza di Celtics e soprattutto Lakers (i giallo-viola, tra l’altro, rimarranno attivi fino alla deadline per un lungo, non essendo soddisfatti di Marc Gasol, per Shams Charania).


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Mentre gustavano presumibilmente un bicchiere di vino in un classico localino di Beanie, Nash e Griffin hanno discusso della sua posizione, come rivelato dallo stesso giocatore a Bleacher Report. Come era immaginabile, il suo impiego sarà da 4 con DeAndre Jordan, ma spesso da 5 in una small lineup.

Secondo un executive anonimo della Eastern Conference, Griffin in un dato contesto può ancora essere uno dei migliori senza palla, ed è migliorato molto nel fondamentale del passaggio. Ma non aiuterà di certo con i problemi difensivi dei Nets, come la sua carriera insegna.

Prossime mosse prima della deadline

Abbiamo già detto dei problemi difensivi? Dovesse questo articolo risultare insistente sul tema, Brooklyn concede in media il 46.7% dal campo e il 36.7% dall’arco. Ora non è un problema, a maggio potrebbe esserlo.

L’affare Griffin è indicativo nel senso che se ci saranno altre mosse saranno probabilmente via buyout. Oltre all’ovvio interesse di routine per Andre Drummond, forti del rapporto con Harden i Nets restano attenti su PJ Tucker – che dovrebbe reinterpretare Mr Wolf in Pulp Fiction sul lato difensivo – ma è difficile che Houston prenda in considerazione un’offerta, avendo già preso da Brooklyn tutto quanto poteva.

Considerando che l’asset migliore dei Nets ad oggi sono i Bird Rights di Spencer Dinwiddie – out for the season – si capisce come anche Aaron Gordon o Rudy Gay sono troppo da chiedere al mercato, a ragion veduta. Altre pedine in uscita potrebbero essere Luwawu-Cabarrot o Tyler Johnson, ma difficile immaginare che ci sia la fila.

Magari un ex come JaVale McGee potrebbe tornare utile – sì, Cleveland deve ancora sfoltire il reparto lunghi – o se fosse rimasta una pick da mandare ai Bulls, sarebbe una buona idea anche il ritorno di Garrett Temple.